L'Isola del tesoro - Robert Louis Stevenson

>> domenica 19 giugno 2011

Libro che ha avuto un'influenza enorme sulla letteratura di genere e sulla cinematografia. Tutto il ciclo Pirati dei Caraibi ne è profondamente debitore. È un classico e come spesso accade ne senti parlare e non lo leggi mai. Questa volta non mi sono fatto sfuggire l'occasione. Alla fine ne ho avuto la stessa impressione di "Alice nel paese delle meraviglie" di Carroll: non è proprio un libro per ragazzi. Per alcune situazioni e descrizioni è da pubblico adulto.  Il personaggio più affascinante è sicuramente Long John Silver che dimostra la maestria di Stevenson nel maneggiare l'ambiguità dell'uomo (che troverà il suo apice nel successivo dottor Jekyll). Allego le parti del romanzo più significative su Long John che fanno emergere un personaggio credibile nonostante le contraddizioni dei comportamenti e delle regole morali.               

Io volevo una buona ventina d'uomini, per l'eventualità d'incontri con indigeni o pirati o con quei dannati francesi, e m'era costato una fatica del diavolo trovarne non più d'una mezza dozzina, quando uno straordinario colpo di fortuna mi portò tra le gambe proprio l'individuo che faceva per me. Ero sul molo e per puro caso attaccai discorso con lui. Seppi ch'era un vecchio marinaio, che aveva un'osteria, conosceva tutta quanta la gente di mare di Bristol, si era guastata la salute rimanendo a terra, e cercava un buon posto di cuoco a bordo per ritornare sul mare. Quel mattino se n'era venuto zoppicando fin lì, diceva, per prendervi una boccata d'aria salmastra. Io ne fui profondamente commosso, come sarebbe capitato a voi stesso, e per pura compassione lo ingaggiai lì per lì come cuoco di bordo. Si chiama Long John Silver, e gli manca una gamba; ma questo particolare conta per me come una raccomandazione, poiché codesta gamba egli l'ha perduta servendo la Patria sotto gli ordini dell'immortale Hawke. Eppure, non gli passano un centesimo di pensione. In che tristi tempi viviamo, Livesey! Ebbene, io credevo fin qui di non aver trovato che un cuoco, ed era invece una intera ciurma che avevo scoperto. Fra tutti e due riuscimmo in pochi giorni a radunare una brigata dei più induriti vecchi lupi di mare che si potesse immaginare, non certo belli da vedere, ma dei tipi, come il loro aspetto dimostra, dalla tempra indomabile. Vi assicuro che potremmo affrontare una fregata. Long John si è sbarazzato di due dei sei o sette che io già avevo ingaggiati. Egli non durò fatica a persuadermi ch'erano dei marinai d'acqua dolce per nulla adatti a un'impresa di così maschia importanza. Io sto magnificamente bene di corpo e di spirito: mangio come un bue e dormo come un ceppo; ma non me la godrò se non quando sentirò intorno all'àrgano lo scalpiccìo dei miei vecchi lupi di mare. Al largo! Al diavolo il tesoro! E' la gloria di questo mare che mi ha fatto girar la testa! Sicché, Livesey, venite senza indugio: non perdete un'ora, se mi volete bene. Mandate il giovane Hawkins a salutar sua madre accompagnato da Redruth; e poi volate a Bristol.
[...]
Il signor Trelawney aveva navigato, e la sua esperienza ci giovava non poco, poiché egli stesso con tempo tranquillo stava spesso di guardia. E il quartiermastro, Israel Hands, era un vecchio e pratico uomo di mare, prudente e astuto, del quale, in caso di necessità, ci si poteva fidare. Egli era l'amico del cuore di Long John Silver, e poiché mi accade di nominarlo, parlerò del nostro cuoco di bordo: Porco-Arrostito, come lo chiamavano i marinai. A bordo, per aver le mani libere il più possibile, egli portava la sua gruccia sospesa a una coreggia che gli girava intorno al collo, ed era curioso vederlo puntare contro una paratia il piede della gruccia, e appoggiato lì sopra, assecondando le ondulazioni della nave, continuare a curare la sua cucina tranquillo come se fosse a terra. Anche più curioso era, nel pieno della burrasca, vederlo attraversare il ponte. Per aiutarlo nei posti più larghi, erano state tese alcune cordicelle (dette gli orecchini di Long John), ed egli si spostava da un punto all'altro, ora servendosi della gruccia, ora trascinandosela dietro per la coreggia, con la sveltezza di un uomo sano. Nondimeno, quelli tra i marinai che prima avevano navigato con lui, vedendolo così ridotto lo compiangevano. "Porco-Arrostito non è un uomo qualunque" mi diceva il quartiermastro. "Da ragazzo ha fatto i suoi studi, e parla come un libro, quando ne ha voglia; e bravo poi! un leone è nulla, al paragone di Long John! Io l'ho visto alle prese con quattro, e fracassar loro la testa, una testa contro l'altra, lui disarmato!" L'equipaggio intero lo rispettava egli obbediva. Con ciascuno di loro aveva una speciale maniera di parlare e rendere servigi. A me non si stancava di prodigar cortesie; e era contento di vedermi nella cucina, che teneva pulita come uno specchio, coi piatti rilucenti appesi al muro, e, in un angolo, dentro una gabbia, il suo pappagallo. "Vieni qua, Hawkins" diceva "a fare una chiacchierata con John. Nessuno è più benvenuto di te, piccolo mio. Siedi, e ascolta le novità. Ecco qui il capitano Flint: chiamo così il mio pappagallo in memoria del famoso filibustiere, ecco qui il capitano Flint che predice buona fortuna al nostro viaggio. Non è vero, capitano?" E il pappagallo a gridare a perdifiato: "Pezzi da otto! Pezzi da otto!" finché John non gli gettava il fazzoletto sopra la gabbia. "Vedi, quest'uccello" egli diceva, "può avere i suoi duecent'anni, mio caro Hawkins, i pappagalli vivono magari di più, e se c'è uno che abbia visto più scelleratezze di lui, non può essere che il diavolo. Lui ha navigato con England, il grande capitano England, il pirata. Lui è stato nel Madagascar, nel Malabar, a Surinam, a Providence, e a Porto Bello; lui ha visto ripescare le navi della Plata, ed è là che imparò "Pezzi da otto": e non deve meravigliarti: trecento e cinquanta mila, ce n'erano, Hawkins! E si è trovato all'abbordaggio del 'Viceré delle Indie', al largo di Goa. E a vederlo, lo diresti un bambino! Ma tu hai sentito l'odore della polvere, non è vero, capitano?" "Attenti! Pronti a virare!" strillò il pappagallo. "Ah, è un cervello fino, questo qui!" diceva il cuoco, porgendogli zucchero tratto dalla tasca, mentre l'uccello picchiava col becco sulla gabbia e snocciolava una sfilza di bestemmie infernali. "Così è, ragazzo mio" seguitava John. "Chi va al mulino s'infarina. Così questo mio povero vecchio innocente uccello, che vomita fuoco, e non troveresti, te l'assicuro, una creatura più savia di lui. Bestemmierebbe, tanto per dire, alla stessa maniera davanti al cappellano." E John si toccava la fronte con tale gravità e compunzione che lo si sarebbe creduto un sant'uomo.

[...]
Con tutto il corpo entrai nel barile, e trovai che mele non ve n'era quasi più; ma stando lì dentro al buio, cullato dal rullìo della barca e dal mormorìo dell'acqua, mi sarei presto addormentato se qualcuno dalla pesante corporatura non fosse venuto a sedersi rumorosamente lì contro. Il barile ebbe una scossa mentr'egli vi urtò con le spalle, ed io stavo per saltar fuori, quando costui incominciò a parlare. Era la voce di Silver; e mi bastò udire dieci parole, che per tutto l'oro del mondo non sarei più uscito; e rimasi lì, tutto tremante, in ascolto, preso tra curiosità e spavento; poiché da quelle poche parole avevo capito che la vita di tutti i galantuomini a bordo dipendeva unicamente da me.
"No, non io" diceva Silver "era Flint il capitano; io ero quartiermastro, a causa della mia gamba di legno. Io perdetti la mia gamba nella stessa bordata dove il vecchio Pew lasciò la vista. Era un dottore in chirurgia quello che mi amputò la gamba, uscito dall'Università con tutti i diplomi, latino fin che ne vuoi e non so che altro, ma fu impiccato come un cane, e seccò al sole con gli altri a Corso Castle. Erano uomini di Roberts, quelli là; e tutta la loro` disgrazia derivò dall'aver cambiato i nomi delle loro navi: "Royal", "Fortune", e così via. Ora, quando un bastimento è battezzato con un nome, questo nome non si deve toccare, io dico. Così fu con la "Cassandra" che ci trasportò sani e salvi dal Malabar, dopo che England ebbe catturato il "Viceré delle Indie"; così fu col vecchio "Walrus", la nave di Flint, che io vidi allagata di sangue e carica d'oro che a momenti affondava." "Ah," gridò un'altra voce, quella del più giovane marinaio, in uno scatto di ammirazione "era la perla della brigata, Flint!" "Anche Davis era un uomo, sotto tutti i punti di vista" riprese Silver. "Ma io non ho mai navigato con lui: prima con England, poi con Flint; questo è tutto; e ora qui, per conto mio, per modo di dire. Io misi da parte novecento sterline al tempo di England, e duemila dopo Flint. Non c'è mica male per un uomo di prua, e tutto in banca, al sicuro. Guadagnare non è niente; ciò che conta è mettere da parte: credete a me. Cosa ne è degli uomini di England, ora? Io non lo so. E di quelli di Flint? Eh, la maggior parte sono qui a bordo, contenti di pizzicar la torta, mentre ieri andavano mendicando, alcuni di loro. Il vecchio Pew, persa la vista, non ebbe vergogna di scialacquare milleduecento sterline in un anno, come un lord del Parlamento. Dov'è ora? Ebbene, ora è morto e sotto coperta; ma nei suoi due ultimi anni il poveraccio crepava di fame. Mendicava, rubava, sgozzava, e con tutto ciò crepava di fame, per mille diavoli!" "Ebbene, dopo tutto non importava" osservò il giovane. "Non importa per gli imbecilli, puoi star sicuro; né per questo, né per nient'altro" gridò Silver. "Ma tu, senti un po': tu sei giovane, è vero, ma sei una perla d'uomo. Me ne accorsi appena ti misi gli occhi addosso, e voglio parlarti come si parla a un uomo." Vi lascio immaginare ciò che provai sentendo quell'abominevole briccone rivolgersi a un altro con le medesime parole lusingatrici che già aveva adoperate con me. Credo che se fosse dipeso da me, l'avrei ucciso attraverso il barile. E intanto continuava, lontano dal supporre che c'era chi l'ascoltava. "Così è per tutti i cavalieri di ventura. Essi vivono duramente, e rischiano la corda, però mangiano e bevono come pascià, e quando una crociera è finita, olà, sono centinaia di sterline e non di soldi, che gli entrano in tasca. Il guaio è che la maggior parte se ne va in rum e sciali, e tornano in mare con la sola camicia. Ma questo non è il mio sistema. Io metto tutto da parte: un po' qui, un po' là; e mai troppo in un posto solo, a scanso di sospetti. Io ho cinquant'anni, tienilo a mente; finita questa crociera mi metto a fare il signore sul serio. Mi dirai che era tempo. Sì, ma intanto io ho vissuto comodamente; mai nulla di ciò che mi piaceva mi sono lasciato mancare, e ho dormito sul soffice, e tutto il tempo ho mangiato da ghiotto, eccetto che in mare. E come ho cominciato? Da prua, come te." "Va bene" replicò il giovane "ma tutto il denaro che avete da parte ora è perduto, no? Dopo questo colpo non oserete mica farvi più vedere a Bristol." "O dove diavolo immagini che sia?" chiese Silver ironico. "A Bristol, nelle banche o altri posti" rispose il compagno. "C'era sì" disse il cuoco "c'era ancora quando salpammo l'àncora. Ma a quest'ora è tutto nelle mani della mia vecchia governante. Il 'Cannocchiale' è venduto: affitto, avviamento, mobilia; e la vecchia ragazza è partita per aspettarmi. Ti direi dove, perché di te mi fido; ma non voglio suscitare gelosie tra i compagni." "E voi vi fidate della vostra governante?" chiese l'altro. "I cavalieri di ventura" rispose il cuoco "generalmente si fidano poco gli uni degli altri, e hanno ragione, credilo pure. Ma io ho il mio metodo, io. Quando un camerata mi gioca un tiro, uno che mi conosce, intendo dire, significa che non gli piace troppo restare al mondo insieme col vecchio John. C'era chi aveva paura di Pew, e chi di Flint; ma lo stesso Flint aveva paura di me. Paura, aveva, malgrado la sua arroganza. E la ciurma di Flint era la più rude canaglia che tenesse i mari; lo stesso diavolo avrebbe avuto paura di navigare con loro. Ebbene, ti dico, io non sono un millantatore, e tu stesso hai visto come sono buon compagnone; ma quando navigavo da quartiermastro, 'agnelli' non era un nome adatto ai vecchi filibustieri di Flint. Ah, tu puoi esser sicuro del fatto tuo, sul bastimento del vecchio John." "Ebbene, voglio dire" replicò il giovane "che fino a un momento fa l'affare non mi garbava, ma ora che vi ho sentito parlare, sono con voi." "Sei un bravo e sveglio ragazzo, tu" rispose Silver, dandogli una così forte stretta di mano che il barile ne fu scosso. "Mai ho visto persona meglio indicata per farne un cavaliere di ventura." Io cominciavo ad afferrare il senso dei loro termini. "Cavaliere di ventura" significava semplicemente e né più né meno che un volgare pirata, e la breve scena da me sorpresa suggellava la corruzione di uno dei marinai rimasti onesti, forse dell'ultimo che ancora fosse a bordo. Ma su queste cose fui presto messo al corrente, poiché Silver lanciò un piccolo fischio, ed un terzo uomo sopraggiunse e sedette accanto agli altri due. "Dick è dei nostri" disse Silver. "Oh lo sapevo bene che Dick sarebbe stato dei nostri" ribatté la voce del quartiermastro Israel Hands. "Non è uno stupido, Dick." E masticò la sua cicca e sputò. "Ma senti un po', Porco-Arrostito, si può sapere quanto tempo resteremo qui a ciondolare come una chiatta? Ne ho abbastanza del capitano Smollett, io; mi ha rotto abbastanza le scatole, corpo di mille bombe! Voglio andare in quella cabina, io. Voglio i loro cetrioli, i loro vini, e il resto." "Israel," proruppe Silver "la tua testa non ha molto giudizio, e non ne ha mai avuto. Però tu sei capace d'ascoltare, io penso: almeno, le orecchie le hai abbastanza lunghe. Ora, ecco ciò che ti dico: tu dormirai a prua, vivrai malamente, parlerai piano e non ti ubriacherai finché io non darò il segnale: così sarà, ragazzo mio, te l'assicuro io." "E ho forse detto il contrario io?" borbottò il quartiermastro. "Io chiedo soltanto: quando? Io non dico che questo." "Quando? Per mille diavoli!" scattò Silver. "Ebbene, se vuoi saperlo, te lo dirò. Più tardi che mi sarà possibile: ecco quando. Abbiamo qui un marinaio di prim'ordine, il capitano Smollett, che ci conduce. C'è il cavaliere e il dottore che hanno in mano una carta e non so che altro. Questa carta io non so dove sia. Né tu lo sai meglio di me. Allora, dunque, io desidero che il cavaliere e il dottore trovino la "mercanzia", e ci aiutino a imbarcarla, per tutti i diavoli. Dopo di che, vedremo. Se io fossi sicuro di tutti voi, doppi figli di olandesi, aspetterei a fare il colpo quando il capitano Smollett ci avesse riportato indietro fino a metà cammino." "Ebbene, a me pare che siamo tutti quanti bravi marinai, qui" osservò il giovane Dìck. "Vuoi dire che siamo tutti uomini di prua" insorse Silver. "Noi possiamo sì seguire una rotta, ma chi è che ce la dà? E' lì dove vi arenereste tutti dal primo all'ultimo, voi cavalieri di ventura. Potessi fare a modo mio, aspetterei che il capitano Smollett ci riportasse almeno fin negli alisei; allora niente più maledetti sbagli di calcoli, né acqua a razione d'una cucchiaiata al giorno. Ma io vi conosco bene voi! Mi sbarazzerò di loro nell'isola, appena che la "mercanzia" sarà a bordo, ed è un peccato. Ma voi non siete contenti finché non siete ubriachi. Maledizione! Sono nauseato di dover a navigare con gente simile!" "Piano! Piano!" protestò Israel. "E chi ti ha contraddetto?" "Eh, pensate un po' quanti grandi bastimenti ho visto ammarinati, io. E quanti diavoli di ragazzi seccare al sole sul Dock della Forca," gridò Silver "e tutto per questa sciagurata smania di fare in fretta, fare in fretta, fare in fretta. Capite? Qualcosa in mare posso dire d'aver visto, io. Se voi seguiste semplicemente la vostra rotta tenendovi stretti al vento, potreste passeggiare in carrozza, voi. Ma voi, no! Oh, vi conosco bene. Domani avrete la vostra boccata di rum, e andate a farvi impiccare." "Che tu parli come un predicatore, lo si sa, John; però ci furono pure altri capaci di manovrare e governare non meno bene di te" ribatté Israel. "Ma loro ammettevano lo scherzo, loro. Non erano affatto così superbi e intrattabili; e si prendevano le loro punzecchiature da allegri compagnoni tutti quanti." "Ah sì?" riprese Silver. "E dove sono ora? Pew, che era di quella razza, finì mendicante. Flint, lo stesso, e morì bruciato dal rum a Savannah. Oh, erano una graziosa brigata, erano. Soltanto, mi sapete dire dove sono?" "Ma" interruppe Dick "quando avremo quei signori nelle mani, che ne faremo?" "Ecco un uomo che mi va!" gridò il cuoco ammirato. "Questo si chiama aver senso pratico. Ebbene, che pensereste voi? Abbandonarli a terra? Sarebbe il metodo di England. O tagliarli a pezzi come carne di porco? Così avrebbe fatto Flint o Billy Bones." "Billy era uomo da far questo" disse Israel. "'Uomo morto non morde,' era solito dire. Be', lui stesso è morto, ora; e conosce il poco e il molto, ora; e se mai rude marinaio entrò in porto, fu Billy." "Giusto" appoggiò Silver «rude e pronto, era. Ma badate: io sono un uomo alla mano, un vero gentiluomo, nevvero? però stavolta la cosa è seria. Il dovere è dovere, amici miei. Io sono per la morte. Quando sarò al Parlamento, e mi farò scarrozzare nel mio cocchio, non vorrei che qualcuno di questi "avvocati di mare" della cabina ritornasse in paese improvvisamente come il diavolo alla preghiera. Aspettare, dico io: ma quando il momento arriva, colpire! "John," gridò il quartiermastro "tu sei un uomo!" "Lo dirai quando avrai visto. Io per me non domando che una cosa: Trelawney. Con queste mani gli sviterò la sua testa di vitello... Dick!" aggiunse poi interrompendosi "alzati, da bravo, e prendimi una mela, che possa inumidirmi la gola." Potete immaginare il mio terrore. Sarei balzato fuori e scappato via se ne avessi trovato la forza: ma cuore e muscoli mi mancarono. Sentii Dick muoversi: ma qualcuno parve trattenerlo. E la voce di Hands esclamò: "Lascia stare, John, quella roba che puzza di sentina. Beviamo piuttosto un sorso di rum." "Dick" acconsentì Silver "io mi fido di te. C'è una misura sul barilotto, fai attenzione. Eccoti la chiave: tu riempi una mezzetta e la porti su." "Così" pensavo tra me stretto dal terrore "Arrow doveva essersi procurati i liquori che l'avevano ucciso." Mentre Dick era via, Israel sussurrò qualcosa all'orecchio del cuoco. Non furono che poche parole, tra le quali però io colsi un'importante frase: "Nessun altro sarà con noi". Avevamo dunque ancora degli uomini fedeli, a bordo. Ritornato Dick, essi bevvero uno dopo l'altro, passandosi la mezzetta. Uno augurò: "Alla nostra buona fortuna!". L'altro: "Al vecchio Flint!". E Silver, come cantando: "Beviamo a noi, e teniamoci al vento. Torta, e bottino d'oro e d'argento!" In quel momento una piccola luce entrò nel barile, e alzando gli occhi io vidi che la luna si era levata e stava inargentando la cima dell'albero di mezzana e illuminando il biancore della vela prodiera. Quasi nello stesso istante la voce della vedetta gridò: "Terra!" 
[...]
Strisciai sotto il fogliame d'una quercia sempreverde, e là mi rannicchiai a origliare, muto come un pesce. Un'altra voce rispose, dopo di che la prima, che ora riconoscevo per quella di Silver, riprese, e continuò a lungo con una abbondanza torrenziale, interrotta solo di tratto in tratto dall'altra. A giudicare dal tono, discutevano animatamente e quasi litigavano: ma nessuna parola giungeva distinta ai miei orecchi. Finalmente sembrò che i due si fermassero, e forse anche sedettero, poiché non solo smisero di avvicinarsi, ma nella pausa gli stessi uccelli si acquietarono e a poco a poco scesero a riprendere i loro posti nello stagno. A questo punto io mi accorsi che stavo trascurando la mia faccenda. Dal momento che ero stato così scioccamente ardito da accompagnarmi con quei disperati, il meno che potessi fare era di spiarne le mosse, e mio evidente dovere era avvicinarmi loro il più possibile, protetto dal fogliame degli alberi ricurvi. Io potevo stabilire con sufficiente esattezza la direzione in cui si trovavano gli interlocutori, non soltanto dal suono delle loro voci, ma anche dal modo di comportarsi di alcuni uccelli che tuttora svolazzavano spaventati sule teste degli intrusi. Strisciando gatton gattoni con studiata lentezza mi diressi verso loro, e alla fine alzando la testa potei, attraverso un buco tra le foglie, spingere lo sguardo in una piccola radura verde vicino alla palude e stretta tra gli alberi, dove Long John Silver e un altro della ciurma stavano faccia a faccia discorrendo. Il sole li investiva in pieno. Silver aveva gettato il suo cappello sull'erba, e il suo largo, glabro e biondo viso, lucido per il calore, era alzato verso quello del camerata in atto di esortare. "Amico mio" diceva "è perché ti stimo come l'oro, come l'oro, ti dico, e puoi credermi sulla parola! Se io non ti fossi attaccato come la pece, ti pare che sarei qui a metterti in guardia? Tutto è deciso, tu non puoi né togliere né aggiungere nulla: è per salvar la tua testa che ti parlo: che se uno di questi cani lo sapesse, che accadrebbe di me, Tom? Dimmi tu, che accadrebbe di me?" "Silver" replicò l'altro col volto in fiamme e la voce rauca come quella del corvo, che tremava come una corda tesa "Silver, tu sei un uomo d'età, e sei onesto, almeno tale sei ritenuto; e in più hai del denaro, che tanti poveri marinai non hanno, e sei anche bravo, se non sbaglio. E vorresti farmi credere che ti lasci comandare da quella massa di gaglioffi? Oh no! Com'è vero che Dio mi vede, preferirei perdere questa mano... Se io rinnego il mio dovere..." Qui fu interrotto da un improvviso rumore. Avevo scoperto uno dei marinai onesti, ed ecco che, nel medesimo istante, un altro mi si rivelava. Lontano nella palude qualcosa come un grido di collera ferì l'aria; un altro subito lo seguì, e infine un urlo orribile e prolungato. Le rocce del Cannocchiale lo riecheggiarono molte volte; l'intera moltitudine degli uccelli di palude scattò di nuovo in alto, oscurando il cielo con un repentino e tumultuoso volo; e quell'urlo disperato mi risuonava ancora dentro mentre il silenzio aveva da tempo ripreso il suo dominio, e soltanto il frusciare degli uccelli che ridiscendevano, e il rombo della risacca lontana turbavano la stanca quiete del pomeriggio. Tom, al rumore, era balzato come un cavallo sotto lo sprone; ma Silver non mosse ciglio: rimase là dov'era, leggermente appoggiato alla sua gruccia, sorvegliando il compagno come un serpente pronto a schizzare. "John" disse il marinaio protendendo la mano. "Giù le mani!" intimò Silver saltando indietro un metro con la disinvolta rapidità di un esperto ginnasta. "Giù le mani, se ti piace, John Silver" disse l'altro. "Se hai paura di me, vuol dire che hai cattiva coscienza. Ma, in nome del Cielo, che accade?" "Che accade?" replicò Silver sorridendo, ma più in guardia che mai, con gli occhi piccoli come capocchie di spillo nella larga faccia, scintillanti come pezzetti di vetro. "Che accade? Oh, io credo che si tratta di Alan..." A queste parole il povero Tom avvampò di una luce eroica. "Alan!" gridò. "Allora la sua anima riposi in pace. Era un vero marinaio. Quanto a te, John Silver, tu fosti a lungo mio compagno, ma ora non lo sei più. Se io muoio come un cane, morirò compiendo il mio dovere. Tu hai fatto uccidere Alan, non è vero? Ebbene, ammazza anche me, se ne hai il coraggio. Io ti sfido." Detto ciò, quel bravo ragazzo voltò le spalle al cuoco e s'incamminò verso la spiaggia. Ma non doveva andare lontano. Con un muggito John si attaccò a un ramo d'albero, e liberata la sua gruccia dall'ascella la scaraventò nell'aria. La strana freccia colpì Tom con la punta proprio in mezzo alla schiena con tale violenza che il poveretto, levate le braccia e emesso un gemito, cadde. Era ferito: ma se gravemente o no, chi poteva dirlo? A giudicare dal rumore, credo che avesse la spina dorsale spezzata. Ma Silver non gli lasciò tempo di riprendersi. Agile come una scimmia e pure senza la gruccia, in un lampo gli fu addosso, per ben due volte immerse il suo coltello fino al manico in quel corpo senza difesa. Dal mio nascondiglio lo sentii ansimare forte mentre portava i colpi. Io non so cosa veramente sia svenire; ma so che per qualche istante ciò che mi circondava sparì dalla mia vista, confuso dentro un nebbioso caos. Silver, e gli uccelli, e l'alta vetta del Cannocchiale turbinavano insieme, confusi, davanti ai miei occhi; e non so quante campane e ronzii di voci lontane mi rintronavano gli orecchi. Quando ripresi coscienza, lo scellerato, gruccia sotto il braccio, cappello in testa, già si era ricomposto. Davanti a lui, immobile sull'erba, giaceva Tom: ma l'assassino non si curava minimamente di lui, badando a pulire sopra un ciuffo d'erba il suo coltello sporco di sangue. 
[...]
Era uno spasso vederli, come assistere a una scena di teatro. "E ora" riprese Silver "ecco qua. Voi ci date la carta perché possiamo procurarci il tesoro, e smettete di sparare sui poveri marinai e spaccar loro la testa mentre dormono. Voi fate ciò, e noi vi lasciamo liberi di scegliere: o venite a bordo con noi una volta caricato il tesoro, nel qual caso io m'impegno sulla mia parola d'onore a sbarcarvi in qualche luogo sani e salvi; oppure, se ciò non vi aggrada, visto che parecchi dei miei uomini hanno un caratteraccio e conservano vecchie ruggini a causa di punizioni, allora potete restare qui, potete. Noi divideremo con voi le provviste, tanto per ciascuno, ed io m'impegno, come sopra, ad avvertire la prima nave che incontro, e a mandarla qui a prendervi. Ora mi ammetterete che questo è parlare. Potevate volermi più liberale di così? No di certo. Ed io spero" e qui alzò la voce "che tutti i vostri compagni qui dentro rifletteranno alle mie parole, perché ciò che è detto a uno è detto a tutti." Il capitano Smollett, alzatosi, batté la pipa contro il palmo della mano scuotendone la cenere. "E' tutto qui?" domandò. "L'ultima mia parola, corpo di mille bombe!" rispose. "Respingetela, e non avrete da me altro che pallottole di moschetto." "Benissimo" disse il capitano. "E ora sentite me. Se voi verrete uno per uno disarmati, io m'impegno a mettervi tutti quanti ai ferri e trasportarvi in Inghilterra dove vi si allestirà il vostro bravo processo. Se rifiutate, sappiate che io mi chiamo Alessandro Smollett, che ho issato la bandiera del mio sovrano, e vi spedirò tutti all'inferno. Voi non potete scoprire il tesoro. Voi non potete manovrare l''Hispaniola': non c'è tra voi un uomo capace di ciò. Voi non potete combatterci. Gray, qui, si è sbrigato di cinque di voi. La vostra barca è mal governata, mastro Silver; siete sottovento, e correte a battere nei frangenti. Ve ne accorgerete. Io rimango qui, ve lo dichiaro netto. Sono le ultime parole amichevoli che vi rivolgo, perché vi giuro in nome del Cielo che la prossima volta che v'incontrerò vi caccerò una palla nella schiena. Presto, ragazzo mio. Liberateci della vostra presenza, vi prego, e via, un piede dopo l'altro, e al galoppo." La faccia di Silver era impressionante: gli occhi, nella rabbia, gli schizzavano fuori della testa. Scuoté la pipa ancora accesa, e gridò: "Datemi una mano!" "Io no!" replicò il capitano. "Chi mi dà una mano per rialzarmi?" grugnì il miserabile. Nessuno di noi si mosse. Masticando le più zozze imprecazioni si trascinò sulla sabbia finché riuscì ad attaccarsi alla parete del vestibolo, e a alzarsi di nuovo sulla gruccia. Allora sputò nella sorgente. "Ecco" gridò "il conto che faccio di voi. Entro un'ora vi riscalderò come un ponce nel vostro fortino. Ridete, corpo di Satanasso, ridete pure! Tra un'ora riderete al rovescio. Quelli che moriranno saranno i più fortunati." E con una spaventosa bestemmia si allontanò, inciampando e affondando nella sabbia; e con l'aiuto dell'uomo con il vessillo parlamentare riuscì, dopo quattro o cinque tentativi falliti, a scavalcare la palizzata. Un istante dopo scompariva dietro gli alberi.
[...]
"E così, ecco qua Jim Hawkins, morte delle mie ossa, piovuto a farci visita, eh? Vieni, vieni pure, io prendo la cosa amichevolmente." Così dicendo sedette sul barile dell'acquavite e si mise a riempire la pipa. E, dopo che ebbe acceso: "Va bene, ragazzo: pianta la torcia nella catasta della legna; e voi, signori miei, andate pure: non è il caso dl rimanere in piedi per il signor Hawkins: egli vi scuserà, state tranquilli." "E così, Jim" e caricava il tabacco "eccoti qui: una ben amabile sorpresa per il povero vecchio John. Io m'ero accorto che tu eri un ragazzo sveglio, quando ti misi gli occhi addosso la prima volta: ma ora quest'improvvisata finisce di sbalordirmi, finisce." A tutto ciò, naturalmente, io nulla replicai. Essi mi avevano messo con le spalle al muro; ed io rimanevo là, guardando Silver in faccia, con un piglio abbastanza coraggioso, forse, ma con in cuore la più cupa disperazione. Silver tirò con molto sussiego una o due boccate di fumo, e continuò: "E ora, Jim, dal momento che ti trovi qui, voglio un po' dirti come la penso. Tu mi sei sempre stato caro come un ragazzo di spirito, ed io t'ho amato come l'immagine di me stesso quando ero giovane e bello. Ho sempre desiderato che ti unissi a noi per avere la tua parte e morire da gentiluomo; e ora, ecco che ci sei venuto, mio piccolo ardito. Il capitano Smollett è un distinto uomo di mare, non mi stancherò di riconoscerlo: ma quanto a disciplina è inflessibile. "Il dovere è dovere" dice lui, e ha ragione. Devi guardarti dal capitano, tu. Lo stesso dottore ce l'ha a morte con te: "ingrato furfante", così ti chiamava; e insomma la conclusione è questa, che tu non puoi ritornare coi tuoi perché di te non si vuol più sapere; e a meno che tu non formassi un terzo equipaggio, nel qual caso non raccoglieresti gran compagnia, non ti resta che unirti al capitano Silver." Fin qui tutto andava bene. I miei amici vivevano dunque, e sebbene io credessi vera in parte l'affermazione di Silver, che quelli della cabina me ne volevano per la mia diserzione, le parole udite mi diedero più sollievo che afflizione. "Quanto al fatto che sei nelle nostre mani" continuò Silver "e che ci sei non ne puoi dubitare, io non dirò nulla. Io preferisco ragionare: dalle minacce non ho mai visto uscir niente di buono. Se il servizio ti quadra, ebbene, tu ti arruoli con noi; se non ti quadra, sei padrone padronissimo di dir di no, camerata mio; e se c'è un marinaio al mondo capace di parlare più chiaro di così, Dio mi fulmini!" Attraverso tutte queste beffarde parole io avevo bene avvertito la minaccia di morte che mi pendeva sul capo; le mie guance scottavano e il mio cuore martellava affannosamente dentro il mio petto. "Devo dunque rispondere?" chiesi con un filo di voce. "Nessuno ti sta alle costole, ragazzo mio. Rileva la tua posizione. Nessuno vuole farti premura; il tempo, come vedi, scorre così piacevolmente in tua compagnia." "Ebbene" dissi io prendendo un po' di coraggio "se devo scegliere, dichiaro che ho diritto di sapere che cosa è successo, e perché voi siete qui, e dove si trovano i miei amici." "Che cosa è successo?" echeggiò uno dei filibustieri con un sordo grugnito. "Fortunato chi lo sa!" "Sarebbe meglio che tenessi chiusi i tuoi boccaporti fino a quando non ti si dirige la parola, amico mio" intervenne Silver trucemente. E rivolgendosi a me con l'amabile tono di prima, rispose: "Ieri mattina, durante il piccolo quarto, si presenta il dottor Livesey con bandiera bianca. Capitano Silver, mi dice, siete tradito. Il bastimento non c'è più. Ebbene, può darsi che nella notte avessimo bevuto un bicchiere di più, e cantato magari per farla passare. Non dico di no. Comunque, nessuno di noi aveva messo il muso fuori. Guardammo, e, corpo di mille bombe, la vecchia goletta non c'era più. Io non ho mai visto una banda di minchioni restare lì con un'aria più istupidita. Ebbene, dice il dottore, vogliamo trattare? Trattammo, lui ed io, e il risultato eccolo qui: provviste, acquavite, fortino, legna da ardere che voi aveste la preveggenza di tagliare e accatastare; e, per così dire, tutta quella benedetta nave, dalle crocette alla chiglia, nelle nostre mani. Quanto a loro, sono filati via, né so dove si trovino." Tirò placidamente un'altra boccata di fumo, e proseguì: "E perché tu non ti metta in testa che sei compreso nel patto, ecco le ultime parole pronunciate: Quanti siete, dico io, ad andarvene? Quattro, dice lui, quattro, uno dei quali ferito. Quanto a quel ragazzo, ignoro dov'è, che il diavolo se lo porti, dice lui, non me ne importa affatto. Ne siamo stufi. Queste furono le sue parole." "E' tutto qui?" "Sì, è tutto quanto devi sapere, figliolo mio." "E ora devo scegliere?" "Ora devi scegliere, sicuro." "Ebbene" dissi io "io non sono così sciocco da non sapere che cosa mi aspetta. Ma accada quel che accada, non me ne importa. Ne ho visti morire abbastanza da quando vi ho incontrato. Ci sono però una o due cose che mi preme dirvi" e mentre così parlavo ero assai eccitato "e la prima è questa: voi siete in una brutta situazione: nave perduta, tesoro perduto, uomini perduti: tutta la vostra impresa naufragata; e se desiderate sapere chi ne è stato la causa, io sono stato. Io stavo acquattato nel barile delle mele la sera che avvistammo l'isola, e sentii voi, John, e voi, Dick Johnson, e Hands che dorme ora in fondo al mare, e immediatamente riferii sillaba per sillaba ciò che avevate detto. E quanto alla goletta, sono stato io a tagliare il cavo, io a uccidere gli uomini che erano a bordo, io a portarla dove né voi né nessuno dei vostri uomini la rivedrà mai. E sono io che posso ridere; il filo della matassa era in mano mia, e voi non mi fate paura più di una mosca. Ammazzatemi o risparmiatemi come più vi piacerà. Ma una sola cosa dirò ancora: se voi mi risparmiate, dimenticherò il passato, e quando comparirete davanti alla corte sotto l'accusa di pirateria, vi difenderò con tutte le mie forze. Tocca a voi scegliere. O sopprimermi senza trarne il minimo utile, o risparmiarmi assicurandovi un testimonio che vi salverà dalla forca." M'interruppi perché proprio mi mancava il respiro. Con mia gran meraviglia nessuno di loro si mosse; rimasero tutti a guardarmi mogi come tante pecore. E mentre così mi guardavano, ripresi: "E ora, mastro Silver, poiché voi siete il migliore di tutti, se le cose andassero alla peggio usatemi la cortesia di far conoscere al dottore in che modo mi sono comportato." "Me lo ricorderò" disse Silver con un accento così curioso che io non avrei potuto, anche a prezzo della mia vita, decidere se si burlasse della mia richiesta o fosse simpaticamente commosso dalla mia prova di coraggio. "Aggiungerò io qualche cosa" gridò il vecchio marinaio dalla faccia color di mogano, detto Morgan, che avevo visto nella taverna di Silver sulla banchina di Bristol "è stato lui a riconoscere Can-Nero." "E sentite me" intervenne il mastro cuoco "che ve ne dico un'altra, corpo d'una saetta: è stato questo ragazzo a sgraffignare la carta a Billy Bones. Dal principio alla fine, Jim Hawkins è stato il nostro scoglio!" "E allora, ecco per lui" proferì Morgan accompagnandovi una bestemmia. E balzò in piedi tirando fuori il coltello con selvaggia irruenza. «Alto là!" gridò Silver. "Chi sei tu, Tom Morgan? Ti credi forse di essere il capitano? Se così è, per mille diavoli, ti mostrerò che t'inganni. Prova a mettermiti contro, e andrai dove tanti cristiani da trent'anni a questa parte sono andati prima di te, dal primo all'ultimo: qualcuno sulla punta del pennone, che Dio mi fulmini, qualcuno fuori bordo, e tutti quanti a pascere i pesci. Non c'è mai stato nessuno che mi abbia guardato nel bianco degli occhi e abbia poi visto un giorno felice, Tom Morgan, te l'assicuro io." Morgan tacque; ma tra gli altri sorse un roco mormorìo. "Tom ha ragione" disse una voce. "Io sono stato seccato abbastanza da un capitano" aggiunse un altro. "M'impicchino se mi lascio romper le scatole da voi, John Silver." "C'è qualcuno di voi, miei signori, che voglia venire a spiegarsi di fuori con me?" urlò Silver sporgendosi di sul caratello con in pugno la sua pipa accesa. "Coraggio, su: parlate: non siete mica muti? Chi lo desidera sarà servito. Avrò dunque vissuto tanti anni per vedermi provocare dal figlio di un ubriaco? Voi conoscete le regole: siete gentiluomini di fortuna, a quanto dite. Ebbene, eccomi pronto. Prenda un coltellaccio chi ha fegato, e io vi prometto che vedrò il colore delle sue budella malgrado la mia gruccia e tutto, prima che questa pipata sia finita." Nessuno si mosse, nessuno rispose. "Così siete voi, no?" aggiunse riportando la pipa alla bocca. "Ah, bellissimi da vedere, non c'è dubbio. Ma non troppo bravi sul terreno, no davvero. Ma se vi parlo nell'inglese di Re Giorgio credo che mi capirete. Orbene: io sono vostro capitano per elezione. Io sono il capitano qui perché sono migliore di tutti d'un buon miglio marino. Voi rifiutate di battervi come dovrebbero dei gentiluomini di fortuna. Allora, corpo d'una saetta, obbedirete, state pur certi. Ora, io voglio bene a questo ragazzo: non ho mai visto un ragazzo migliore di lui. Vale più lui d'un qualsiasi paio di vigliacchi che siete qui dentro; ed ecco cosa vi dico: vorrò vedere chi oserà mettergli le mani addosso, ecco che cosa vi dico, e potete star sicuri." Seguì un lungo silenzio. Io stavo dritto con le spalle al muro, e con il cuore che continuava a battere come il martello d un fabbro; ma un raggio di speranza ora mi spuntava dentro. Silver si piazzò contro il muro, con le braccia incrociate, la pipa all'angolo della bocca, immobile come fosse in chiesa; ma lanciava intorno sguardi furtivi, e con la coda dell'occhio spiava i suoi irrequieti compagni. I quali si andavano gradatamente raccogliendo all'estremità del fortino, e il loro sommesso bisbigliare risuonava continuo al mio orecchio come un ruscello. Uno dopo l'altro alzavano gli occhi, e la luce rossastra della fiaccola batteva per un istante sulle loro torbide facce: ma non era su me, era su Silver che cadevano i loro sguardi. "Sembra che ne abbiate delle cose da dire" osservò Silver lanciando lontano uno sputo. "Cantatemela, che la possa sentire, o se no, mettetevi alla cappa." "Chiedo perdono, capitano" replicò uno degli uomini "voi prendete un po' troppo alla leggera qualcuna delle nostre regole. Questo equipaggio è scontento; questo equipaggio non ama le intimazioni più dei colpi di agucchione; quest'equipaggio ha i suoi diritti non meno degli altri; mi permetto di dirlo; e a norma delle stesse vostre regole sostengo che noi possiamo discutere insieme. Chiedo perdono, vi riconosco come capitano in questo momento, ma reclamo il mio diritto, ed esco per tenere consiglio."
[...]
E perciò fu con un tono aspro che il dottore gli rispose. "Ubriachi o deliranti" disse. "Lei ha ragione" replicò Silver "ma ciò non fa differenza né per lei né per me." "Suppongo non pretenderete che io vi prenda per un uomo pietoso," ribatté il dottore con un ghigno "cosicché può darsi che i miei sentimenti vi sorprendano. Ma se io fossi sicuro che delirano (e sono moralmente certo che uno di loro ha la febbre) lascerei questo campo e rischierei volentieri la pelle per portar loro il soccorso della mia scienza." "Chiedo perdono, signore, ma lei avrebbe torto. Ci rimetterebbe la sua preziosa esistenza, stia pur sicuro. Io sono mani e piedi dalla sua parte, adesso, e non vorrei vedere le nostre forze indebolite e private della sua persona, tanto più che so quanto a lei devo. Ma quella gente laggiù non sarebbe capace di mantenere la parola, no, anche supponendo che lo volesse; e, ciò che più conta, non crederebbe che lei mantenesse la sua." "Difatti" disse il dottore "voi siete l'uomo capace di mantenere la parola: lo sappiamo." Furono quelle all'incirca le ultime notizie che avemmo dei tre. Solo una volta udimmo, molto lontano, un colpo di fucile, e pensammo che cacciassero. Si tenne consiglio, e fu deciso, con grande giubilo di Ben Gunn e la piena approvazione di Gray, di abbandonarli sull'isola. Lasciammo loro una notevole provvista di polvere e di palle, quasi tutta la carne di capra salata, un po' di medicinali, e alcune altre cose di prima necessità: degli arnesi, degli abiti, una vela di ricambio, parecchie braccia di corda; e, dietro richiesta del dottore, una buona provvista di tabacco. Nient'altro ci restava da fare nell'isola. Già avevamo stivato il tesoro e imbarcato sufficiente acqua, insieme col resto della carne di capra, per fronteggiare qualsiasi eventualità; e finalmente un bel mattino salpammo l'àncora, operazione che richiese tutte le nostre forze, e uscimmo dalla baia del Nord sotto la stessa bandiera che il capitano aveva issato e difeso alla palizzata. I tre ci avevano spiato più da vicino di quanto non immaginassimo, come presto constatammo. Poiché uscendo dallo stretto dovemmo costeggiare molto da vicino la punta sud, e li vedemmo là tutti tre inginocchiati l'uno accanto all'altro sopra una striscia di sabbia, tendendoci le braccia supplichevoli. Piangeva il cuore a tutti, io credo, ad abbandonarli in quel misero stato; ma noi non potevamo esporci al rischio di un altro ammutinamento; e riportarli a casa loro per consegnarli alla forca, sarebbe stato un atto di gentilezza alquanto crudele. Il dottore dette loro una voce, e li informò delle provviste che avevamo lasciate e del luogo dove le avrebbero trovate. Ma essi continuavano a chiamarci per nome, supplicandoci per amor di Dio di avere pietà e di non abbandonarli alla morte in quella solitudine. Da ultimo, vedendo che la nave proseguiva la sua rapida corsa e stava per arrivare fuori portata di voce, uno di loro (non so chi) saltò in piedi con un rauco grido, puntò il suo moschetto, e una palla passò fischiando sulla testa di Silver e bucò la vela maestra. Allora ci riparammo dietro il bastingaggio; e quando io tornai a guardare essi erano scomparsi, e la stessa striscia di sabbia si era perduta nella lontananza. Così era finita con loro; e prima di mezzogiorno, con mia indicibile gioia, anche il più alto picco dell'Isola del Tesoro s'era affondato nel cerchio azzurro dell'orizzonte. Trovandoci a corto di uomini, dovevamo tutti dare una mano ai lavori di bordo; solo il capitano, disteso su un materasso a poppa, si limitava a trasmettere ordini, perché malgrado si fosse rimesso in forze aveva ancora bisogno di riposo.

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Il male oscuro - Giuseppe Berto

>> martedì 14 giugno 2011

Lungo monologo autobiografico che alla sua uscita, nei primi anni sessanta, fu molto innovativo per l'uso della prosa senza punti. In un flusso di coscienza alla Joyce, l'autore ci parla della sua vita tormentata dal difficile rapporto con il padre e, in genere, con tutti gli altri esseri umani. Per come è scritto e per i continui riferimenti a Freud sembra un trattato di psiconalisi. Intrigante ma indigesto.

"Penso che questa storia della mia lunga lotta col padre, che un tempo ritenevo insolita per non dire unica, non sia in fondo tanto straordinaria se come sembra può venire comodamente sistemata dentro schemi e teorie psicologiche già esistenti..”
[...]
“..mi sento di colpo confortato e caldo di riconoscenza per lui che sembra avere tanto a cuore il mio benessere anche oltre l’ora pagata della seduta psicoanalitica, e non importa che io provi insieme vergogna e senso di colpa per avere così a lungo mantenuto residui di diffidenza contro di lui, ora sono pronto alla più aperta fiducia e sicuro che continuerò fino alla fine questa cura perché pur non credendo a sufficienza nella psicoanalisi credo sconfinatamente in quest’uomo quant’altri mai probo ed onesto..”
[...]
“..dopo avere rispettosamente aspettato che lui si sieda mi sdraio sul lettino togliendomi le scarpe benché da informazioni prese nel giro dei giovani psichiatri ormai sappia con certezza che le scarpe non si tolgono e a quanto si dice pare che io sia l’unico esemplare di analizzando che si fa analizzare senza le scarpe, ma che ci posso farci ormai ho cominciato a togliermele e penso che dovrei dare delle spiegazioni se ad un tratto non me le togliessi più, così me le tolgo sebbene poi nel corso della seduta resti disturbato dalla visione dei miei piedi senza scarpe tant’è vero che per non vederli chiudo spesso gli occhi e li tengo chiusi anche per lungo tempo, quindi tutto sommato questo problema delle scarpe bisognerebbe risolverlo per la stessa buona riuscita della cura però giacchè sono prossime le vacanze ho deciso che il cambiamento di sdraiarmi con le scarpe lo farò dopo l’interruzione così passerà inosservato spero..”

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Morte a Breslavia - Marek Krajewski

>> domenica 12 giugno 2011

Quest'anno rappresento la Biblioteca di Castiglione delle Stiviere al Premio letterario Giuseppe Acerbi  dedicato a scrittori internazionali. Ogni anno viene posto sotto osservazione un paese e un comitato di lettori vota le opere di scrittori da lì provenienti. Il paese scelto nel 2011 è la Polonia e una delle due opere in finale è quella in oggetto. Che dire, appena finito di leggere questo libro spero nell'altro che non ho ancora letto. Questo è proprio brutto e non capisco come abbia fatto Einaudi a inserirlo nel suo catalogo. Il grosso difetto è nella credibilità di personaggi, situazioni, dialoghi, trama. Basti pensare all'episodio che riporto di seguito del padre che concede la figlia come compenso per le lezioni di ripetizione o di una profezia che cambia in base all'interpretazione. L'idea di una vendetta che si protrae per i secoli poteva essere buona, ma il libro doveva scriverlo qualcuno più capace.

Da studente modello qual era, a diciannove anni aveva iniziato a dare ripetizioni alla figlia di un ricco industriale. Mentre lui le svelava i misteri delle declinazioni del greco, la diciassettenne un tantino capricciosa gli rivelava i segreti del proprio corpo. Anwaldt se n'era innamorato perdutamente. Quando dopo sei mesi di duro ma assai gradevole lavoro, aveva chiesto al padre il compenso pattuito, quello - non senza un certo stupore - aveva replicato di averglielo già corrisposto, giacché aveva affidato l'incombenza alla figlia. E lei, in presenza del padre, aveva confermato risolutamente di averlo ricompensato. L'industriale aveva quindi reagito di conseguenza: due servitori in livrea avevano buttato fuori dal palazzo il «vile impostore "il vile impostore" dopo averlo debitamente pestato.
[...]
Al risuonare dello scalpitio di zoccoli gli adepti terrorizzati distolsero lo sguardo dal fuoco sacro. La strage ebbe inizio. I cavalli bardati di corazze crociate con un balzo travolsero la barriera umana. Il crociato, facendo scempio di corpi con la sua spada, assaporò l'inebriante dolcezza della giustizia: a maggior gloria di Dio caddero sotto i colpi del suo fedele strumento gli adoratori di Satana e dei sette angeli caduti, i cui nomi si erano tanto orgogliosamente librati nell'aria. Il turco disseminava di frecce il fumo del falò e delle lampade. Copioso scorse il sangue sulle giubbe sgargianti e sui turbanti colorati. Pochi furono gli assaliti a trarre dalla cinta le curve armi dalle fogge piu fantastiche, si da tener testa al furibondo nemico. Il sibilo delle frecce e il ronzio delle corde di balestra vennero componendosi in una musica inaudita. Frecce su frecce trapassavano
fragili corpi, stridendo nello spezzare le ossa, nel lacerare le tese fibre di muscoli e nervi. Di li a poco la furia degli assalitori si volse contro le donne, le uniche scampate al massacro. Nella stretta di quelle braccia di ferro, da bronzei che erano i loro volti si fecero bianchi, si contrassero i bei lineamenti regolari, si sciolsero per la violenza le treccioline finemente intrecciate, appassirono i fiori sparsi tra i capelli, tintinnarono sulle tempie le monete d'oro e d'argento, sbatterono sulle fronti le gemme levigate che le adornavano, si frantumarono le perline di vetro. Alcune donne si erano nascoste nelle nicchie del muro e nelle fenditure della roccia ma i crociati e i saraceni le trascinarono fuori per poi possederle fra spasimi atroci. Coloro che non avevano ricevuto ancora un così ambito premio finirono, scannandoli, i pochi uomini rimasti in vita. Le prigioniere dovettero rassegnarsi al proprio destino, ben sapendo che sarebbero state messe in vendita come schiave. Infine sulla valle scese il silenzio, rotto ogni tanto da gemiti di dolore o di piacere. I due condottieri si ritrovarono nell'atrio del tempio, di fronte all'ingresso della casa di colui che lungamente avevano cercato: il santo pir al-Shausi. Sul muro dell' edificio erano scolpiti cinque simboli: un serpente, un'ascia, un pettine, uno scorpione e una minuscola figura umana. Accanto v'era una scritta araba, incisa in guisa assai ricercata: «Dio. Non c'è altra divinità all'infuori di Lui, Vivo ed Eterno. Tutto quel che esiste sulla terra e nei cieli gli appartiene». Il turco guardò il crociato e disse in arabo: È il versetto del Trono della seconda sura del Corana. Il crociato conosceva bene quel celebre versetto. Lo aveva udito sulle labbra dei saraceni sgozzati e su quelle delle donne arabe prese in ostaggio, quando alla sera recitavano le loro preghiere. Tuttavia non si diede cura della sublimità di quella sacra iscrizione destinata a benedire e proteggere la casa di al-Shausi, cosi come un anno prima non si era dato cura del Dio bizantino, allorché a caccia di bottino aveva profanato le chiese di Costantinopoli.
Fecero ingresso. Due soldati turchi bloccarono la porta, affinché nessuno potesse uscire, mentre altri andarono in cerca del santo vegliardo. Quando tornarono, non avevano con sé lui, bensi due tappeti arrotolati che si dimenavano. Li srotolarono e agli occhi dei due condottieri apparvero una fanciulla che avrà avuto tredici anni, in preda alla disperazione piu nera, e un giovinetto di qualche anno piu anziano. Erano i figli dell'uomo che stavano cercando. Il santo vegliardo era riuscito a fuggire nel deserto! Senza far motto, il condottiero crociato si gettò sulla fanciulla, la rovesciò sull'impiantito sconnesso e in poco tempo ottenne l'ennesimo tributo di guerra. Il fratello farfugliò qualcosa a proposito del «padre» e pronunziò la parola «vendetta». Alla luce delle lampade a olio, lo stupratore
scorse alcuni scorpioni strisciar fuori da un orcio di argilla infranto. Non ne provò timore, al contrario: la presenza di quelle minacciose creature rinfocolò vieppiù la sua bramosia. Gli uomini intorno gridavano eccitati, v'era tanfo d'olio e le ombre danzavano sulle pareti. Ormai appagato, il crociato si risolse a impartire un castigo esemplare ai figli del sommo sacerdote di quella satanica setta. Dette ordine di metterne a nudo il ventre. Levò la spada, fedele compagna nella lotta ad maiorem Dei gloriam, e colpì con polso sicuro ma senza calcare la mano. La lama descrisse un semicerchio e la sua punta apri il ventre vellutato della fanciulla e quello lievemente lanuginoso del ragazzo. La pelle si ritrasse mettendo a nudo le interiora. Il crociato si tolse l'elmo e, lavorando di stiletto, vi infilò alcuni scorpioni. Poi, quasi si fosse trattato di un'urna sacrificale, svuotò il cimiero sulle viscere delle sue vittime. Gli scorpioni agonizzanti caddero nei tiepidi intestini e trovandosi immersi nel sangue, presero a pungere furenti, col lungo aculeo posto all'estremità della coda. Lunga fu l'agonia delle giovani vittime, che mai vollero distogliere lo sguardo dal loro carnefice.
[...]
Pensavo che la profezia riguardasse Anwaldt (yeladim suona. quasi come Anwaldt). E stava quasi per avverarsi. Ecco infatti che nell'ospedale psichiatrico è sbucato fuori un maggiore della Stasi, un uzbeco grande e grosso, con le tasche p1ene d1 scorpioni, col compito di condurre a termine una missione segreta. Anwaldt doveva morire tra le mura bianche (amoc: bianco), in una stanza provvista di grate (sevacha: grate), con la pancia piena di scorpioni che giravano dappertutto (chul: girare). Ma io questa profezia l'ho interpretata diversamente e ho cambiato il corso prefissato degh eventi. La perizia linguistica è stata effettuata dallo stesso Anwaldt, che in ospedale si è fatto una discreta cultura nel campo delle lingue semitiche. E l'uzbeco insieme con i suoi fratelli del deserto, è rimasto all'ospedale di Dresda ...

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A sangue freddo - Truman Capote

>> martedì 7 giugno 2011

Basato sul massacro di una tranquilla famiglia del Kansas realmente avvenuto, A sangue freddo è un lbro che alla sua uscita, quasi cinquant'anni fa, ha innovato il genere poliziesco, anzi ne ha creato uno nuovo: l'unione di reportage giornalistico e romanzo. Importante l'inflluenza su una serie di scrittori tra cui il nostro Roberto Saviano, come lui stesso evidenzia nell'intervista concessa al Corriere. Sembra che Capote abbia collezionato seimila pagine di appunti, dal giorno in cui ha letto del terribile fatto di cronaca al momento in cui ha assistito personalmente, sei anni dopo, all'esecuzione dei due assassini. L'autore è rimasto molto coinvolto dall'intera vicenda, ha conosciuto e intervistato innumerevoli volte i due protagonisti e pare che sia addirittura diventato loro amico. La storia comunque è narrata in modo freddo e distaccato, senza alcun coinvolgimento emotivo apparente dello scrittore. La vicenda è quanto mai attuale perchè espressione dell'America che sale alla ribalta per i crimini efferati commessi senza motivo. Lo stesso Capote per quanto cerchi di esplorare la mente dei due assassini, le loro origini, i loro comportamenti prima e dopo, non riesce a darsi e a darci una spiegazione. E la mancanza di indizi che possano portare ad identificare ed anticipare devianze letali, fa paura. Il personaggio più enigmatico e ambivalente è Perry, il materiale esecutore dei quattro omicidi, che è più sensibile del suo collega e non lesina atti di gentilezza verso le sue vittime. Le parti che più mi sono piaciute sono la descizione dei due protagonisti e la rappresentazione del massacro della famiglia. Degna di nota anche la costernazione dei genitori di Dick che non riescono a credere che il figlio sia stato capace di un atto simile. Non è un romanzo perfetto: in molti casi si perde il ritmo per via della meticolosa esposizione dei dettagli dell'indagine e dei personaggi di contorno.


I due giovani avevano ben poco in comune ma non se ne rendevano conto perché condividevano parecchi tratti superficiali. Entrambi, per esempio, erano meticolosi, molto pignoli in fatto di igiene e sulle condizioni delle proprie unghie. Dopo quella mattinata da meccanici, trascorsero quasi un'ora a tirarsi a lucido nel gabinetto del garage. Dick in slip era notevolmente diverso dal Dick vestito. In questo secondo caso pareva un giovanotto esile, biondiccio, di altezza media,scarno e magari con il torace incavato; svestito dimostrava di non essere nulla di tutto ciò, ma piuttosto un atleta costruito su scala pesi welter. Il muso tatuato di un gatto, blu e sogghignante, copriva la sua mano destra; su una spalla gli fioriva una rosa azzurra. Altre figure, da lui stesso disegnate ed eseguite, adornavano le braccia e il torso: la testa di un drago con un teschio umano tra le mascelle spalancate; donnine nude dal seno ricolmo; un demonietto che brandiva un forcone; la parola PACE accompagnata da una croce da cui si irradiavano, sotto forma di linee grossolane, raggi di luce divina; e due elaborazioni sentimentali: una, un mazzo di fiori dedicato a PAPÀ-MAMMA, l'altra, un cuore che commemorava l'idmio tra DICK e CAROL, la ragazza che aveva sposato a diciannove anni e dalla quale si era separato sei anni dopo per «fare il suo dovere» con un'altra giovane donna, la madre del suo ultimogenito. («Ho tré figli di cui intendo assolutamente prendermi cura,» aveva scritto nella sua richiesta per il rilascio sulla parola, «mia moglie si è rimaritata. Io mi sono sposato due volte, solo non intendo avere nulla a che fare con la mia seconda moglie.»). Ma né il fisico di Dick né la galleria a inchiostro che l'adornava colpivano con la stessa intensità del suo volto che pareva formato da parti in disaccordo. Sembrava che il suo capo fosse stato diviso in due, come una mela, e poi rimesso insieme leggermente fuori sesto. Era successo qualcosa di molto simile; i lineamenti non perfettamente allineati erano la conseguenza di un incidente d'auto, avvenuto nel 1950, che aveva alterato il suo viso lungo e stretto, lasciandogli il lato sinistro sensibilmente più basso del destro, con il risultato che le labbra erano leggermente di traverso, il naso obliquo e gli occhi non solo a livelli diversi ma anche di grandezza ineguale: il sinistro, un vero occhio da rettile, obliquo, di un bluastro malsano, maligno, che sebbene involontàriamente acquisito, pareva nondimeno l'indice di un sedimento amaro alle radici della sua natura. Ma Perry gli aveva detto: «L'occhio non ha importanza. Perché hai un sorriso meraviglioso. Uno di quei sorrisi che fanno effetto sul serio.» Era vero: la contrazione muscolare del sorriso restituiva quel volto alle giuste proporzioni e rendeva possibile intravvedervi una personalità meno sconcertante: un «bravo ragazzo» di stampo americano, con i capelli tagliati a spazzola, un po'troppo lunghi, abbastanza sano ma non troppo sveglio. (In realtà era molto intelligente. A un test fatto in prigione aveva ottenuto un punteggio di 130; il soggetto medio, in carcere e fuori, va dal 90 al 110. Anche Perry aveva subito delle menomazioni e le sue ferite,conseguenza di un incidente in motocicletta, erano state più gravi di quelle di Dick; aveva trascorso sei mesi in un ospedale dello stato di Washington e per altri sei aveva camminato con le stampelle; sebbene il fatto fosse avvenuto nel 1952, le sue gambe tozze, da nano, fratturate in cinque punti e segnate da terribili cicatrici, gli davano ancora dolori tali che l'aspirina era divenuta la sua droga. I suoi tatuaggi,sebbene meno numerosi di quelli del compagno, erano più elaborati: non l'opera di personale esecuzione del dilettante, ma l'arte perfezionata dei maestri di Honolulu e di Yokohama. Sul bicipite destro era tatuato COOKIE, il nome di un'infermiera con cui aveva stretto amicizia quando era stato in ospedale. Una tigre dalla pelliccia blu, gli occhi arancio e le fauci scarlatte, ringhiava sul bicipite sinistro; un serpente dalle mascelle spalancate, attorcigliato attorno a un pugnale, gli percorreva l'avambraccio; e in altri punti baluginavano teschi, si profilavano pietre tombali, fioriva un crisantemo.
[...]

Troppo annoiato per protestare quando Perry insistè una volta di più sull'argomento: «Mi sono sempre fidato del mio intuito. E' per questo che oggi sono vivo. Conosci, no, Willie-Jay? Diceva che ero un medium nato, e lui se ne intendeva di faccende del genere, gli interessavano. Ha dichiarato che possiedo una foltissima «percezione extrasensoria». Un po' come avere un radar interno: percepìsci le cose ancor prima di vederle. Intuisci quello che sta per accadere. Prendi per esempio mio fratello e sua moglie. Jimmy e sua moglie. Erano pazzi l'uno dell'altro ma Jimmy era geloso come un diavolo e la rendeva così infelice con la sua gelosia, sempre convinto che lei gliela stesse facendo, che lei si è sparata, e il giorno dopo Jimmy si è cacciato una pallottola in capo. Quando è successo - è stato nel 1949 e io mi trovavo in Alaska con mio padre, su dalle parti di Circle City - ho detto a papà: «Jimmy è morto. Una settimana dopo ci è arrivata la notizia. Verità sacrosanta. Un'altra volta, in Giappone, stavo lavorando al carico di una nave e mi ero seduto per riposarmi un momento. D'improvviso una voce dentro di me ha detto «Salta!» e io ho fatto un balzo di tré metri, e in quel momento,proprio nel punto in cui ero seduto prima, è crollata una tonnellata di mercanzia. Potrei raccontarti un centinaio di episodi del genere. Non m'importa che tu ci creda o no. Per esempio, un attimo prima che avessi quell'incidente con la moto, ho visto succedere tutto quanto: l'ho visto mentalmente, la pioggia, le tracce delle ruote che avevano slittato, io a terra sanguinante con le gambe rotte. E' quel che sento ora. Una premonizione. Qualcosa mi dice che questa è una trappola.»
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Dopo l'uscita dei poliziotti, la compostezza che aveva colpito Nye venne meno; una disperazione ben nota incombeva. La combattè, ne ritardò il pieno urto fino a che il piccolo ricevimento ebbe termine e le ospiti se ne furono andate, fino a che i bambini ebbero mangiato, fatto il bagno e dette le preghiere. Poi quello stato d'animo, come la nebbia serale dell'oceano che ora offuscava i lampioni, si chiuse attorno a lei. Aveva detto di avere paura di Perry, ed era vero, ma era semplicemente Perry che temeva, o si trattava di un'immagine di cui egli faceva parte, il terribile destino che pareva riserbato ai quattro figli di Florence Buckskin e di Tex John Smith? Il maggiore, il fratello da lei preferito, si era sparato; Fern era caduta da una finestra, o si era buttata; e Perry era un violento, un criminale. Così, in un certo senso, lei era l'unica sopravvissuta e ciò che la tormentava era il pensiero che con il tempo anche lei sarebbe stata sopraffatta: sarebbe impazzita, o le sarebbe venuto un male incurabile, o avrebbe perso in un incendio tutte le cose più preziose per lei: casa, marito, figli. Suo marito era via per un viaggio d'affari, e quando era sola non pensava mai a bere alcolici. Ma quella sera si preparò qualcosa di forte quindi si distese sul divano nel soggiorno, con un album di fotografie appoggiato alle ginocchia.
[...]
Duntz chiede: «Quanto tempo siete rimasti in quella casa?» «Un'ora,forse.» Duntz dice: «E quando li avete imbavagliati?» «A questo punto. Abbiamo cominciato con la signora Clutter. Mi sono fatto aiutare da Dick, perché non volevo lasciarlo solo con la ragazza. Tagliai delle lunghe strisce di nastro adesivo e Dick le passò attorno alla testa della signora Clutter, così come si fascia una mummia. Le chiese: «Perché continuate a piangere? Nessuno vi fa del male.» Spense la luce sul comodino e disse: «Buonanotte signora Clutter. Sogni d'oro.» Poi dice, mentre percorrevamo il corridoio verso la stanza di Nancy: «Vado a farmi quella ragazzina.» E io dissi". «Uhuhu. Ma prima devi far fuori me.» Mi guardò come se credesse di avere capito male. Disse: «Che tè ne importa? Accidenti, puoi fartela anche tu.» Be', quella è una cosa che io disprezzo. Quelli che non sanno controllarsi sessualmente. Cristo, detesto quelle cose. Gli ho detto chiaro e tondo: «Lasciala stare. Altrimenti dovrai vedertela con me, e io mi scateno.» Quello gli bruciò sul serio ma si rese conto che non era il momento di darci alla lotta libera. Così disse: «D'accordo, tesoro. Se la pensi così.» Alla fine è andata che non le abbiamo chiuso la bocca. Spegnemmo la luce del pianerottolo e scendemmo nel seminterrato.» Perry esita. Ha una domanda da fare, ma la pone come una affermazione: «Scommetto che non ha detto mezza parola sul fatto che voleva violentare la ragazza.» Dewey l'ammette ma aggiunge che a parte una versione alquanto purgata del proprio comportamento, la storia di Dick collima con quella di Smith. I particolari variano, il dialogo non è identico, ma in sostanza i due racconti, almeno fino a quel punto, corrispondono. «Può darsi. Ma sapevo che non aveva parlato della ragazza. Ci avrei scommesso la camicia.» Duntz dice: «Perry, ho seguito la storia delle luci. A questo punto mi risulta che, spegnendo le luci del piano di sopra, la casa è rimasta completamente al buio.» «Infatti. E non abbiamo più acceso luci. Solo la pila. Ce l'aveva Dick, quando siamo andati a imbavagliare il signor Clutter e il ragazzo. Un attimo prima che gli chiudessi la bocca il signor Clutter mi domandò, e quelle furono le sue ultime parole, come stava sua moglie, se stava bene, e io dissi che era tutto a posto, che tra poco si sarebbe addormentata, e gli dissi che non mancava molto al mattino e che allora qualcuno li avrebbe trovati e tutta quella storia, io, Dick, e il resto, gli sarebbe parsa come un sogno. Non lo stavo prendendo in giro. Non avevo intenzione di fargli del male. Mi pareva un signore molto simpatico. Cortese. La pensai così fino al momento in cui gli tagliai la gola. «Un momento, non sto raccontandola proprio come è andata.» Perry aggrotta la fronte. Si strofina le gambe; le manette tintinnano. «Ecco, dopo che li abbiamo imbavagliati, Dick e io ci allontanammo in un angolo a discutere. Ricordo, ora, che ce l'avevamo l'uno contro l'altro. In quel momento mi sentivo rivoltare lo stomaco a pensare che l'avevo ammirato, che mi ero bevuto tutte le sue fanfaronate. Dissi: «Be', Dick, hai qualche scrupolo?» Non rispose. Io insistei: «Lasciali vivi, e non ci beccheremo una condanna da poco. Dieci anni come minimo.» Ancora non disse nulla. Aveva lui il coltello. Glielo chiesi, lui me lo diede e io dissi: «Va bene, Dick. Ora li facciamo fuori.» Ma non dicevo sul serio. Volevo obbligarlo a scoprire il suo bluff, costringerlo a dissuadermi, fargli ammettere che era un ipocrita e un vigliacco. Vedete, era una faccenda tra me e Dick. Mi inginocchiai accanto al signor Clutter, e il dolore alle ginocchia...pensai a quel maledetto dollaro. D'argento. L'umiliazione. Il disgusto. E mi avevano detto di non tornare mai più nel Kansas. Ma non mi resi conto di quel che avevo fatto fino a che non sentii quel suono. Come qualcuno che annegasse. Che gridasse sott'acqua. Tesi il coltello a Dick. Dissi: «Finiscilo. Ti sentirai meglio.» Dick ci provò, o finse. Ma quel tipo aveva la forza di dieci uomini, si era parzialmente liberato dalla fune, aveva le mani slegate. Dick si lasciò prendere dal panico. Voleva scappare di là. Ma io non lo lasciai andare. Quell'uomo sarebbe comunque morto, lo so, ma non potevo lasciarlo in quello stato. Ordinai a Dick di reggere la pila, di puntargliela addosso. Poi presi la mira. La stanza scoppiò. Divenne azzurrina. Esplose. Gesù, non ho mai capito come non abbiano sentito la detonazione nel raggio di trenta chilometri.» All'orecchio di Dewey echeggia quello scoppio, un'esplosione che quasi lo rende sordo al fluire bisbigliante della morbida voce di Smith. Ma la voce va avanti lanciando una sventagliata di suoni e immagini: Hickock che da la caccia alla cartuccia esplosa; in fretta, a precipizio, e la testa di Kenyon in un crepitìo di luce, il mormorio di suppliche soffocate, poi Hickock che ancora cerca a terra la cartuccia usata; la camera di Nancy, Nancy che ascolta i passi su per le scale di legno, lo scricchiolio dei gradini mentre i due uomini si avvicinano a lei, gli occhi di Nancy, Nancy che guarda il raggio della pila ricercare il bersaglio («Disse: «Oh, no, Oh, vi prego. No! No! No! No! Non fatelo! Oh, vi prego, non fatelo! Vi prego!» Diedi il fucile a Dick. Gli dissi che avevo fatto tutto quel che potevo. Lui prese la mira e la ragazza volse il viso contro la parete.» il pianerottolo buio, gli assassini che si affrettano verso l'ultima porta. Forse, dopo avere sentito tutto ciò che aveva sentito, Bonnie accolse con gioia quei passi che le si avvicinavano rapidi. «L'ultima cartuccia è stata una dannazione ripescarla. Dick strisciò sotto il letto per recuperarla. Poi richiudemmo la porta della camera della signora Clutter e scendemmo dabbasso per vedere attraverso la veneziana se il dipendente veniva a controllare, o qualcun altro che poteva avere sentito gli spari. Ma tutto era come prima: nessun rumore. Solo il vento. E Dick che ansimava come se fosse inseguito dai lupi. In quell'attimo, in quei pochi secondi prima che corressimo all'auto e ce ne andassimo, è stato allora che pensai che avrei fatto bene a sparare a Dick. L'aveva detto e ripetuto, me l'aveva martellato in testa: Niente testimoni. E mi dissi: Lui è un testimone. Non so cosa me lo impedì. Sa Dio che avrei dovuto farlo. Sistemarlo con una fucilata. Saltare sull'auto e continuare ad andare fino a scomparire in Messico.» Silenzio. Per quindici chilometri e più i tré uomini viaggiano senza parlare. Dolore e profonda stanchezza sono alla base del silenzio di Dewey. La sua aspirazione era stata sapere «esattamente quel che era successo in quella casa, quella notte.» Ora due volte l'aveva sentito raccontare, e le due versioni erano molto simili» L'unica seria discrepanza era che Hickock attribuiva tutte e quattro le uccisioni a Smith, mentre Smith sosteneva che Hickock aveva ucciso le due donne. Ma le confessioni, per quanto rispondessero agli interrogativi di come e perché, non soddisfacevano la sua esigenza di una ragione in quell'avvenimento. Quel delitto era un incidente psicologico, un atto virtualmente impersonale; le vittime avrebbero anche potuto essere uccise da un fulmine. A parte un fatto: erano state sottoposte a un terrore prolungato, avevano sofferto. E Dewey non poteva dimenticare tali sofferenze. Tuttavia riusciva a guardare senza collera l'uomo al suo fianco, semmai con una certa misura di comprensione, perché la vita di Perry Smith non era stata un letto di rose, ma una misera, laida, solitària corsa verso un miraggio dopo l'altro. Ma la comprensione di Dewey non era abbastanza profonda da accogliere perdono o clemenza.
[...]
Dewey dichiarò: «C'è un episodio, riferitomi da Smith, cui non ho ancora accennato. accaduto dopo che i componenti della famiglia Clutter erano stati legati. Hickock gli disse che Nancy Clutter gli pareva una così bella ragazza e che aveva intenzione di violentarla. Smith disse di avere risposto a Hickock che non avrebbe fatto nulla di simile; mi spiegò di non nutrire il minimo rispetto per persone che non sanno controllare i propri desideri sessuali e che sarebbe venuto alle mani con Hickock piuttosto che permettergli di violentare la piccola Clutter.» Fino a quel momento Hickock ignorava che il suo complice aveva informato la polizia del suo proposito, e neppure sapeva che, in uno spirito più amichevole, Perry aveva modificato la sua versione originale per dichiarare che lui solo aveva sparato alle quattro vittime, fatto che Dewey rivelò verso la fine della sua deposizione: «Perry Smith mi disse che intendeva mutare due cose nella dichiarazione che aveva fatto. Confermò che tutto il resto era vero ed esatto. Tranne quei due particolari. Intendeva cioè dichiarare di essere stato lui a uccidere la signora Clutter e Nancy Clutter, non Hickock. Mi disse che Hickock...non voleva morire lasciando pensare a sua madre che lui aveva ucciso qualcuno della famiglia Clutter. E disse che gli Hickock erano brave persone. E allora perché non metterla così.» A sentire ciò la signora Hickock scoppiò in lacrime. Per tutta la durata del processo era rimasta seduta accanto al marito, silenziosa, tormentando con le mani un fazzoletto spiegazzato. Appena poteva incrociare lo sguardo del figlio gli rivolgeva un piccolo cenno e un sorriso forzato che, per quanto debole, attestava la sua solidarietà. Ma era chiaro che l'autocontrollo della donna stava esaurendosi; cominciò a piangere. Alcuni spettatori le lanciarono un'occhiata e distolsero lo sguardo, imbarazzati; gli altri parevano non sentire quell'aspro lamento funebre in contrappunto alla narrazione di Dewey; perfino suo marito, forse perché riteneva poco da uomo dimostrare commozione, rimase distaccato. Infine una cronista, l'unica presente, condusse fuori dall'aula la signora Hickock accompagnandola nella toilette delle signore. Superato quel momento di crisi, la signora Hickock espresse il suo bisogno di sfogarsi. «Non ci sono molte persone con cui possa parlare,» disse alla compagna. «Non che la gente non sia stata gentile, i vicini e tutti. E anche gli estranei,estranei che ci hanno scritto dicendo che capiscono quanto debba essere difficile e che gli dispiace molto. Nessuno ci ha detto una parola cattiva, a Walter o a me. Neanche qui, dove ci sarebbe da aspettarselo. Tutti hanno fatto il possibile per dimostrarsi cordiali. La cameriera del posto dove andiamo a mangiare, ha versato del gelato sul dolce e non ce l'ha messo in conto. Le ho detto di non farlo, che non posso mangiarlo. Un tempo potevo mangiare di tutto. Ma lei l'ha messo ugualmente. Per essere gentile. Sheila, la cameriera, ha detto che non è colpa nostra quel che è successo. Ma a me pare che la gente ci guardi e pensi, be', anche lei deve averne colpa in qualche modo. Per come ho allevato Dick. Forse ho sbagliato in qualcosa. Solo non so cosa può essere stato; mi faccio venire mal di testa nello sforzo di rammentare. Noi siamo gente semplice, di campagna, e tiriamo avanti come tutti gli altri. Abbiamo avuto dei periodi felici in casa nostra. Avevo insegnato a Dick il foxtrot. Il ballo, ci sono sempre andata pazza, era tutta la mia vita quando ero ragazza; e c'era un giovanotto, accidenti, ballava da non credersi... abbiamo vinto una coppa d'argento ballando insieme il valzer. Per molto tempo abbiamo pensato di scappare e andare sulle scene. Nei varietà. Era solo un sogno. Un sogno di ragazzi. Lui lasciò la città e un giorno io sposai Walter, e Walter Hickock non sapeva fare un passo. Diceva che se volevo un trottatore dovevo sposare un cavallo. Nessuno ha mai più ballato con me fino a quando non ho insegnato a Dick, e lui non ha imparato proprio alla perfezione, ma era tanto caro, Dick, era un ragazzino con un carattere d'oro.» La signora Hickock si tolse gli occhiali, pulì le lenti appannate e li sistemò nuovamente sul viso pienotto e gradevole. «In Dick c'è molto più di quel che si sente dire in aula. Quegli avvocati che urlano che è un essere spaventoso, senza un solo lato buono. Non posso cercare scusanti per quel che ha fatto, la parte che ha avuto. Non dimentico quella famiglia; tutte le sere prego per loro. Ma prego anche per Dick. E quel Perry. Sapete, ho fatto male a detestarlo; ora per lui provo solo Pietà. E, sapete... credo che anche la signora Clutter proverebbe pietà. Dato il tipo di donna che dicono fosse.»
[...]
Perry disse: «Se mi dispiace? Se è questo che intendi, no. Non provo nulla. Vorrei il contrario. Ma non c'è niente che mi angusti di quest'episodio. Mezz'ora dopo l'accaduto, Dick ci scherzava sopra e io ridevo. Forse siamo disumani. sono abbastanza umano da sentirmi addolorato per me stesso. Mi spiace non potermene uscire di qui quando tu te ne andrai. Ma nient'altro.» Cullivan non poteva credere a un atteggiamento così distaccato; Perry era confuso, in errore, non era possibile per un uomo essere così privo di coscienza e di pietà. Perry disse: «Perché? I soldati mica ci perdono il sonno. Uccidono e si prendono le medaglie per averlo fatto. La brava gente del Kansas vuole impiccarmi, e un boia sarà felice di assumersene il compito. E' facile uccidere, molto più facile che rifilare un assegno fasullo. Ricorda solo una cosa: ho conosciuto i Clutter solo per un'ora, circa. Se li avessi conosciuti veramente forse sarebbe diverso. Forse non riuscirei a continuare a vivere. Ma così com'è andata, è stato come colpire dei bersagli a un tiro a segno.»

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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