Pianoforte vendesi - Andrea Vitali

>> martedì 22 febbraio 2011

Racconto breve di umani e fantasmi, esile quanto gli stessi ectoplasmi. Sicuramente la versione in audiolibro nobilita il lavoro anche per le musiche originali che inframezzano la voce narrante. Non mi ha particolarmente entusiasmato.

Lo chiamano Pianista per via delle mani magre, dita affusolate. Il resto, la scoliosi, il naso a becco, i capelli neri lunghi e unti, non conta. Un ladro si misura dalle mani. Con quelle si sistema le palle ed esce dalla stazione. Alle sue orecchie giungono note diffuse da un altoparlante, la festa sta cominciando. Esce dalla stazione riflettendo che per quella sera i caramba avranno ben altro da pensare che a lui. Quattro passi ed è in paese. L’aria è fredda, pregna di odori forti, vin brûlé e trippa. L’atmosfera è vibrante, finestre illuminate, voci. Si sente che la festa è imminente. Glielo avevano detto che per Bellano quella è una sera particolare, da favola, che attira un sacco di gente. Bene. Sono le sei, il cielo una nuvola unica, quell’unica stella sparita. Il Pianista decide di fare un giro di ispezione prima di tutto. Individuare i luoghi giusti, quelli dove la gente si accalca, si stringe. Dove le sue mani magre, le sue dita affusolate possono avere tutto il comodo di lavorare. Anche quelli isolati, dove si parcheggiano motorini, macchine. In qualche modo dovrà tornare a casa se non gli riuscirà di prendere l’ultimo treno, alle undici. Motorini e macchine non hanno segreti per le sue mani. Una volta fatta la ricognizione s’infilerà in un piatto o due di trippa, un mezzo di rosso, per prepararsi alla notte di lavoro.

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Luther Blissett - Q

>> domenica 20 febbraio 2011

Era dai tempi de "Il nome della rosa" che non leggevo un romanzo storico così avvincente e stimolante per la conoscenza indotta sul periodo di riferimento. E' ambientato alla fine del Medio Evo (1520), all'epoca della riforma luterana, quando i contadini, stanchi dei soprusi, dei privilegi e dello sfruttamento perpetrato dai nobili e da un clero avido e corrotto, coalizzati da pastori riformatori, iniziarono una rivolta che interessò la Germania centrale e che fu soffocata nel sangue. Scritto con un ritmo incalzante, il romanzo copre un arco di tempo di trent'anni in cui il protagonista, giovane idealista unico sopravvissuto alla battaglia dei contadini più significativa, cercherà la vendetta al tradimento subito da parte di un oscuro e astuto ecclesiasta (Qoelet), servitore del potente capo dell'Inquisizione. Il romanzo mescola realtà e fantasia e la seconda completa la prima nella spiegazione degli antefatti e delle cause di importanti eventi storici. Mi è piaciuto per l'imponente affresco storico e per la disincantata visione del mondo, in cui il potere economico è capace di determinare il destino di popoli e nazioni. Tema quantomai attuale. Nei passi che riporto di seguito, la legge del denaro può essere sconfitta in due modi: promuovendo uno stile di vita votato al godere del quotidiano a scapito dell'accumulo di ricchezze fine a se stesso oppure mandando in tilt il sistema utilizzando le sue stesse armi.


- Lo so cosa ti stai chiedendo.
Si versa altra birra.
- Cosa?
- Ti chiedi come facciamo a permetterci tutto questo.
- Immagino sia tutto fornito da messer Van Hove...
- Non proprio. Non è il solo ad aver dato fondo ai forzieri per mettere in comune il patrimonio.
- Vuoi dire che esistono altri ricchi che regalano tutto ai poveri?
Ride: - Noi non siamo poveri, Lot. Siamo liberi.
Con un gesto comprende tutta la tavolata: - Qui ci sono artigiani, carpentieri, copritetti, muratori. Ma anche bottegai e commercianti. La cosa che li accomuna non è nient'altro che lo Spirito di Dio. È la cosa che accomuna tutti gli uomini e le donne, del resto.
Lo ascolto e non riesco a capire se è veramente pazzo.
- I beni, Lot, i soldi, i gioielli, le mercanzie, servono al corpo affinché se ne giovi lo spirito. Guarda questa gente: è felice. Non deve uccidersi di fatica per vivere, non deve rubare a chi possiede di piú né lavorare per lui. E dal canto suo, chi ha di piú non ha nulla da temere, poiché ha scelto di vivere con loro. Ti sei mai chiesto quante famiglie si sfamerebbero con quello che Fugger ha nei suoi forzieri? Io credo che mezzo mondo potrebbe mangiare per un anno intero senza dover alzare un dito. Ti sei mai chiesto quanto tempo un mercante di Anversa spende per accumulare la sua fortuna? La risposta è semplice: tutta la vita. Tutta la vita per accumulare, per riempire casseforti, scrigni, fabbricare la prigione per sé e i propri figli maschi, e la dote per le femmine. Perché?
Vuoto il bicchiere: il suo sogno è stato anche il mio: - E tu vorresti convincere i mercanti giú al porto che è meglio per il loro spirito dare tutto a voi altri...?
- Nient'affatto. Voglio convincerli che è piú bella una vita libera dalla schiavitú del denaro e delle merci.
- Scordatelo. Te lo dice uno che i ricchi li ha combattuti per tutta la vita.
Stringe gli occhi e alza il bicchiere: - Noi non vogliamo combatterli, sono troppo forti -. Scola la birra. - Vogliamo sedurli.
[...]
Ci spostiamo verso un grande edificio di tre piani, questa volta riesco a leggere la scritta: CASA DEI MERCANTI E DEGLI ARMATORI.
- Qui i mercanti decidono quali imprese intraprendere: quali possono essere gli affari piú convenienti.
Sgomitiamo per uscire dalla bolgia, le lingue e i dialetti di mezza Europa ci attorniano come un unico canto incomprensibile, una Babele al contrario, in cui tutti sembrano capire tutti.
- Vedi quei carri? Vengono da Liegi. Trasportano tessuti di lana lavorati dai tessitori del Condroz: vengono stivati su quelle navi, che a loro volta reimportano in Inghilterra la lana che i mercanti di Anversa hanno acquistato dagli allevatori inglesi.
- Ma è assurdo!
Eloi ride forte: - No. È profitto. Forse un giorno gli inglesi si accorgeranno che è piú conveniente per loro sviluppare le officine tessili in casa propria, ma per il momento funziona cosí.
Proseguiamo, allontanandoci dal canale verso l'interno della città, attraverso viuzze strette dove i raggi del sole non riescono ad arrivare.
- Tutto il meccanismo è mosso dal denaro. Senza il denaro non si solleverebbe un ago ad Anversa e forse in tutta Europa.
Il denaro è il vero simbolo della Bestia.
- E con questo cosa vorresti dire?
Ci fermiamo vicino a un chiosco che vende cavoli e salsicce affumicati, l'odore penetrante ci avvolge.
- Come credi che Carlo V sia riuscito a farsi eleggere Imperatore nel' 19? Pagando. Ha comprato i Principi Elettori, qualcuno gli ha messo a disposizione una quantità di denaro maggiore di quella che aveva offerto Francesco di Francia. E la guerra contro i contadini? Qualcuno ha prestato ai principi tedeschi il denaro per equipaggiare le truppe che vi hanno sconfitti. E come pensi che Carlo V finanzi la sua guerra in Italia contro i francesi? E le spedizioni contro i pirati saraceni? E la campagna contro il Turco in Ungheria? Forse credi che i mercanti di qui abbiano a disposizione somme cosí grandi per armare le loro spedizioni commerciali? Neanche per sogno. Denaro, fiumi di denaro che viene prestato in cambio di una percentuale sugli utili. Cosí funziona, amico mio.
La domanda la sta aspettando da un pezzo: - Chi possiede un simile patrimonio?
Guarda dritto davanti a noi, poi punta l'indice sull'edificio che ci sta di fronte e mormora: - Le banche.
- Ora capisci dove si annida l'Anticristo che hai combattuto per tutta la vita.
- Lí dentro? - indico l'edificio imponente che ci fronteggia.
- No. Nelle borse che passano di mano in mano in giro per il mondo. Hai lottato contro i principi e i possidenti. Ti sto dicendo che senza il denaro quelli non sarebbero niente, li avreste sconfitti da un pezzo. Invece c'è sempre un banchiere che regge loro il moccolo finanziandone le iniziative.
- Vada per le imprese commerciali, ma cosa ci guadagna, un banchiere a finanziare una guerra contro i contadini?
- E me lo chiedi? Che tornino a lavorare i campi dei loro signori, a scavare nelle loro miniere. Da quel momento, di tutto quello che viene prodotto i banchieri otterranno una parte cospicua. Vedi, Carlo V e i principi sono un ceto di parassiti che non produce niente, ma ha un bisogno enorme di sperperare denaro: guerre, corti, concubine, figli, tornei, ambascerie... L'unico modo che hanno di saldare i debiti che contraggono con i banchieri è di fare loro delle concessioni, di lasciare a loro l'usufrutto di miniere, opifici, terre, regioni intere. In questo modo i banchieri sono sempre piú ricchi e i potenti sempre piú dipendenti dal loro denaro. È un circolo vizioso.
L'aria sorniona di Eloi non lascia dubbi sul fatto che si sta divertendo a dipingermi il mondo dal suo punto di vista. Acquista una salsiccia fumante e ci soffia sopra prima di azzannarla.
Indica la banca: - Avrai certo sentito nominare i Fugger di Augusta: i banchieri dell'Impero. Non c'è un porto in Europa dove non ci sia una loro filiale. Non c'è commercio in cui non ci sia una loro anche minima partecipazione. I nostri mercanti sarebbero persi senza il denaro che i Fugger mettono a disposizione per finanziare i loro viaggi. Carlo V non sposterebbe un solo soldato se non avesse un credito illimitato presso i loro forzieri. Del resto, l'Imperatore deve ai Fugger la sua corona, la guerra contro la Francia, la crociata contro i Turchi e il mantenimento di tutte le sue puttane. Li ha ricambiati donando loro l'usufrutto delle miniere ungheresi e boeme, la riscossione delle tasse in Catalogna, il monopolio dell'estrazione mineraria nel Nuovo Mondo, e chissà cos'altro -. La salsiccia punta verso l'edificio che si erge lí davanti. - Credimi, senza i Fugger e il loro denaro quell'uomo sarebbe in rovina da un pezzo -. Ruota la testa in tutte le direzioni. - E forse tutto questo non esisterebbe.
Si pilucca le dita unte con l'aria piú naturale del mondo.
Faccio qualche passo verso il centro della strada, scruto la costruzione anonima, massiccia, poi mi guardo intorno un po' confuso, sentimenti opposti mi si accavallano dentro, rabbia, stupore, anche ironia. Mi fermo e ad alta voce butto fuori tutto quanto: - Perché nessuno mi ha mai parlato delle banche!?
[...]
- Bene, signori -. Rivolto a Eloi: - Suppongo che il nostro amico abbia bisogno di molte spiegazioni.
- Sicuro. Ma se l'ho portato qua è perché è la persona che stavamo cercando.
Faccio una mezza smorfia e aspetto.
Polnitz si aggiusta sulla sedia: - Non indugiamo, allora. Tu sai chi sono i Fugger di Augusta?
Lo sguardo resta su di me.
- Dei banchieri.
- I banchieri -. Gli occhi scrutano attenti, sa già quello che vuole dirmi. - Permettimi di raccontarti una storia.
Eloi si accende un sigaro, e sprofonda zitto e sornione tra le volute.
- Dieci anni fa il piú potente banchiere di Anversa era un certo Ambrosius Höchstetter: un vecchiaccio scavato nella pietra che da decenni dominava la piazza. Ogni fiorino speso dal re d'Ungheria Ferdinando proveniva dalla sua borsa, al cambio di tutto il mercurio boemo e molto altro ancora. Per raggiungere quella posizione il vecchio Ambrosius, molti anni prima, aveva visto lungo. Oltre all'importanza dell'amicizia con gli Asburgo, aveva capito che se i principi potevano concedergli diritti d'usufrutto di miniere e territori, la moneta girava però per altre mani, piú sporche e piú agili. Quelle dei mercanti di Anversa. Cosí aveva cominciato a raccogliere i loro risparmi: il frutto dei commerci, delle manifatture, e di tutti i piccoli e grandi scambi di cui questo porto è teatro. A chi depositava anche piccole somme presso di lui, concedeva un interesse consistente. Prestava denaro ai mercanti emergenti, finanziava le loro attività, aveva un tale potere sulle fortune di chi intraprendeva traffici ad Anversa, che nessuno avrebbe mai potuto nemmeno immaginare di scalzarlo da quel trono.
Gotz von Polnitz mi tiene lo sguardo in faccia, a sincerarsi che non perda una parola della storia.
- Nel 1528 Höchstetter era ancora il re di Anversa, ma aveva dei problemi. Era vecchio, era quasi cieco e fuori dalla città molti aspiravano a soppiantarlo. Nel 1528 Lazarus Tucher, un mercante di origine norimberghese, gestiva un discreto traffico di scambi tra Lione e Anversa. Tucher era benestante e sveglio, ma non godeva dei favori di Höchstetter: sapeva dunque che non avrebbe potuto crescere piú di tanto. Dalla primavera di quell'anno, proprio da Lione cominciarono a giungere voci circa la reale disponibilità monetaria di Höchstetter: il vecchio era esposto ovunque per somme considerevoli, prestava denaro ai mercanti, foraggiava gli Asburgo e la guerra per il monopolio del mercurio era molto costosa. I gruzzoli dei piccoli mercanti e delle corporazioni artigiane di Anversa erano irrimediabilmente lontani, sui bastimenti in rotta per il Nuovo Mondo, alla corte di Ferdinando e nelle miniere boeme. Sembra incredibile, ma in poco tempo una folla reclamava la restituzione dei propri depositi.
Gotz prende fiato, mi lascia immaginare la scena, poi continua.
- La bancarotta fu inevitabile. Höchstetter non aveva nei suoi forzieri abbastanza denaro per soddisfare le richieste, cercò disperatamente di salvarsi chiedendo aiuto anche ai suoi piú feroci concorrenti, ma il suo destino ormai era segnato. Nel 1529 il giovane, aggressivo, Anton Fugger, nipote del patriarca Jacob il Ricco, faceva il suo ingresso trionfale in città, garantendo la massa dei creditori e rilevando d'un colpo le obbligazioni, i magazzini e l'intera attività di Höchstetter. Accusato d'aver ingannato i risparmiatori, il vecchio terminò i suoi giorni in galera.
In realtà il giovane Fugger coronava un'operazione a cui aveva dato inizio piú di un anno prima, quando aveva pilotato il discredito su Höchstetter grazie alla destrezza del suo piú ambizioso agente: Lazarus Tucher. Anversa incoronò un nuovo re.
La domanda mi esce da sola: - Che fine ha fatto Tucher?
Parole soppesate: - Non è importante, non è piú in città. Quello che ti insegna questa storia è la legge fondamentale del credito: chi vuole raccogliere il risparmio da molti deve godere della fiducia di molti.
Ancora una pausa. Eloi è un ascoltatore attento al mio fianco, non muove un muscolo.
Gotz estrae dalla giubba un foglio di carta non troppo grande e lo appoggia sul tavolo.
- Non ci crederai, ma la maggior parte degli affari che si svolgono qui, avvengono tramite lettere di credito. Pezzi di carta come questo.
Rigiro il foglio tra le mani: una specie di lettera in calligrafia elegante con due sigilli e una firma in fondo.
- Anton Fugger o chi per lui garantisce con la propria sigla l'entità del tuo deposito presso i suoi forzieri. Quando tu hai in mano un pezzo di carta come questo, è esattamente come se avessi con te il tuo denaro, che però, di fatto, è al sicuro nella cassaforte di Fugger. Puoi imbarcarti, puoi viaggiare, evitando il rischio e l'ingombro di portartelo dietro. Non appena vorrai indietro le tue monete d'oro e d'argento, potrai recarti presso una qualunque delle filiali dei Fugger sparse in giro per l'Europa e ritirarle mostrando la tua lettera di credito. Ma il punto è che, proprio in base alla legge del credito, potresti non avere mai bisogno di farlo.
Gotz si ferma davanti alle mie sopracciglia aggrottate, congiunge le mani, cerca le parole giuste e prosegue: - Io sono un mercante di spezie, tu vuoi comprare la mia merce e hai con te la lettera di cambio che garantisce il tuo credito presso i Fugger per duemila fiorini. Puoi pagarmi direttamente con quello -. Indica la lettera che ho in mano: - È sufficiente che lo giri e scrivi sul verso che trasferisci a me il tuo credito. Da quel momento sono io che posso ritirare duemila fiorini presso le casse di Fugger, perché è la sua sigla, non la tua, a garantirmelo. Capisci? Non sono costretto a fidarmi di te, non sei tu che prometti di pagarmi, è sufficiente che io dia credito alla parola di Anton Fugger.
Giro la carta e vedo una sfilza di cinque o sei annotazioni tutte seguite da firme diverse. Per sei volte, la lettera che ho in mano ha sostituito il metallo delle monete senza che queste lasciassero la cassaforte della banca.
- Fino a qui tutto chiaro?
- C'è una cosa che non capisco: qual è l'interesse del banchiere in tutto questo?
Gotz annuisce: - Mentre la lettera di credito passa di mano in mano, il denaro è comunque a sua disposizione. Ricordati del vecchio Höchstetter: raccoglieva il risparmio e lo reinvestiva in affari redditizi. Questo fa il banchiere. I tuoi duemila fiorini, insieme a quelli di tanti altri creditori, vanno a finanziare l'allestimento di flotte mercantili, il reclutamento di eserciti, l'estrazione mineraria, il mantenimento di corti principesche e quant'altro, per poi rientrare raddoppiati nelle casse di Fugger. Fugger ha il denaro in cassa, Fugger lo presta a principi e mercanti, Fugger lo reincassa con gli interessi -. Mi concede il tempo di realizzare. - Il denaro genera denaro.
Il silenzio mi avverte che siamo arrivati a un punto saliente dell'esposizione. Eloi non fuma piú, le braccia conserte, l'aria meditabonda. Gotz continua a rivolgersi a me.
- Adesso puoi capire perché Fugger è disposto ad aumentare il tuo gruzzolo se glielo lasci in deposito per molto tempo.
- Vale a dire?
- Che anche lui ti paga un interesse, dato che a tutti gli effetti, depositando una certa somma nel suo forziere, tu gli hai messo a disposizione del denaro, consentendogli cosí di aumentare il volume dei suoi investimenti.
Cerco di raccapezzarmi: - Stai dicendo che se deposito i miei duemila fiorini presso la banca e li lascio lí, un anno dopo saranno diventati duemila e cento?
Gotz si concede il primo sorriso: - Esattamente. In questo modo i creditori non saranno tentati di ritirare troppo frequentemente i loro depositi, e non lasceranno esposto Fugger all'eventualità di un'emorragia di moneta dai suoi forzieri -. Indica di nuovo la lettera di credito. - Da questo punto di vista, quel pezzo di carta facilita l'ingrossarsi delle somme depositate, visto che finché qualcuno non va a riscuoterle, quelle restano a lievitare nelle mani di Fugger.
Ho la testa un po' confusa, il meccanismo sembra semplice nelle parole di Gotz, ma sono afflitto dalla sensazione che qualcosa mi stia inevitabilmente sfuggendo.
- Mmh, vediamo se ho capito. La lettera di credito vale duemila fiorini. Posso decidere di scambiarla subito come fosse denaro, oppure conservarla e aspettare che il deposito cresca con gli interessi. - Gotz segue il ragionamento con ampi cenni d'assenso della testa. - Be', penso che la scelta dipenderebbe dal bisogno che ho di usare quel denaro nell'immediato.
- Benissimo.
- È un meccanismo diabolico.
Eloi ridacchia e finalmente parla: - Lasciamo il diavolo fuori da questo affare. È già abbastanza complicato.
Gotz cattura nuovamente la mia attenzione: - L'intero meccanismo si basa soltanto sulla fiducia che tutti quanti attribuiscono alla firma di Anton Fugger. È la sua parola che regge gli scambi.
- Sí. Questo è abbastanza chiaro.
- Bene -. Per la prima volta cerca con lo sguardo l'assenso di Eloi. Un piccolo cenno del capo dell'amico e la faccia butterata di Gotz è di nuovo per me: - Veniamo al punto allora. Cosa penseresti se ti dicessi che la lettera di credito che hai in mano è falsa?
Rigiro il foglio giallognolo, osservo bene le firme, i sigilli.
- Direi che non è possibile.
Gotz tradisce la soddisfazione. Dalla piccola borsa che ha al fianco tira fuori una scatolina nera, anonima, un foglio delle stesse dimensioni di quello che ho in mano, un calamaio e una lunga penna d'oca.
Scrive lentamente, attento a non macchiare la carta, soltanto il graffiare della penna nel silenzio dei suoi due spettatori.
Con la fiamma della candela scioglie due gocce da un bastoncino di cera rossa, lasciandole cadere sul foglio. Quindi apre la scatolina e ne estrae due piccoli timbri di piombo, che calca sulla cera calda. Gira il foglio e me lo allunga sul tavolo.
La scrittura è identica, stesse parole, stesso tratto. I timbri sono quelli, anche la firma di Anton Fugger campeggia nella stessa posizione, le stesse lievi sbavature d'inchiostro sulle consonanti, dove la mano ha calcato di piú.
Pianto lo sguardo in faccia a Gotz, cercando di immaginare chi diavolo è il tipo che ho di fronte. Lui non si scompone affatto.
- Sí, sono entrambe false.
- Come fai ad avere quei timbri?
Si ferma: - Ogni cosa a suo tempo, amico mio. Adesso guarda bene quelle due lettere.
Lo sguardo si sposta dall'una all'altra un paio di volte: - Sono identiche.
- Non esattamente.
Guardo con piú attenzione: - Su questa ci sono dei segni sul margine destro, in basso, ma sono quasi invisibili.
- Infatti. È un codice segreto. Il codice con il quale gli agenti di cambio che lavorano per Fugger nelle filiali sparse per l'Europa comunicano tra loro. Il primo segno indica la filiale che ha emesso la lettera di credito, vale a dire quella in cui è stato versato il denaro. Lo scarabocchio che vedi ad esempio dice che i soldi sono depositati ad Augusta. Il secondo è la firma personale, anch'essa cifrata, dell'agente che ha redatto la lettera, in questo caso Anton Fugger in persona. Il terzo segno indica l'anno di emissione.
- Come fai a conoscere il codice?
Gotz finge di non aver sentito la domanda: - Se tu ti presentassi con una lettera priva di codice a una qualunque delle agenzie Fugger, verresti arrestato immediatamente. Per quanto tu sappia riprodurre la firma di un agente dei Fugger, se non conosci il codice non puoi falsificare una lettera di credito.
- E tu come fai a conoscerlo?
Silenzio. Ci fissiamo.
Eloi lo incoraggia: - Diglielo, Gotz.
Sospira: - Ho lavorato sette anni come agente dei Fugger a Colonia
I pensieri si accavallano, confusione. Mi rivolgo a Eloi: - È questo l'affare? Falsificare lettere di credito e attingere a man bassa dai forzieri di Fugger?
Eloi ride: - Piú o meno. Ma non è cosí facile come sembra.
Gotz riprende la parola: - Fugger e i suoi agenti conoscono personalmente i loro piú grossi creditori, sono gli stessi con cui fanno gli affari piú proficui. Inoltre hanno un'idea abbastanza precisa del giro di scambi che passa dai porti tra il Baltico e il Portogallo: è il loro regno, non dimenticarlo. Anversa è esattamente nel mezzo del traffico commerciale: la loro piazzaforte. Se domani uno sconosciuto qualunque con le pezze al culo entrasse nella banca locale con una lettera che gli accredita cinquantamila fiorini, difficilmente ne uscirebbe indisturbato con quella cifra. Bisogna lavorare di fino. Passo passo.
Gotz è bravo, se vendesse fumo la farebbe piú semplice.
Adesso però devo sapere di cosa stiamo veramente parlando.
- Quanto?
Senza indugiare: - Trecentomila fiorini in cinque anni.
Deglutisco la montagna di soldi che non riesco a immaginare: il colpo ai banchieri piú ricchi di tutta la cristianità.
- In che modo?
Annuisce, sono ancora qui, è già un buon segno.
- Adesso te lo spiego.
- Innanzi tutto serve mettere in piedi un'attività di copertura. Cosa sai di come funziona il traffico delle merci?
- Ho derubato un mercante sulla via di Augusta e ucciso tre pirati vicino a Rotterdam. Probabilmente è redditizio, ma sembra che sia una cosa rischiosa.
Gotz gongola: - Ottimo. Infatti un'altra delle attività dei banchieri è quella di assicurare i carichi, perché con i tempi che corrono i mercanti fanno fatica ad assumersi tutti i rischi da soli.
- Vai avanti.
- Immagina di essere un mercante che ha l'opportunità di aprire un importante scambio di merci con l'Inghilterra. Acquisti zucchero di canna raffinato dalle manifatture di Anversa e Ostenda e lo rivendi sulle piazze di Londra e Ipswich. È un commercio molto redditizio ed è tua intenzione svilupparlo al meglio. Hai noleggiato due imbarcazioni, ma il proprietario ti ha chiesto di assumerti tutti i rischi del trasporto, navi incluse. Cosa fai per tutelarti?
Ci penso un attimo e capisco qual è la risposta: - Vado nella sede Fugger di Anversa a raccontare questa storia, per assicurare il carico e le navi.
Gli occhi piccoli e neri di Gotz non si muovono: - Te la senti?
- Cosa ne sarà del carico e delle navi?
Eloi precede la risposta: - Il primo carico di zucchero arriverà felicemente a Londra. Al secondo giro il carico destinato a Ipswich e le due navi che lo trasportano saranno vittime di un'imboscata di pirati zelandesi.
È Gotz a continuare: - Quindi avrai diritto a riscuotere i quindicimila fiorini dell'assicurazione.
Ci penso con calma, fin qui tutto chiaro: - E dopo?
- Invece di prelevare il denaro, te lo fai corrispondere in lettere di credito, confermando la tua intenzione di proseguire nell'attività e di continuare a essere cliente dell'agenzia. E infatti chiederai all'agente dei Fugger di vincolare le tue lettere a tre anni, in modo che chi le riscuota allo scadere del vincolo possa farlo ricevendo un cospicuo interesse, ma non prima.
- Tre anni?
- Per prendere tempo. Quanto piú tardi le nostre lettere verranno riscosse, tanto meglio sarà per noi. Perché in quei tre anni svolgerai i tuoi affari con le lettere di credito che attestano il tuo gruzzolo nei forzieri dei Fugger, ma intanto comincerai anche a mettere in circolazione quelle false che ti fornirò io. Con tutte le lettere, vere e false, compreremo merci su molte piazze diverse e poi le rivenderemo per moneta sonante. Una parte verrà nuovamente depositata in banca. Questo servirà a tenere vivo il rapporto con l'agenzia e ad attestare che l'attività commerciale prospera moderatamente. Tutto il resto sarà il meritatissimo premio alla nostra scaltrezza.
- Come fai a essere sicuro che non ci scopriranno subito?
- Questo è il mio mestiere. È soltanto una questione di equilibrio tra i pagamenti fatti con le lettere a cui corrisponde denaro realmente depositato in cassa e pagamenti fatti con le lettere false. Faremo circolare i falsi per la maggior parte sulle piazze, periferiche, in questo modo guadagneremo altro tempo e piú difficili saranno le verifiche da parte dei Fugger.
- Quanto durerà il gioco, se non ci fanno fuori prima?
- Secondo i miei calcoli, se stiamo attenti a diffondere le lettere false su piazze diverse, per scoprirci non impiegheranno meno di cinque anni. E del resto, quello è il tempo che ci serve per assicurarci la vecchiaia. Centomila fiorini a testa. Dico bene, signori?

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L'Isola dei Pirati - Michael Crichton

>> domenica 13 febbraio 2011

Crichton è uno dei miei scrittori preferiti perchè nelle sue prove migliori (che secondo me sono Timeline, Preda, Jurassic Park, Punto Critico, Rivelazioni) riesce a fondere mirabilmente scienza e fantasia, prefigurando scenari futuri su cui è stimolante ragionare per anticipare tendenze e costruire innovazione. Non tutta la sua produzione va nella direzione della techno-fiction, ha creato anche romanzi storici in cui ha sempre dato prova di essere uno scrittore attento, che studia accuratamente l'epoca e riesce con le conoscenze acquisite a dare veridicità all'ambientazione del racconto e, altra sua caratteristica che apprezzo tanto, ad acculturare il lettore. Avendo letto tutto di lui mi mancava questo libro, uscito postumo dopo la sua morte. Il romanzo purtroppo non è all'altezza degli alti livelli raggiunti nella sua carriera, sembra un racconto di gioventù dove si intravede un certo mestiere che però ha bisogno di tempo, lavoro, esperienza per evolversi nella giusta direzione. La storia e i personaggi sembrano piatti come i quadri dei pittori dilettanti che danno un'idea di cosa rappresentino ma le immagini non fuoriescono dalla tela. In diverse parti sono introdotti avvenimenti e situazioni che rimagono in sospeso, non portate a compimento o risolte molto frettolosamente. 
Riporto di seguito alcune parti in cui l'autore "accultura" il lettore e le ultime fasi dell'avvincente duello tra il galeone spagnolo e quello corsaro.

«Per prima cosa vi eravate raccomandato di procurare una miccia lunga e a lenta combustione. Giusto?». Hunter annuì. «Le micce abituali sono inutilizzabili», spiegò diligente l’Ebreo. «In alternativa, si potrebbe ricorrere a una riga di polvere da sparo, che però brucia troppo rapidamente, o alle normali micce a lenta combustione, che però sono troppo lente.» Queste ultime erano costituite da pezzi di cordicella o spago impregnati di salnitro. «E la fiamma, inoltre, è spesso troppo debole per dar fuoco all’esplosivo vero e proprio. Mi spiego?»
«Sì.»
«Bene. Quanto a intensità della fiamma e velocità di combustione della miccia si può trovare una via di mezzo accrescendo la proporzione di zolfo contenuta nella mistura infiammabile. Tale mistura, però, è nota per la sua inaffidabilità. E noi non vogliamo che la fiamma si metta a tremolare per poi spegnersi.»
«No, infatti.»
«Ho provato diversi tipi di corda e di stoppino e di tessuto, senza apprezzabili risultati. Nessuna delle soluzioni sperimentate si è rivelata utile allo scopo. Allora mi sono messo a cercare qualcosa che potesse contenere la polvere di innesco e ho trovato questo.» Mostrò a Hunter una bianca e sottile sostanza membranosa. «Le
budella di un topo», sorrise felice, «leggermente asciugate su carboni tiepidi per depurarle di ogni umore e succo, preservandone al contempo l’elasticità. Ebbene, introducendo un certo quantitativo di polvere nell’intestino, si ricava una miccia con le caratteristiche richieste. Ve lo dimostro.»
Ne prese un pezzo lungo all’incirca tre metri, biancastro, al cui interno si coglieva, in trasparenza, l’ombra della polvere. Lo posò sul terreno e ne incendiò un’estremità. La miccia cominciò a bruciare in silenzio, con pochi scoppiettii, lentamente, consumandosi mediamente al ritmo di quattro o cinque centimetri al minuto.
L’Ebreo si illuminò. «Visto?»
«Avete ottimi motivi per andar fiero di voi», si complimentò Hunter. «È trasportabile questo tipo di miccia?»
«Con le appropriate precauzioni», disse l’Ebreo. «L’unico problema è il tempo. Se il budello diventa troppo secco, si sfalda e potrebbe rompersi. Questo fenomeno si verifica più o meno a distanza di un giorno.»
«Allora dovremo portarci dietro un certo numero di topi.»
«Lo credo anch’io», disse l’Ebreo. «Comunque, c’è un’altra sorpresa: una cosa che voi non avevate richiesto. Magari non saprete che cosa farvene, ma a me pare ugualmente uno strumento assai apprezzabile.» Si interruppe per un istante. «Avete mai sentito parlare di quell’ordigno che i francesi chiamano grenade?»
«No.» Hunter scosse la testa. «Che cos’è? Un frutto avvelenato?» Grenade, in francese, indicava la melagrana, e gli avvelenamenti, a quei tempi, erano all’ordine del giorno alla corte di re Luigi. «In un certo senso...» ammise l’Ebreo con un vago sorriso. «Il nome deriva dal fatto che l’ordigno contiene “semi” come la melagrana. Sapevo dell’esistenza di armi del genere, ma sapevo anche che la loro fabbricazione era  estremamente pericolosa. Io, però, sono riuscito a produrla senza danni. Il segreto sta nella proporzione del
salnitro. Guardate.» L’Ebreo sollevò un bottiglia di vetro dal collo corto in cui versò una manciata di pallini da caccia e alcuni frammenti di metallo. Mentre era così occupato, precisò: «Non voglio che pensiate male di me. Avete mai sentito parlare della Complicidad Grande?».
«Solo vagamente.»
«Tutto ebbe inizio con mio figlio», iniziò a raccontare l’Ebreo con una smorfia, continuando a preparare la granata. «Nell’agosto dell’anno 1639 mio figlio aveva da molto tempo abbandonato la fede ebraica. Viveva a Lima, in Perù, Nuova Spagna. La sua famiglia prosperava, e lui si fece diversi nemici. «Fu arrestato l’11 di agosto», proseguì l’Ebreo infilando altri pallini nel recipiente di vetro, «e accusato di praticare la religione ebraica in segreto. Dicevano che non apriva mai il suo negozio di sabato e che non mangiava pancetta a colazione. Fu marchiato come giudaizzatore e torturato. Gli chiusero i piedi nudi in scarpe di ferro incandescente e gli bruciarono le carni. Finì per confessare.» Ormai la bottiglia era piena di polvere da sparo e l’Ebreo la sigillò facendo sgocciolare della cera sull’imboccatura. «Rimase in prigione per sei settimane», riprese. «Poco dopo undici uomini furono messi al rogo. Sette erano ancora vivi. Tra questi ultimi c’era anche mio figlio. Il comandante della guarnigione era Cazalla, e fu lui a sovrintendere all’esecuzione dell’autodafé. Le proprietà di mio figlio furono requisite. Sua moglie e i bambini... scomparvero.» L’Ebreo rivolse una fugace occhiata a Hunter e si asciugò le lacrime. «Non cerco compassione», disse, «forse il mio racconto vi aiuterà a comprendere meglio questa mia idea.» Sollevò la granata e vi innestò una miccia corta.
[...]
Le colubrine pesavano più di due tonnellate ciascuna. Con gli affusti fuori uso, quei cannoni sarebbero risultati inservibili, perché diventava impossibile puntarli e far fuoco. E se anche nella fortezza ci fossero stati altri affusti di scorta, sarebbero servite decine di uomini e molte ore di lavoro per sostituire quelli distrutti e rimettere in funzione l’artiglieria. «Prima di tutto, però», disse don Diego sorridendo compiaciuto, «ci occuperemo delle culatte.» Hunter non ci aveva pensato, ma si rese subito conto dell’astuzia di quella mossa.
Le colubrine, come tutti i cannoni, venivano caricate dal davanti. Per prima cosa gli artiglieri infilavano nella bocca del cannone un sacchetto di polvere da sparo e subito dopo il proietto, la palla. Quindi introducevano nel focone situato nella culatta un oggetto sottile e appuntito, per lacerare il sacchetto contenente la polvere da sparo, e poi una miccia accesa. La miccia si consumava all’interno del focone e raggiungeva la polvere da sparo che, esplodendo, scagliava lontano il proietto. Questo metodo risultava efficace finché il focone aveva dimensioni limitate. Dopo molti spari, però, la miccia infuocata e le esplosioni finivano per corroderlo e allargarlo, trasformandolo in una valvola di sfogo per i gas in espansione. In tali condizioni, la gittata del cannone si riduceva notevolmente e talvolta il colpo non partiva neppure, mettendo in serio pericolo l’incolumità degli artiglieri. Per rimediare a questo inevitabile deterioramento, i costruttori di cannoni avevano
dotato le culatte di un pezzo metallico intercambiabile e rastremato, al centro del quale veniva praticato un sottile forellino. Il pezzo veniva inserito dalla bocca del cannone, in modo che l’espansione dei gas dovuta all’esplosione finisse per spingerlo al suo posto - sempre di più e meglio - dopo ogni nuovo sparo. Quando il focone, cioè il forellino centrale, diventava troppo largo, bastava rimuovere il pezzo e sostituirlo con uno nuovo. A volte, però, quell’inserto metallico veniva sparato fuori tutto intero, all’indietro, provocando un grosso buco nella culatta del cannone. A questo alludeva don Diego: voleva rendere inutilizzabili quei cannoni almeno finché qualcuno non avesse sostituito il pezzo e fatto le necessarie riparazioni, procedure che avrebbero richiesto molte ore di lavoro.
[...]
«Signora», riprese Hunter, «in questa comunità...»
«Comunità? É questa», lo interruppe lei, facendo un ampio gesto a indicare la nave e gli uomini addormentati sul ponte, «voi la chiamate “comunità”?» «Certo! Ovunque vi siano uomini riuniti, ci sono regole da seguire. Questi individui seguono leggi diverse da quelle vigenti alla corte di re Carlo e di re Luigi o anche solo nella colonia del Massachusetts, dove io sono nato. Eppure, anche qui ci sono regole da rispettare, e pene per chi le trasgredisce.»
«Ma voi siete un filosofo!» La voce di lady Sarah suonò sarcastica nel buio. «Parlo per esperienza. Alla corte di re Carlo che cosa vi accadrebbe se mancaste di inchinarvi al cospetto del monarca?» Lei sbuffò, rendendosi conto di dove quell’argomento andasse a parare. «Lo stesso vale anche qui», continuò Hunter. «Questi uomini sono orgogliosi e violenti. Se spetta a me governarli, pretendo che mi obbediscano. E l’obbedienza comporta anche il rispetto, oltre al riconoscimento della mia autorità, che è assoluta.»
«Voi parlate come un re.»
«Un capitano è il re del suo equipaggio.»
[...]
Hunter attese per un altro istante. Quindi cominciò a contare ad alta voce. «Tre», gridò, mentre il mirino inquadrava il cielo. Poi la nave cominciò la fase discendente, e per un istante il suo profilo comparve nello strumento dell’Ebreo. «Due», gridò, con il mirino che mostrava il mare ribollente. Ci fu una breve esitazione nel movimento. Hunter attese. «Uno!» urlò, quando ricominciò il movimento ascendente. «Fuoco!»
Il Trinidad fu scosso da un rollio impressionante e sbandò bruscamente, nel momento in cui tutti e trenta i cannoni esplosero la prima salva. Hunter fu scaraventato all’indietro contro l’albero maestro con una violenza che lo lasciò senza fiato. Eppure, ci badò a malapena. Era in attesa, infatti, della fase discendente dell’oscillazione, ansioso di vedere che cosa fosse accaduto al nemico. «L’avete colpita!» gridò Lazue.
E il colpo era stato durissimo. L’impatto aveva fatto ruotare la nave spagnola, che ora si trovava con la poppa verso il mare aperto. Il profilo del castello di poppa era ridotto a una linea frastagliata, e l’albero di mezzana stava cadendo nell’acqua con un movimento rallentato, trascinandosi dietro vele e sartie. Nello stesso istante, però, Hunter si rese conto di aver colpito un po’ troppo vicino alla prua: di certo il timone e il timoniere non avevano subito danni. La nave spagnola, quindi, era ancora in condizioni di navigare. «Ricaricate e spingete fuori i cannoni!» gridò. A bordo del vascello nemico c’era molta confusione. Hunter era cosciente di aver guadagnato tempo. Non era certo, però, di poter contare su tutto il tempo necessario per preparare una seconda salva. Sulla nave nera, a poppa, l’equipaggio si affannava ad abbattere definitivamente l’albero di mezzana e liberarsene. Per un attimo si ebbe l’impressione che, cadendo in acqua con l’attrezzatura, potesse andare a impigliarsi nel timone, ma alla fine quell’eventualità sfumò. Hunter sentì giungere dal ponte di batteria del Trinidad il frastuono dei cannoni che, dopo essere stati ricaricati, venivano nuovamente sospinti fuori dai portelli. La nave da guerra spagnola era più vicina, a quel punto - meno di quattrocento metri a sinistra - ma da quell’angolazione non poteva sparare bordate. Passò un minuto; poi ne passò un altro... Il vascello nemico fu rimesso in sesto, mentre l’albero di mezzana con le sue vele si allontanava alla deriva nella sua scia. La prua della nave nera cambiò rotta. Gli spagnoli stavano virando per muovere contro l’indifeso lato destro del Trinidad. «Maledizione!» urlò Enders. «Lo sapevo che quel Bosquet era un astuto bastardo!» Il vascello agli ordini del francese si allineò per sferrare la bordata, e un attimo dopo la carica arrivò a segno con una precisione micidiale. Altri pennoni e sartie varie ricaddero sul ponte tutt’intorno a Hunter. «Non siamo in grado di reggere altri colpi», disse Lazue con un filo di voce. Hunter stava pensando esattamente la stessa cosa. «Quanti sono i cannoni già in posizione?» gridò. Don Diego fece un rapido calcolo. «Sedici!»
«Li faremo bastare», disse Hunter. L’ennesima bordata spagnola li investì con effetti catastrofici. Il Trinidad stava andando in pezzi sotto i piedi di Hunter. «Signor Enders!» strillò il capitano. «Preparatevi a virare!»
L’artista del mare guardò Hunter con espressione incredula. Un cambiamento di rotta, in quel momento, avrebbe portato il Trinidad davanti alla prua della nave da guerra... e molto più vicino a essa. «Preparatevi alla virata!» ripetè Hunter. «Pronti a virare!» gridò Enders. I marinai sbalorditi corsero alle cime, lavorando
freneticamente per sbrogliarle. La nave da guerra era sempre più vicina. «Trecentocinquanta iarde», avvertì Lazue. Hunter la udì a malapena. Non gli interessava più la distanza. Stava scrutando attraverso il mirino la sagoma della nave spagnola offuscata dal fumo. Gli bruciavano gli occhi, aveva la vista annebbiata. Sbatté le palpebre per mettere a fuoco l’immagine e si concentrò su un punto non visibile della nave spagnola. In basso,
appena sotto la linea di galleggiamento. «Pronti! Timone sottovento!» gridò Enders. «Pronti a far fuoco!» urlò Hunter. Enders era sbalordito. Hunter se ne rendeva conto anche senza guardarlo in faccia. Aveva, infatti, l’occhio puntato dentro il mirino e stava per sparare mentre la nave era ancora in fase di manovra. Era una cosa inaudita, una vera follia. «Tre!» gridò Hunter. Nel mirino, vide il Trinidad che cambiava orientamento come per puntare verso la nave spagnola...«Due!» Il galeone di Hunter si muoveva con lentezza, ora: il capitano vedeva la sagoma del vascello nemico passare ai margini dell’inquadratura. Sfilarono i portelli dei cannoni e a quel punto c’era solo legno...«Uno!» Il mirino continuava a muoversi lungo il bersaglio, sempre più avanti, ma era troppo alto. Aspettò il movimento discendente della propria nave, tenendo conto che contemporaneamente quella spagnola si sarebbe un po’ sollevata, esponendo il fianco. Aspettò. Non osava respirare. Non aveva neppure il coraggio di sperare. Il Trinidad risalì a fatica e...«Fuoco!» Di nuovo il galeone fu scosso dalla violenza degli spari simultanei. Ne uscì una salva un po’ irregolare; Hunter se ne rese conto con l’udito e con l’istinto, perché i suoi occhi non riuscivano a vedere nulla. Attese che il fumo si diradasse, e che il Trinidad si riassestasse. A quel punto potè finalmente vedere i risultati. «Madre di Dio», sospirò Lazue.
La nave spagnola non dava segno di essere stata colpita. Hunter l’aveva completamente mancata. «Che mi pigli il demonio!» imprecò Hunter, rendendosi conto della strana preveggenza contenuta in quelle sue parole. Erano tutti destinati all’inferno: la successiva bordata degli spagnoli sarebbe stata il colpo di grazia. «È stato un nobile tentativo, condotto con freddezza e audacia», disse don Diego. Lazue scosse la testa e andò a dargli un bacio su una guancia. «Che i santi ci proteggano», disse. Una lacrima le scivolò sulla guancia. Hunter si sentiva schiacciato dalla disperazione. Aveva sprecato la loro ultima possibilità: li aveva delusi tutti. Non c’era altro da fare che alzare bandiera bianca e arrendersi. «Signor Enders», ordinò, «fate sventolare la bandiera...»
Non terminò la frase, perché Enders stava ballando dietro il timone, dandosi delle violente pacche su una coscia, in preda a un clamoroso accesso di ilarità. A quel punto dal ponte di batteria si levò un boato di giubilo. Erano tutti impazziti? Accanto a lui, Lazue lanciò un gridolino estasiato e cominciò a ridere sguaiatamente come Enders. Hunter si voltò verso la nave spagnola. Vide la prua sollevarsi dall’acqua e a quel punto comparve l’enorme buco nello scafo, largo quasi tre metri, sotto la linea di galleggiamento. Subito dopo la prua tornò a immergersi, nascondendo il danno sott’acqua. Non ebbe quasi il tempo di rendersi conto del significato di quel fatto, perché nuvole di fumo si sprigionarono dal castello di prua del vascello nemico, gonfiandosi con sorprendente rapidità. Un attimo dopo, un’esplosione rimbombò sulla superficie del mare. La nave spagnola scomparve in una gigantesca sfera di fiamme, tra esplosioni che si susseguivano, perché le polveri immagazzinate nella stiva avevano preso fuoco. Si udì una nuova detonazione, così potente che anche il Trinidad risentì dell’onda d’urto. Poi un’altra, e un’altra ancora, e nel giro di poco il vascello di Bosquet venne inghiottito dal mare. Hunter non riusciva a scorgere altro che frammentarie immagini di devastazione: gli alberi che crollavano, i cannoni scaraventati in aria da mani invisibili, l’intera struttura della nave che si accartocciava su sé stessa, per poi esplodere verso l’esterno. Qualcosa urtò l’albero maestro poco sopra la testa di Hunter e gli scivolò giù sui capelli e sulle spalle, per poi cadere sul ponte. D’acchito pensò che potesse trattarsi di un uccello, ma guardando meglio vide che era una mano umana recisa all’altezza del polso. C’era un anello infilato su un dito. «Santo Dio!» bisbigliò. Quando rialzò lo sguardo verso la nave spagnola fu testimone di un’altra scena sconvolgente. La nave nera era sparita. Letteralmente svanita, e un attimo prima era lì. Certo, divorata dal fuoco e dalle nubi incandescenti delle esplosioni, ma c’era. A quel  punto, invece, non si vedeva più: solo frammenti, relitti infuocati, vele e pennoni che galleggiavano nell’acqua
accanto ai cadaveri dei marinai. E si sentivano le grida lancinanti dei sopravvissuti. La nave nera non esisteva più. Tutt’intorno a lui, l’equipaggio esultava. Hunter non riusciva a staccare gli occhi dal punto in cui fino a poco prima veleggiava la nave nemica. Tra i resti ancora in fiamme, il suo sguardo si posò su un corpo che galleggiava a faccia in giù tra le onde. Era il cadavere di un ufficiale spagnolo: lo si capiva dalla giubba blu che aveva ancora addosso. Chissà come, i pantaloni di quell’uomo erano stati lacerati sul didietro dalle esplosioni, sicché le sue natiche nude affioravano dall’acqua. Hunter osservò la parte esposta del corpo di quell’uomo, incapace di spiegarsi come mai la casacca, a differenza dei calzoni, fosse intatta. C’era qualcosa di osceno nella casualità, nella stranezza di quella morte. Poi, quando il cadavere fu fatto sobbalzare da un’onda, Hunter vide che era senza testa. Avvertì d’istinto che, a bordo della propria nave, l’equipaggio aveva smesso di gioire. Erano tutti ammutoliti e lo stavano guardando. Lui guardò a sua volta le loro facce, sfinite, sporche di fuliggine e sangue, gli occhi stravolti e spenti per la fatica, eppure stranamente pieni di speranza. Lo stavano guardando, in attesa che lui facesse qualcosa. Per un attimo, non riuscì a capire che cosa mai volessero da lui. Poi, però, sentì qualcosa su una guancia e comprese all’istante. Pioggia.

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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