La ragazza del treno - Paula Hawkins

>> martedì 5 gennaio 2016

Thriller originale per come è costruito perchè raccontato dai punti di vista delle 3 protagoniste. Le loro narrazioni si intrecciano e si integrano. Tutto si svolge in una linda e tranquilla cittadina ai margini di Londra dove La ragazza del treno è quella che all'inizio sembra l'unica fuori posto e border line: alcolizzata, in sovrappeso, sudicia, con frequenti amnesie, licenziata, depressa per non aver dato un figlio al marito che l'ha lasciata facendola sentire tremendamente in colpa. In realtà risulterà la migliore di tutti man mano che conosciamo gli altri personaggi che nascondono una meschinità abissale dietro la loro parvenza rispettabile. L'autrice non approfondisce più di tanto la psicologia dei personaggi (le altre due ragazze finiscono per assomigliarsi tantissimo) comunque il romanzo scorre bene verso un finale a sorpresa che però si intuisce superati i due terzi del libro. 

Martedì 16 luglio 2013 Mattina

Sono sul treno delle 8.04, ma non vado a Londra. Mi fermo a Witney, dove spero di ritrovare la memoria: una volta arrivata in stazione, mi sarà tutto chiaro e ricorderò quello che è successo. Non ci credo molto, ma non posso fare di più. Chiamare Tom è fuori discussione. Mi vergogno come una ladra, e poi lui è stato chiarissimo: non vuole più avere niente a che fare con me.
Megan è scomparsa da più di sessanta ore e la notizia è approdata alla stampa nazionale. Stamattina ne parlavano, tra gli altri, anche il sito della BBC e del «MailOnline».
Ho stampato gli articoli e li ho portati con me; li ho letti per ricostruire la vicenda.
Sabato sera Scott e Megan hanno litigato: un vicino ha sentito l’alterco. Scott ha ammesso la discussione e ha dichiarato che pensava che la moglie fosse andata a dormire da un’amica, Tara Epstein, che abita a Corly.
Megan non è mai arrivata da Tara, che dice di averla vista per l’ultima volta venerdì pomeriggio, alla lezione di pilates. (Lo sapevo che era una tipa da pilates.) Secondo la signora Epstein, «sembrava tranquilla, normale. Era di buon umore e parlava di organizzare qualcosa di speciale per il suo trentesimo compleanno, il mese prossimo».
Un testimone ha visto Megan incamminarsi verso la stazione di Witney alle sette e un quarto di sabato sera.
Nessun parente della donna vive in zona; i suoi genitori sono morti.
È disoccupata. Dirigeva una piccola galleria d’arte a Witney, ma ha chiuso l’attività nell’aprile dello scorso anno. (Lo sapevo che lavorava nel mondo dell’arte.)
Scott è un consulente informatico. (Non ci credo!)
Sono sposati da tre anni; abitano in Blenheim Road dal gennaio del 2012.
Secondo il «Daily Mail», la loro casa vale 400.000 sterline.
Dopo aver letto le notizie, mi rendo conto che la situazione non è facile per Scott, e non solo a causa del litigio. È così che funziona: quando succede qualcosa di brutto a una donna, la polizia sospetta subito del marito o del fidanzato. In questo caso, gli inquirenti non sono a conoscenza di tutti i fatti. Si concentrano sul marito, ma soltanto perché non sanno che c’è un altro uomo.
Forse sono l’unica a essere al corrente della sua esistenza.
Prendo un pezzo di carta nella borsa: è lo scontrino di due bottiglie di vino. Scrivo la lista delle spiegazioni più plausibili per la scomparsa di Megan Hipwell:
1. È scappata con l’amante, che chiameremo B.
2. B le ha fatto del male.
3. Scott le ha fatto del male.
4. Ha lasciato il marito e se n’è andata a vivere da un’altra parte.
5. Qualcuno le ha fatto del male, ma non è stato né Scott né B.
La prima spiegazione mi sembra molto probabile, così come la quarta, perché Megan è una donna indipendente e testarda, ne sono certa. Se davvero aveva un’altra relazione, forse ha avuto bisogno di allontanarsi per qualche giorno, per chiarirsi le idee. La quinta possibilità mi sembra poco realistica: non è così comune essere assassinati da uno sconosciuto.
La ferita alla testa mi fa male, e non posso fare a meno di ripensare al litigio di sabato sera: l’ho visto, ma forse l’ho immaginato, o soltanto sognato. Sollevo lo sguardo all’altezza della casa di Megan e Scott. Sento il sangue pulsarmi nelle tempie. Sono agitata e ho paura. Le finestre sembrano occhi spenti che riflettono la luce del mattino.

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Sopravvisuto - The Martian - Andy Weir

>> venerdì 1 gennaio 2016

A livello psicologico c'è un limite che spesso sperimentiamo nella vita di tutti i giorni e si chiama "fissità funzionale", cioè il rimanere fissati sulle funzionalità abituali di un oggetto e non riuscire a riconcettualizzarlo in modo diverso. Sarebbe sufficiente cambiare la nostra prospettiva, il nostro punto di vista e provare a pensare in maniera creativa e non convenzionale per trovare la giusta soluzione di un problema.
Ebbene il libro di Weir è praticamente un manuale del perfetto riutilizzatore creativo  di ciò che è disponibile sulla base marziana per sopravvivere.
Nonostante quello che si possa pensare non è un libro di fantascienza perchè tutte le attività e le soluzioni descritte hanno una base scientifica e sono realizzabili. Non siamo ancora sbarcati su Marte ma le attrezzature e le competenze necessarie sono al momento disponibili: è un discorso di budget. La descrizione del pianeta rosso su atmosfera, suolo, paesaggi, satelliti permette di fare un viaggio (
al momento) mentale fuori dal nostro pianeta. L'ironia del protagonista in parecchi passaggi rende più godibile il tutto.

Giornale di bordo: Sol 25

Ricordate i vecchi quesiti di matematica che vi sottoponevano nell’ora di algebra? L’acqua che entra in una data quantità per unità di tempo ed esce a un’altra e dovete calcolare quando il recipiente sarà vuoto? Ebbene, questo è un concetto fondamentale per il progetto “Mark Watney non muore” al quale sto lavorando.
Ho bisogno di creare calorie. E ne ho bisogno in quantità da durarmi per i 1387 sol fino all’arrivo di Ares 4. Se non vengo recuperato da Ares 4, sono morto comunque. Un sol dura 39 minuti più di un giorno terrestre, dunque corrisponde a 1425 giorni. Il mio obiettivo è questo: 1425 giorni di cibo.
Ho una notevole scorta di multivitaminici, più del doppio di quanti me ne servano. E il contenuto proteico di ciascuna confezione alimentare è cinque volte il minimo indispensabile, dunque con un razionamento oculato dei miei pasti il mio fabbisogno proteico è coperto per almeno quattro anni. Quanto a nutrizione sono quindi più o meno sistemato. Mi servono solo le calorie.
Ho bisogno di 1500 calorie ogni giorno. Per cominciare ho a disposizione 400 giorni di cibo. Dunque, quante calorie devo produrre al giorno durante l’intero periodo per rimanere in vita per circa 1425 giorni?
Vi risparmio l’aritmetica. La risposta è circa 1100. Per sopravvivere fino a quando arriverà Ares 4 ho bisogno di ricavare dalla mia coltivazione 1100 calorie al giorno. Un po’ di più, per la precisione, perché siamo già a Sol 25 e ancora non ho seminato niente.
Con i miei 62 metri quadrati di terreno coltivabile, posso ottenere 288 calorie al giorno. Dunque per sopravvivere ho bisogno di quadruplicare la mia produttività.
Significa avere a disposizione una superficie più ampia e un quantitativo maggiore di acqua con cui idratare il terriccio. Meglio affrontare i problemi uno per volta.
Quanto terreno coltivabile posso creare veramente?
Lo Hab mi offre 92 metri quadrati. Diciamo che riesca a utilizzarli tutti.
Ci sono anche cinque brande libere. Diciamo che metto terra anche su quelle. Sono un paio di metri quadrati ciascuna, per un supplemento totale di dieci. Siamo arrivati a 102.
Ci sono anche tre tavoli da laboratorio, ciascuno di un paio di metri quadrati di superficie. Ne voglio conservare uno da usare per me e assegnare due alla mia causa. Sono altri 4 metri quadrati per un totale di 106.
Ho due rover marziani. Sono pressurizzati in maniera che gli occupanti possano usarli senza indossare la tuta spaziale durante lunghi percorsi in superficie. Non c’è spazio utile all’interno da trasformare in terreno coltivabile e voglio comunque tenermeli per andare in giro. Però sono provvisti entrambi di una tenda a scatto.
Usare tende a scatto come terreni da coltura presenta parecchi problemi, ma ciascuna offre 10 metri quadrati di pavimento. Posto che riesca a superare i problemi relativi, avrei a disposizione altri 20 metri quadrati e porterei l’estensione del mio campo a 126.
126 metri quadrati di terreno coltivabile. Vale la pena lavorarci su. Ancora non ho l’acqua con cui inumidire tutto quel terreno, ma come ho detto, una cosa per volta.
La prossima questione da considerare è a quale grado di produttività posso coltivare patate. Avevo basato le mie previsioni sui dati della produzione industriale di patate sulla Terra. Ma i produttori di patate non sono impegnati come me in una disperata gara di sopravvivenza. Posso aumentare la produttività?
Per prima cosa posso dedicare attenzione a ogni singola pianta. Posso mondarle e proteggerne la salute e impedire che l’una interferisca con l’altra. In secondo luogo quando esce in superficie la pianta con i fiori, posso interrarla più in profondità, per poi piantare sopra di essa una pianta più giovane. Un simile procedimento non avrebbe senso per un normale produttore di patate, per il semplice fatto che loro lavorano su letteralmente milioni di piante.
Per giunta questo modo di operare esaurisce il terreno. Un contadino che lo facesse trasformerebbe i suoi campi in uno sterile deserto in non più di dodici anni. Non sarebbe sostenibile. Ma a me non importa niente, io ho bisogno di sopravvivere solo per quattro.
Con questa tattica calcolo di poter aumentare la mia produzione del 50 percento. E con i 126 metri quadrati di terreno coltivabile (un po’ più del doppio dei 62 che ho adesso) arrivo a più di 850 calorie al giorno.
Questo è progresso concreto. Correrei ancora il rischio di morire di fame, ma rientrerei in un tasso accettabile di sopravvivenza. Potrei farcela arrivando quasi a morire di fame ma non del tutto. Potrei ridurre il mio consumo di calorie minimizzando il lavoro fisico. Potrei aumentare la temperatura dello Hab in modo che il mio corpo avrebbe bisogno di meno energia per mantenere a livello la propria. Potrei tagliarmi via un braccio e mangiarlo, aumentando la mia assunzione di calorie di prima qualità e riducendo il mio fabbisogno calorico generale.
No, non proprio.
Diciamo dunque che riesca a preparare tutto quel terreno coltivabile. Mi sembra che si possa fare. Dove trovo l’acqua? Per passare da 62 a 126 metri quadrati di terreno alto dieci centimetri ho bisogno di altri 6,4 metri cubi di terriccio (e vai di vanga, iu-huu!) e per renderli fertili ho bisogno di più di 250 litri d’acqua.
I 50 litri che ho servono a me da bere se il depuratore si guasta. Dunque mi mancano 250 litri per raggiungere il mio obiettivo di 250 litri.
Puah. Me ne vado a letto.

[...]

Giornale di bordo: Sol 30

Per procurarmi l’acqua che mi serve ho un piano di una pericolosità che rasenta l’idiozia. E quando dico pericolosità, ragazzi, dico sul serio. Ma non ho molta scelta. Ho esaurito le idee e tra pochi giorni dovrò fare forzatamente una nuova doppia vangatura. Quando effettuerò quella finale, rivolterò le zolle su tutto il nuovo terriccio che ho portato dentro. Se prima non lo inumidisco, morirà.
Qui su Marte non c’è molta acqua. C’è del ghiaccio ai poli, ma sono troppo distanti. Se voglio dell’acqua, dovrò produrla dal nulla. Per fortuna ho la ricetta: prendi dell’idrogeno, aggiungici dell’ossigeno, brucia.
Prendiamoli uno per volta. Comincerò dall’ossigeno.
Ho un buon quantitativo di O2, ma non abbastanza per ricavarne 250 litri d’acqua. La mia provvista completa è costituita da due serbatoi ad alta pressione a un’estremità dello Hab (più naturalmente l’aria dentro lo Hab stesso). Ciascun serbatoio contiene 25 litri di O2 liquido. Lo Hab li userebbe solo in un’emergenza; per mantenere a livello costante l’atmosfera c’è l’ossigenatore. La presenza dei serbatoi di O2 si spiega con la necessità di alimentare le tute spaziali e i rover.
L’ossigeno di scorta sarebbe comunque sufficiente solo per 100 litri d’acqua (50 litri di O2 corrispondono a 100 litri di molecole con una O sola ciascuna). Significherebbe fine delle mie EVA e fine delle riserve di emergenza. E otterrei solo meno della metà dell’acqua che mi serve. Fuori questione.
Ma su Marte l’ossigeno è più facile da trovare di quanto si pensi. L’atmosfera è al 95 percento CO2. E si dà il caso che io abbia a disposizione una macchina il cui unico scopo è liberare ossigeno dal CO2. Vai, l’ossigenatore!
Un problema: l’atmosfera è molto rarefatta, meno dell’un percento della pressione che c’è sulla Terra. Perciò è difficile da raccogliere. Fare entrare l’aria da fuori è quasi impossibile. Lo scopo stesso dello Hab è impedire che una cosa del genere succeda. La minuscola quantità di atmosfera marziana che entra quando uso una camera d’equilibrio è risibile.
Ed ecco dove interviene il generatore di propellente del MAV.
I miei compagni si sono portati via il MAV settimane fa. Ma la parte inferiore è rimasta qui. La NASA non ha l’abitudine di mandare in orbita masse che non servono a niente. Quaggiù hanno lasciato la struttura per l’atterraggio, la rampa d’ingresso e il generatore di propellente. Ricordate come il MAV produceva il proprio propellente con l’aiuto dell’atmosfera marziana? Il primo passo è la raccolta di CO2 in un recipiente ad alta pressione. Una volta che avrò alimentato il generatore di propellente con l’energia dello Hab, avrò mezzo litro di CO2 all’ora, indefinitamente. Dopo dieci sol avrò raccolto 125 litri di CO2, che dopo essere passati per l’ossigenatore diventeranno 125 litri di O2.
Quanto basta per fabbricare 250 litri d’acqua. Dunque ho un piano per l’ossigeno.
L’idrogeno è un tantino più complicato.
Ho preso in considerazione una rapina ai danni delle pile all’idrogeno, ma ne ho bisogno per avere energia di notte. Senza, farebbe troppo freddo. Io potrei coprirmi, ma il freddo ucciderebbe la mia coltivazione. E ogni pila ha comunque solo una piccola quantità di H2. Non vale proprio la pena sacrificare tanta utilità per un guadagno così misero. Se c’è un aspetto positivo nella mia situazione è che l’energia non è un problema. Non è il caso di rinunciarci.
Dunque devo arrivarci per un’altra via.
Parlo spesso del MAV. Ma adesso voglio parlare dell’MDV.
Durante i più terribili ventitré minuti della mia vita, io e quattro dei miei compagni abbiamo cercato di non cacarci addosso mentre Martinez pilotava l’atterraggio dell’MDV. È stato più o meno come trovarsi dentro il cestello di un’asciugatrice.
Dapprima ci siamo staccati da Hermes e abbiamo decelerato la nostra velocità orbitale per cominciare a cadere in modo adeguato. Tutto è andato liscio finché non siamo arrivati nell’atmosfera. Se credete che la turbolenza sia forte su un jet che viaggia a 720 chilometri orari, immaginatevi come può essere a 28.000 chilometri orari.
Uno dopo l’altro si sono aperti automaticamente alcuni paracadute che hanno rallentato la nostra discesa, poi Martinez ci ha pilotati manualmente sul suolo usando i propulsori per regolare la velocità e controllare i nostri movimenti laterali. Aveva alle spalle anni di addestramento e ha fatto il suo lavoro straordinariamente bene. Il suo atterraggio ha superato ogni plausibile aspettativa, a soli nove metri dal bersaglio. Un successo che va tutto a credito di Martinez.
Grazie, amico mio! Può darsi che tu mi abbia salvato la vita!
Non per via dell’atterraggio perfetto, ma per aver lasciato indietro tutto quel propellente. Centinaia di litri di idrazina non utilizzata. Ogni molecola di idrazina contiene quattro atomi di idrogeno. Quindi ogni litro di idrazina ha abbastanza idrogeno per due litri di acqua.
Oggi ho fatto una piccola EVA per controllare. Nei serbatoi dell’MDV sono rimasti 292 litri di propellente. Abbastanza per fabbricare quasi 600 litri d’acqua! Molto più di quella che mi serve!
C’è solo un piccolo inconveniente: liberare idrogeno dall’idrazina è… be’, è il modo in cui funzionano i razzi. È una faccenda molto, molto calda. E pericolosa. Se lo facessi in un’atmosfera di ossigeno, l’idrogeno rovente appena liberato esploderebbe. Alla fine ci sarebbe un grosso quantitativo di H2O, ma io sarei troppo morto per rallegrarmene.
Fondamentalmente l’idrazina è molto semplice. I tedeschi l’hanno usata già nella seconda guerra mondiale come carburante per i razzi di spinta ausiliaria di certi aerei da combattimento (e ogni tanto saltavano in aria insieme a essi).
Basta versarla su un catalizzatore (che posso estrarre dal motore dell’MDV) e si scinderà in azoto e idrogeno. Vi risparmio la chimica, ma il risultato finale è che cinque molecole di idrazina diventano cinque molecole di innocuo N2 e dieci molecole di delizioso H2. Durante questo processo passa per una fase intermedia in cui diventa ammoniaca. La chimica, da quella stronza inetta che è, fa sì che parte dell’ammoniaca non reagisca con l’idrazina e rimanga quindi ammoniaca. Vi piace l’odore dell’ammoniaca? Be’, nella mia esistenza progressivamente sempre più infernale diventerà un elemento costante.
La chimica è dalla mia. La domanda ora è: come faccio a ottenere che questa reazione avvenga lentamente e come faccio a raccogliere l’idrogeno? La risposta è: non lo so.
Immagino che qualcosa mi verrà in mente. O morirò.

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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