L'ultimo inverno - Paul Harding

>> venerdì 21 dicembre 2012

Uno contro tutti ieri al Circolo Lettori che si è riunito in biblioteca. Fabio Alessandria ha dovuto vedersela con una quindicina di agguerriti lettori a cui il libro non è piaciuto. Le ragioni di Fabio sono condivisibili: alta qualità della scrittura, il tempo scandito dal meccanismo preciso e inflessibile degli orologi più volte descritti all'interno del romanzo, un intreccio narrativo circolare, l'immersione in una natura primordiale, le considerazioni sul valore della memoria (che fanno pendant con lo splendido libro di Julian Barnes esaminato nell'incontro precedente). Ma non hanno fatto breccia nell'auditorio. Dico la mia. Capisco le ragioni di Fabio e sono d'accordo sulla capacità dell'autore che in alcuni passaggi è altamente efficace nel descrivere ambientazioni e sensazioni che sembra di vivere in prima persona a livello sensoriale, quasi percependo gli odori, il freddo, il vento, la pressione al tatto. Ma il libro mi sembra un esercizio di stile in cui la somma di tante belle parti creano un insieme poco chiaro, poco avvincente e tutto sommato un po' noioso. Più di una volta mi sono trovato a leggere senza ricordami una o due pagine precedenti, in cui senza accorgermene la mia mente aveva vagato in altri pensieri. Per chi cerca un libro che tiene incollato il lettore, è meglio passare oltre.

Ci basti sottolineare come abbia saputo elevarsi oltre gli sprechi del passato, dotandosi di sandali robusti, di una mano ferma, di un cuore aperto alla natura e di una mente devota al progresso dell'umanità, e guardarlo con ammirazione mentre fruga, armeggia, lavora con insistenza su una serie di macchine fino a perfezionarne una in grado di misurare il tempo attraverso un flusso costante d'acqua nelle sue viscere. Diamogli un nome, già che ci siamo: Ctesibio di Alessandria, e conferiamogli il merito di aver costruito uno strumento che resta l'antenato di quello donato dall'Arabo a Carlo il Grande per misurare istante dopo istante i sette anni che gli restavano da vivere. Per prima cosa, un flusso costante d'acqua gocciava da un serbatoio in una vaschetta, nella quale era collocato un galleggiante, fissato con un bastoncino verticale. Appollaiata in cima al bastoncino c'era una figura (che possiamo immaginare con un turbante, una lunga veste, una fitta barba nera e occhi feroci, anch'essi neri). La figura reggeva un puntatore (anche in questo caso, possiamo immaginarlo a forma di asta o di lancia, puntata dal guerriero contro un nemico invisibile). Man mano che l'acqua riempiva la vaschetta, la figura si sollevava e il puntatore si innalzava sul lato di una colonnina, calibrata con ventiquattro tacche, una per ogni ora del giorno. Quando la figura indicava la ventiquattresima tacca, il livello dell' acqua raggiungeva un sifone che svuotava la vaschetta, facendo ricadere la figura al livello della prima tacca, vale a dire mezzanotte.
L'orologio offerto in dono a Carlo Magno non era dotato di una figura unica, ma di un quadrante con ventiquattro porticine. Al cambio dell'ora, la porticina corrispondente si apriva lasciando uscire un numero appropriato di palline color oro, che cadevano una dopo l'altra su un tamburo d'ottone rivestito da un piccolo strato di pelle caprina. Quando arrivava la mezzanotte e le dodici palline avevano battuto l'ora, dodici cavalieri in miniatura uscivano al galoppo per chiudere le dodici porte.
[...]
Kathleen disse: Dammi il cucchiaio, George. Poi glielo strappò di mano e si gettò sopra suo marito, bloccandogli il torace. Howard grugnì e Kathleen gli ficcò il cucchiaio in bocca di traverso, come fosse il morso di un cavallo, per evitare che si mordesse la lingua. Howard morse il cucchiaio, George vide le labbra di suo padre che si arricciavano staccandosi dai denti e pensò: Sembra uno spettro, non un uomo; e non Papà. George, vieni qui e tieni fermo il cucchiaio. Così. George era terrorizzato all'idea di sedersi sul petto di
suo padre.  Usa tutte e due le mani. E spingi forte. Non fargli sbattere la testa. George sentì il corpo di suo padre che tremava sotto di lui ed ebbe la certezza che si sarebbe rotto in mille pezzi, che suo padre avrebbe finito per aprirsi in due.
Mamma. Vado a prendere un bastoncino. Kathleen corse fuori dalla stanza e George la sentì sbattere contro il tavolo della cucina, rovesciando sul pavimento pile di pentole e padelle. Kathleen gemette e tornò con un bastoncino recuperato dal fascio di legna che George aveva raccolto quella mattina stessa. Proprio mentre stava per raggiungere George e Howard, il manico del cucchiaio si spezzò tra i denti di Howard e George cadde in avanti, dritto sulla faccia di suo padre. George tentò di riguadagnare l'equilibrio, ma le mani gli scivolarono su una pozza di sangue nero e oleoso che si stava formando sul pavimento, sotto la testa di suo padre. Si tirò su facendo leva sulle mani e vide che suo padre aveva aperto la bocca e stava per inghiottire una metà del inanico.
George infilò le dita nella bocca di Howard per recuperare il cucchiaio, e Howard gliele morse. George
emise un rantolo. Vide le dita incastrate tra i denti insanguinati di suo padre.
Kathleen gli parlò a voce bassa, senza inflessioni. Va tutto bene, Georgie, va tutto bene. Puoi tenermi il bastoncino?
Dai, che ce la fai. Poi tentò di disserrare la bocca di Howard. Lascia che lo prenda per il mento,
Georgie. Afferrò la bocca di suo marito come fosse una trappola per orsi.
Finirà per rompergliela, pensò George.
Infila il bastoncino, Georgie, da uno dei lati. Forza. Insisti. La testa di Howard continuava a sbattere
sul pavimento, senza sosta. George riuscì a incunearsi con il bastoncino tra i denti del padre, su un lato della
bocca. Kathleen impugnò immediatamente il bastoncino e lo infilò più a fondo, con ferocia. Senza guardare,
afferrò il cuscino di una sedia dal pavimento e lo fece scivolare sotto la testa del marito, mentre era sollevata
e prima che sbattesse di nuovo a terra. Howard scalciò contro le gambe del tavolo. Darla si affacciò alla
porta e lanciò uno strillo. Margie ansimò, tentando di riprendere fiato. Joe squittì.
Papà si è rotto!
Resisti ancora un po', Georgie. Ci siamo quasi, tesoro. C'era così tanto rumore, con gli stivali di mio padre
che scalciavano il pavimento e le gambe del tavolo, facendo tintinnare e cadere piatti e stoviglie, che rimbalzavano a terra o finivano in pezzi. C'erano vetri, cibo, forchette e coltelli sparsi dappertutto, e Buddy uggiolava e abbaiava, e Joe e Darla strillavano, ma mio padre era in mezzo a quel caos, stranamente silenzioso, come se fosse concentrato o distratto, mentre i fili, le molle, le costole e le budella scoppiettavano, esplodevano, si snodavano e uscivano dai cardini. Quando mi staccò quasi le dita, sorrideva, o sembrava che sorridesse, ed era perfettamente tranquillo.
Mia madre lo afferrò per il mento e io gli infilai a forza ilbastoncino tra i denti sporchi di sangue, senza più pensare di avere davanti una persona che avrei potuto ferire, e questo mi fece stare ancor più male. Il sangue colava dappertutto, e sembrava che le mie dita si fossero staccate e pendessero dalla mano, anche se sentivo ancora il sangue che pulsava dentro. E c'era sangue sulla faccia di mio padre e nella sua bocca, ed era il mio, e sangue tra i suoi capelli e sul pavimento, che invece era suo e colava dalla ferita che si era procurato sbattendo la testa contro la sedia, mentre cadeva. E per qualche motivo incomprensibile, notai che Russell il gatto muoveva il capo, con le orecchie tese, gli occhi spalancati, le pupille contratte e il piccolo triangolo del naso che vibrava mentre fiutava il sangue e fissava la pozza sul pavimento. Invece di spaventarmi, pensai: Ecco come stanno le cose; adesso lo so. Mio padre non è un lupo mannaro, un orso o un mostro; quindi
posso fuggire via.
[...]
Ed ecco Kathleen, stesa nel suo letto che è posto tra i rami nudi di un albero scuro come una visione infernale - il tronco annerito, la resina ridotta in cenere, avvolto nella notte. È inverno, i venti invernali scuotono i rami, e il letto si muove insieme a loro. È inverno, e l'albero è stato spogliato del suo manto brillante di foglie. È inverno, perché Kathleen è lì distesa, sveglia, il cuore a nudo, tentando disperatamente di ricordare una stagione meno desolata. E pensa: Un tempo dovrò pur essere stata giovane.
È stesa su un lato del letto. L'altra metà è occupata dalla sagoma scura di suo marito, che è voltato di spalle
e dorme profondamente, come se si trovasse in un mondo a parte. Dalla coltre di coperte spunta soltanto
il viso di Kathleen, che brilla come un uovo quasi bianco. Sotto il viso, rimboccato all'altezza del mento, c'è
il lenzuolo bianco, lavato, stirato e inamidato, ripiegato sopra la coperta per una lunghezza di dieci centimetri
esatti, come le ha insegnato sua madre quando lei era ancora una bambina. I capelli sono fissati con una
molla sopra la testa e coperti da un berretto da notte che sua madre ha cucito per lei molti anni fa. Anche se ha i capelli lunghi fino alla vita, li lascia sciolti solo quando deve lavarli - due volte al mese l'estate, una volta al mese l'inverno. Sono biondo rame, ma si sono sfibrati e cominciano a diradarsi sul cranio. Si scopre furibonda all'idea che la ferita sulla testa di suo marito possa sanguinare, inzuppare le garze e macchiare la federa del cuscino. Dalla stanza sul lato opposto del corridoio sente George che si lamenta nel sonno. Le ossa delle dita sembrano integre, ma probabilmente gli serviranno un paio di punti, perché le ferite provocate dai denti di Howard si rimarginino. Non è riuscita a sentire il dottor Box al telefono, visto che è Natale, perciò ha deciso che domattina per prima cosa porterà George al suo ambulatorio.
I suoi modi bruschi e la sua totale assenza di umorismo mascherano un'amarezza ben più profonda di quanto i figli e il marito possano immaginare. Non si è mai ripresa dallo shock di diventare moglie, e poi madre. Ogni mattina, quando va a svegliare i suoi bambini e li trova sereni, addormentati nei loro letti, è costernata
all'idea di provare soprattutto risentimento, e sentirsi perduta. Quei sentimenti la terrorizzano al punto che li ha sepolti sotto uno strato di severità domestica. Nei dodici anni trascorsi da quando si è sposata ed è diventata madre per la prima volta, è quasi riuscita a convincersi che l'ordine marziale con cui gestisce casa e
famiglia è il suo modo di manifestare quell'amore che è così spaventata di non provare. Quando uno dei figli si sveglia in una gelida mattina di gennaio con la febbre e la tosse che gli squassa i bronchi, invece di baciarlo sulla fronte, rimboccargli le coperte, mettere a bollire l' acqua e preparargli una tisana al miele e limone, reagisce affermando che non è nel destino degli uomini trovarsi a proprio agio nel mondo e che, se dovesse prendersi un giorno di riposo ogni volta che ha il raffreddore o il torcicollo, la casa andrebbe in pezzi tutto intorno a loro e si ritroverebbero come uccellini senza nido; perciò ordina: Alzati e vestiti, và ad aiutare tuo fratello con la legna, tua sorella con l'acqua. Poi tira via le coperte dal figlio tremolante, gli getta addosso i vestiti gelati e ripete: Vestiti, se non vuoi che te le suoni. Si è convinta, almeno alla luce del sole, che questo è amore, ed è il sistema migliore di tirar su i figli in modo che diventino forti come rocce. Non troverebbe più pace se si concedesse il lusso di credere che li tratta in questo modo perché ha per loro lo stesso affetto che potrebbe provare per una collezione di pietre dure.
Mentre si addormenta e già sogna di volare e di portare il suo letto tra i rami di un albero, decide che è arrivato il momento di fare qualcosa per la malattia di suo marito. Ne parlerà al dottor Box, ma solo dopo che avrà dato un'occhiata alla mano di George.
La mattina dopo, si alzò e si vestì che era ancora prestissimo. Le finestre erano tutte appannate e coperte
da uno strato di brina, e del sole non si vedeva traccia.
Howard si stirò e chiese: Che succede? Kathleen disse: Porto George dal dottore.
Per cosa? Che gli è successo? disse Howard.
Kathleen rispose: Per il morso, Howard; il morso che gli hai dato.
Howard gracchiò: Il morso? Quale morso?
La casa del dottor Box, e le due stanze a piano terra che fungevano da studio, distava poco meno di quattro
chilometri. L'alba sorprese Kathleen e George mentre camminavano su un lato della strada, la madre davanti e il bambino che le si trascinava dietro, ancora mezzo addormentato e conscio soltanto del freddo e del dolore alh mano. All'inizio, fu come se la notte prendesse un color cenere; poi una luce rossa si alzò dietro l' orizzonte, illuminando la faccia inferiore delle nuvole che correvano nel cielo, provenienti da ovest. Kathleen era preoccupata di perdere la determinazione che le sarebbe servita per parlare al dottor Box di suo marito, ma quando lei e George furono ormai a poche centinaia di metri dall'ambulatorio, la sentì crescere di nuovo.
[...]
In un orologio, lo scappamento consiste in un anello montato su un pignone e chiamato àncora, e in una ruota di scappamento, collocata in fondo alla catena di trasmissione e al treno del tempo. II treno del tempo è l'insieme degli ingranaggi che misurano e tengono il tempo. Se l' orologio è dotato di una suoneria, al treno del tempo si aggiungerà il treno della suoneria, che attiva e regola la suoneria dell'orologio, la quale consiste in un piolino, un batacchio e una spirale d'acciaio che, quando viene colpita dal batacchio, produce un suono di campana. Ognuno dei treni è alimentato da una molla. La molla, o molla motrice, è una sottile lamina d'acciaio a spirale. Il lato interno della spirale è legato all'albero di carica, che viene fatto ruotare da una
chiave per caricare la molla, e con essa l'orologio. Durante il caricamento, la molla viene bloccata da un cricchetto e da un dente d'arresto. Negli orologi di più recente fabbricazione, la molla viene alloggiata in un asse di rame, detto anche bariletto. Completato il caricamento, la molla comincia a svolgersi, e l'energia liberata viene trasmessa a una serie di ruote e ingranaggi, che fanno muovere le lancette delle ore e dei minuti sul quadrante dell'orologio. In fondo a questo treno si trova la ruota di scappamento. È qui che l'energia rilasciata dalla molla motrice abbandona l' orologio. Ed è qui che viene mantenuta la regolarità del battito; siamo quindi tornati all'àncora, e alla ruota. L'energia passa attraverso la ruota di scappamento che, trovandosi alla fine del treno del tempo, è la più bella, la più elegante e la più sensibile delle ruote. È infatti la ruota di scappamento che riceve l'energia, incanalata attraverso una serie di ingranaggi, domata e privata della sua carica selvaggia, e la costringe a eseguire il più prezioso dei compiti: scandire, con l'aiuto dell'àncora, ognuno degli 86.400 secondi in cui consistono le nostre giornate, e ripetere l'operazione per otto giorni consecutivi e per un totale di 691.200 secondi, o 192 ore. Il frutto di questa cooperazione, e ciascuno di queste centinaia di migliaia di secondi, si traduce nel rassicurante e tranquillizzante tic-toc del nostro orologio a mensola, che sovrasta il camino acceso nelle notti d'inverno.

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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