Il ritorno di Casanova - Arthur Schnitzler

>> sabato 14 maggio 2011

L'amore è una merce: lo si baratta per risolvere un debito di gioco. La virtù delle donne è pura illusione: tutte hanno bisogno di un uomo e sono sensibili ai meccanismi della seduzione. Gli uomini sono cinici, ignoranti e superficiali: il loro unico interesse è il gioco e la conquista. La felicità non esiste: al massimo è possibile godere di qualche momento gratificante. 
Libro di un pessimismo più che cosmico ha la grande qualità di restituirci un personaggio storico colto nella fase decandente della sua vita. Il celebre seduttore sta per subire una cocente sconfitta in amore quando si rende conto che la sua ambita preda, dotata di inarrivabile intelligenza e capacità dialettica,  non è molto diversa dalle centinaia di altre che ha conosciuto. Non aiutato da un corpo ormai in disfacimento, deve ricorrere all'inganno che si dimostra essere il mezzo più efficace per raggiungere qualsiasi obiettivo. Vince la battaglia ma dalla guerra della vita ne esce miseramente sconfitto.

«La camera di Marcolina?», domandò Casanova. Amalia annuì. E rivolta a Casanova, con fare allegro e come senza sospetti:
«Ti piace?».
«Perché è bella.»
«Bella e virtuosa.»
Casanova scrollò le spalle, come di fronte a un'informazione non richiesta. Poi disse:
«Se tu mi vedessi oggi per la prima volta, ti piacerei davvero, Amalia?».
«Io non so se oggi sei diverso da allora. Io ti vedo come eri allora. Come ti ho sempre visto da allora, anche nei miei sogni.»
«Guardami, Amalia! Le rughe sulla fronte! Il mio collo raggrinzito! E questo profondo solco dagli occhi alle tempie! E qui, sì, qui nell'angolo mi manca un dente», e spalancò la bocca in un sogghigno. «E queste mani, Amalia! Guardale bene! Dita come artigli... macchioline gialle sulle unghie... E queste vene... azzurre e gonfie...mani da vecchio, Amalia!»
Lei gli prese le mani e, nell'ombra del viale, le baciò una dopo l'altra, con devozione.
«E stanotte voglio baciare le tue labbra», gli disse in un tono di umile tenerezza che lo irritò. Non lontano da loro, in fondo al prato, Marcolina era sdraiata sull'erba, con le mani sotto la testa, lo sguardo rivolto verso l'alto, mentre le palle lanciate dalle bambine volavano sopra di lei. D'un tratto sollevò un braccio, cercando di acchiapparne una, la afferrò e rise forte: le bimbe si avventarono su di lei e lei non seppe difendersi: i suoi riccioli si scomposero. Casanova sussultò:
«Tu non bacerai né le mie labbra né le mie mani», disse ad Amalia, «e mi avrai aspettato e sognato invano... a meno che io non abbia prima posseduto Marcolina».
«Sei folle, Casanova?», esclamò Amalia con voce dolente.
«Così siamo pari. Tu sei pazza perché credi di rivedere in un vecchio l'amante della tua giovinezza, io perché mi sono messo in testa di possedere Marcolina. Ma forse a noi due è dato di tornare alla ragione. Marcolina mi dovrà ringiovanire... per te. Quindi... cerca di perorare la mia causa presso di lei, Amalia!»
«Sei pazzo, Casanova. E' impossibile. Non vuole saperne degli uomini.»
Casanova scoppiò a ridere.
«E il sottotenente Lorenzi?»
«Che cosa c'entra Lorenzi?»
«E' il suo amante, lo so.»
«Come ti sbagli, Casanova! Lui ha chiesto di sposarla e lei l'ha respinto. Ed è giovane e bello... credo forse più bello di quanto tu non sia mai stato, Casanova!»
«Lui ha chiesto di sposarla?»
«Domanda a Olivo, se non mi credi.»
«Mah, non fa niente. Che m'importa se è vergine o puttana, sposa o vedova... io voglio averla, la voglio!»
«Non te la posso dare, amico mio.» E dal tono della sua voce, sentì che lo compiangeva.
«Vedi bene che uomo spregevole sono diventato, Amalia. Solo dieci, cinque anni fa non avrei avuto bisogno di appoggi o intercessioni, neppure se Marcolina fosse stata la dea della virtù. E ora voglio fare di te una ruffiana. Oppure se fossi ricco... Sì, con diecimila ducati... Ma non ne ho neppure dieci. Sono un mendicante, Amalia.»
«Neppure con centomila avresti Marcolina, che cosa può importarle della ricchezza? ama i libri, il cielo, i prati, le farfalle e i giochi con i bimbi.. E con la sua piccola eredità, ha più del necessario.»
«Ah, se fossi un principe», esclamò Casanova col tono declamatorio che assumeva quando era tormentato da una passione sincera. «Avessi il potere di gettare la gente in prigione e di farla giustiziare... Ma io non sono niente. Un mendicante, e per giunta un bugiardo. Mèndico dai potenti di Venezia un incarico, un tozzo di pane, una patria! Come mi sono ridotto! Non ti faccio schifo, Amalia?»
«Io ti amo, Casanova!»
«Allora dammi quella ragazza Amalia! Dipende da te, lo so. Dille quello che vuoi. Dille che vi ho minacciati. Che sono capace di dar fuoco alla vostra casa! Dille che sono un pazzo, un pazzo pericoloso sfuggito al manicomio, e che l'amplesso di una vergine può ridarmi la salute, sì dille così.»
«Lei non crede ai miracoli.»
«Come? Non crede ai miracoli? Allora non crede nemmeno in Dio. Tanto meglio! Sono nelle grazie dell'arcivescovo di Milano. Diglielo! La posso rovinare posso rovinare tutti voi! Questo è vero Amalia! Che razza di libri legge? Ce ne saranno sicuramente di proibiti dalla Chiesa. Fammi dare un'occhiata. Ne farò una lista. Una mia parola...»
«Taci Casanova. Eccola che viene. Non tradirti! Tieni a freno i tuoi occhi! E ascolta bene quello che ti dico Casanova: non ho mai, mai conosciuto un essere più puro. Se solo immaginasse quello che ho dovuto udire poco fa, le sembrerebbe di essere insozzata e tu non la vedresti mai più per tutto il tempo che stai qui. Parla con lei... sì, parlale! Vedrai, mi chiederai perdono.»


[...]
Marcolina sorrise. «E' molto bello, da parte vostra, Cavaliere, che abbiate la bontà di giudicare con tanta indulgenza il più grande spirito del nostro secolo.»
«Un grande spirito... addirittura il più grande? Definirlo così mi sembra inammissibile già solo perché, con tutto il suo genio, è un uomo irreligioso, anzi, un ateo. E un ateo non potrà mai essere un grande spirito.»
«Secondo me, signor Cavaliere, tra le due cose non c'è contraddizione. Ma lei dovrà dimostrare innanzitutto che Voltaire possa essere definito un ateo.»
Ora Casanova era nel suo elemento. Nel primo capitolo del suo libello aveva raccolto tutta una serie di passi dalle opere di Voltaire, ma soprattutto dalla famigerata Pucelle, che gli parevano particolarmente adatti a provarne la irreligiosità, passi che adesso seppe citare letteralmente, grazie alla sua eccellente memoria, insieme con le sue argomentazioni in contrario. Ma in Marcolina aveva trovato un'avversaria che gli lasciava ben poco spazio sia in termini di dottrina che di acutezza di ingegno e che inoltre, se non nell'eloquenza, lo superava di gran lunga nell'arte vera e propria della parola, soprattutto per chiarezza d'espressione. I passi che Casanova aveva cercato di addurre come prove del sarcasmo, dello scetticismo e dell'ateismo di Voltaire, Marcolina li interpretò abilmente e prontamente come altrettante prove del genio scientifico e letterario del francese, nonché della sua instancabile e appassionata ricerca della verità, e dichiarò apertamente che il dubbio, lo scherno e la stessa irreligiosità, se uniti a un così vasto sapere, a un'onestà intellettuale così incondizionata e a un così alto coraggio, dovessero essere a Dio più graditi dell'umiltà dei devoti, dietro la quale non si celava in genere che un'insufficiente capacità di eseguire ragionamenti coerenti, anzi spesso, (cosa di cui non mancavano esempi) viltà e ipocrisia. Casanova la ascoltava con crescente stupore. Poiché non si sentiva in grado di convertire Marcolina, (tanto più che una sua certa instabilità d'animo che negli ultimi anni s'era abituato a interpretare come fede, minacciava di dissolversi del tutto – se ne rendeva conto - sotto le obiezioni di Marcolina), si mise in salvo con l'osservazione generica che opinioni come quelle da lei espresse poco prima erano altamente pericolose non solo per l'ordinamento della Chiesa, ma soprattutto per le fondamenta dello Stato. E passò poi abilmente a parlare di politica, argomento in cui, con la sua esperienza e conoscenza del mondo, poteva contare su una certa superiorità nei confronti di Marcolina. Ma anche se a lei mancavano conoscenze ed esperienze personali dei meccanismi diplomatici e di corte (e dovette quindi rinunciare a contraddire Casanova su quei particolari rispetto ai quali l'esposizione di lui le ispirava sfiducia) dalle sue osservazioni lui trasse comunque l'incontestabile conclusione che non nutriva particolare rispetto né per i prìncipi di questa terra né per le istituzioni dello Stato in quanto tali, ed era convinta che, nelle cose piccole come in quelle grandi, l'egoismo e la sete di potere contribuissero non tanto a governare quanto a confondere ulteriormente il mondo. Una simile libertà di pensiero, Casanova l'aveva incontrata di rado in una donna, e mai in una fanciulla che sicuramente non aveva ancora vent'anni. E non senza nostalgia ricordò che anche il suo spirito, in giorni passati, più belli di quelli presenti, aveva percorso con un'audacia cosciente e un po' compiaciuta la stessa strada sulla quale vedeva ora Marcolina, senza che però questa sembrasse rendersi conto della propria audacia. E tutto assorto nella peculiarità del modo di pensare e di esprimersi di lei, dimenticò quasi che stava camminando accanto a una creatura giovane, bella e molto desiderabile, cosa ancora più straordinaria in quanto si trovava tutto solo con lei nel viale ormai completamente in ombra, e piuttosto lontano da casa. D'un tratto però, interrompendo una frase appena iniziata, Marcolina esclamò vivacemente, quasi con gioia: «Ecco lo zio!...». E Casanova, come per recuperare il tempo perduto, le sussurrò: «Che peccato. Mi sarebbe piaciuto parlarvi ancora per ore, Marcolina!». E sentì che mentre diceva quelle parole, i suoi occhi si riaccendevano di desiderio.
Marcolina, che durante la precedente conversazione, nonostante l'ironia, s'era comportata in modo quasi confidenziale, riprese subito un contegno più distaccato e il suo sguardo espresse la stessa resistenza, addirittura la stessa ripugnanza, che già una volta, quel giorno, avevano così profondamente ferito Casanova. Sono davvero tanto detestabile? si domandò angosciato. No, si rispose da solo. Non è questo, però Marcolina... non è una donna. Sarà una studiosa, una filosofa, anche un prodigio sicuramente... ma non è una donna. Ma sapeva al tempo stesso che, in quel modo, cercava soltanto di ingannarsi, di consolarsi, di salvarsi, e che quei tentativi erano vani.
[...]
Non riusciva a distogliere lo sguardo da lei, né lei da lui. In quello di lui c'erano collera e vergogna, vergogna e orrore in quello di lei. Casanova sapeva come lei lo vedeva, perché lui stesso si vide, per così dire, nello specchio dell'aria, e si vide come il giorno prima allo specchio nella stanza della torre: un volto giallo e malvagio solcato da rughe profonde, labbra sottili, occhi penetranti... e per giunta tre volte devastato dalle dissolutezze della notte, dall'affannoso sogno del mattino, dalla terribile scoperta del risveglio.
E quanto lesse nello sguardo di Marcolina non fu quello che avrebbe preferito mille volte leggervi: ladro, libertino, canaglia. Vi lesse un'unica parola, che però lo abbatté più ignominiosamente di qualsiasi altra ingiuria, vi lesse la parola più terribile di tutte, che pronunciava la sentenza definitiva: vecchio.

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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