La regina dei castelli di carta - Stieg Larsson

>> venerdì 6 maggio 2011

Come la maggior parte di coloro che ha letto Uomini che odiano le donne anch'io ho portato a termine la lettura della trilogia e quindi di questo terzo libro conclusivo. L'impresa è stata impegnativa (la somma dei tre libri porta ad oltre 2200 pagine) ma tutto sommato ne è valsa la pena. Quest'ultimo capitolo approfondisce la conoscenza della protagonista Lisbeth e delle motivazioni che l'hanno portata al suo particolare atteggiamento nei confronti del mondo. La rende, ancora di più dei precedenti, una persona viva, una donna sfortunata che ti verrebbe voglia di aiutare e un'icona di tutti coloro che reagiscono alle ingiustizie anche quando queste sono enormemente più grandi di loro e rischiano di sommergerle definitivamente. Prosegue la critica alla società svedese e in questo caso si focalizza sull'uso deviato dei servizi segreti. La trama è scorrevole ma, rispetto ai due volumi precedenti, non ha nulla di memorabile. Si complica anzi inutilmente per via dello smisurato numero di storie parallele a quella principale non sempre funzionali al tutto. Presenta numerose situazioni paradossali e poco credibili (una su tutte l'irruzione della polizia in un aula di tribunale mentre si sta svolgendo il processo con arresto del teste al termine della deposizione). Dei tre libri è probabilmente quello meno riuscito. Comunque tanto di cappello all'autore che con la sua capacità inventiva e narrativa è stato capace di creare personaggi indimenticabili e di catalizzarre l'attenzione di milioni di lettori in tutto il mondo.

Lisbeth Salander rimase a lungo a fissare la porta chiusa. Infine si sdraiò e si mise a fissare il soffitto. Fu allora che scoprì di avere qualcosa di duro sotto la nuca. Sollevò il cuscino e con infinito stupore scoprì un piccolo sacchetto di tela che prima non c'era. Lo aprì e fissò senza capire un palmare Palm Tungsten T3 e un caricabatteria. Guardò il palmare più da vicino e scoprì un graffietto sul bordo. Il suo cuore sobbalzò. È il mio Palm. Ma come... Esterrefatta, spostò di nuovo lo sguardo sulla porta. Anders Jonasson era pieno di sorprese. Era così eccitata. Accese immediatamente il computer e scoprì altrettanto immediatamente che era protetto da una password. Fissò frustrata lo schermo che lampeggiava perentorio. E come diavolo dovrei fare a... Poi cercò dentro il sacchetto di tela e trovò sul fondo una strisciolina di carta ripiegata. Scosse il sacchetto per farla uscire, la spiegò e lesse il messaggio scritto a mano in bella grafia. 
L'hacker sei tu. Scoprila! Kalle B.
Lisbeth rise per la prima volta dopo molte settimane.
[...]
Infine fu condotta in aula Lisbeth Salander. Benché Mikael sapesse dell'abitudine di Lisbeth di vestirsi in modo provocatorio, fu sorpreso dal fatto che Annika le avesse permesso di comparire in aula indossando una minigonna di pelle nera con l'orlo sfrangiato e una maglietta nera con la scritta "I am irritated" che non copriva granché dei suoi tatuaggi. Il tutto completato da stivaletti, cintura borchiata e calze al ginocchio a righe nere e viola. Lisbeth aveva una decina di piercing su orecchie, labbra e sopracciglia. I capelli erano spuntoni neri di tre mesi, cresciuti dopo l'operazione al cervello. Lisbeth aveva anche un trucco insolitamente pesante. Rossetto grigio e più mascara nero di quanto Mikael le avesse mai visto addosso. All'epoca in cui si frequentavano, lei era piuttosto disinteressata al trucco. Adesso aveva un'aria un po' volgare, per dirla in maniera diplomatica. Quasi gotica. Ricordava un vampiro di un film pop degli anni sessanta. Mikael notò che alcuni dei reporter fra il pubblico trattennero sorpresi il respiro e poi sorrisero divertiti quando fece la sua apparizione. Ora che fi-nalmente potevano vedere la chiacchierata ragazza della quale tanto avevano scritto, la trovavano all'altezza delle aspettative. Solo allora Mikael si rese conto che quello di Lisbeth era un travestimento. Di solito si vestiva senza cura e all'apparenza senza gusto. Mikael aveva sempre supposto che non lo facesse per seguire la moda ma per marcare la propria identità. Lisbeth Salander segnava la sua riserva personale come un territorio ostile. Mikael aveva sempre considerato le borchie della sua giacca di pelle un meccanismo di difesa, come gli aculei del riccio. Erano un segnale per il mondo. Non cercate di accarezzarmi. Finireste per farvi male. Questa volta però aveva accentuato il suo stile fino a un'esagerazione quasi parodistica. E Mikael aveva capito che non si trattava di un caso, ma di una parte della strategia di Annika. Se Lisbeth fosse arrivata ben pettinata, con una camicetta e delle scarpe basse, sarebbe sembrata un'imbrogliona che cercava di vendere una storia alla corte. Era una questione di credibilità. Invece era arrivata come se stessa e nessun altro. Esagerando un po' per fugare ogni dubbio. Non fingeva di essere qualcuno che non era. Il suo messaggio alla corte era che non aveva nessun motivo di vergognarsi né di mascherarsi per loro. Se la corte aveva problemi con il suo aspetto esteriore, non erano affari suoi. La società l'aveva accusata di questo e quest'altro e il procuratore l'aveva trascinata in tribunale. Con quella sua semplice apparizione, lei aveva già sottolineato che intendeva respingere i ragionamenti del pubblico ministero come semplici sciocchezze.

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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