Scandaloso omicidio a Istambul, Mehmet Somer

>> martedì 25 agosto 2009


Giallo ambientato in un giro di travestiti della città turca, in cui il protagonista diventa suo malgrado un investigatore che indaga sull’omicidio di un suo amico. E’ narrato con umorismo e ironia, peccato che la trama risulti molto esile e modi e costumi di Istambul rimangano molto sullo sfondo.

Se le avessi detto di parlare, non avrebbe parlato così tanto. Non appena ci accomodammo sulle poltrone coperte da copridivani stampati, divenne il portavoce del nostro trio. Gonul compose frasi scollegate su quanto fosse caldo, sul rischio di un nuovo terremoto a Istambul e, nel caso, su dove fosse l’epicentro e quale l’intensità, su come si giudicasse la qualità di un cocomero, su quale giocatore si sarebbe trasferito a quale squadra l’anno seguente, su come aggiungere un pizzico di cannella e uno di chiodi di garofano al caffè macinato in casa per garantirgli un aroma davvero speciale. Ascoltavo senza riuscire a dimenticare il cadavere al piano superiore.

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Il decano, Lars Gustafsson


Romanzo costruito sul rapporto tra un oscuro decano di un’università statunitense e un suo assistente professore, che narra le vicende ex post, attraverso un manoscritto ritrovato danneggiato in alcune sue parti. Thriller non molto consistente, è interessante per alcune descrizioni e considerazioni filosofiche.

Il nulla aveva in sé qualcosa di spaventoso, qualcosa che turbava e inquietava i miei giovani sensi. Discutevamo alcune delle difficoltà che gli antichi romani e altri popoli avevano avuto perché non avevano mai imparato ad usare lo zero, con l’insieme vuoto. E Ingram mi spiegava quale straordinario passo avanti nella comprensione delle relazioni matematiche si compì quando gli arabi alla fine arrivarono con il loro sifr, lo zero. Un segno che nell’arabo non aveva ancora l’aspetto di zero ma somigliava piuttosto a un uno, ma che a ben vedere era l’unica cosa non banale di tutta la matematica. Cosa c’era infatti di più banale di tutti quegli assiomi che trattavano solo di serie di numeri e di addizione e sottrazione e che, fatti i primi passi, sembravano creare un mondo intero?
Che si potesse ottenere così tanto con mezzi così esigui, quasi banali! Quanto più complicati della matematica non erano in realtà la poesia, la pittura, l’amore e l’odio: il ricco mondo dei sentimenti umani!
Tuttavia, continuava Ingram senza aspettare di sentire se lo seguivo (forse in effetti non era tanto a me che parlava), tuttavia non si dovrebbe dimenticare che anche la matematica ha una sua sfera di libertà, che anch’essa è creata, più che data.
Come sappiamo, per esempio che uno per uno fa uno? Dimmi, ragazzo, come facciamo a dimostrarlo?
Non lo so, rispondevo. Nella mia ingenuità. Dovrà pur esserci una prova?
Non lo possiamo dimostrare. Allora è un assioma? Esatto! E’ un assioma e come tale del tutto arbitrario. Che cosa credi che succeda se lo modifichiamo e invece ne introduciamo un altro: che uno per uno fa due? (…) tale assioma in realtà modificherebbe soltanto una cosa nel sistema numerico, ma di importanza fondamentale: la cosiddetta individuazione dei fattori primi di un numero. Questo fatto straordinario che un numero si poteva scomporre in un modo e uno soltanto nei suoi fattori primi, cosa che conferiva ai numeri una sorta di unicità, o di individualità si potrebbe addirittura dire, che li distingueva uno dall’altro in modo non permutabile. Ora andrebbe perduta, e i numeri annegherebbero per così dire nelle proprie ombre in una sorta di anonimo mormorio.

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Isola con fantasmi, John Banville

>> sabato 15 agosto 2009


E’ un romanzo di atmosfere, in cui non vi è azione o una trama ben definita. E’ costruito sul monologo di una voce narrante che rimane in incognito fino alla fine. Interessanti alcune considerazioni, tra cui in particolare quella sulla difficoltà di raffigurare la vera natura delle persone, solitamente celata dietro le “maschere” che indossano. In definitiva, però, il libro non mi ha entusiasmato.

Alcuni soggetti, mi spiegò, semplicemente non assomigliano a se stessi; timidezza, imbarazzo, insicurezza, qualcosa li spinge a indossare una maschera e a nascondersi dietro; assomigliano alle loro madri, ai loro fratelli, a perfetti estranei, addirittura, ma non a se stessi. Con queste persone il pittore deve navigare a vista, in attesa del momento opportuno in cui si rilassano e si dimenticano di sé abbastanza a lungo da essere se stesse. Il sindaco era uno di quelli. Se ne stava lì come una bertuccia impagliata, inespressivo, scialbo, ripiegato all’interno. Finchè una mattina il mio amico arrivò e lo trovò trasformato; non era più animato delle altre volte, ma di colpo alla fine la sua faccia si era aperta, la maschera era caduta, il suo carattere – violento, rapace, pavido, melanconico – leggibile in ogni ruga e neo e pelo mal rasato. Bene, il ritratto fu terminato in un ora – ed era maledettamente buono, oltretutto, stando al mio amico – però il sindaco stava sempre seduto lì, con lo sguardo fisso avanti in un’espressione pensierosa e vagamente perplessa. Voi sapete naturalmente cosa era successo, l’avete capito subito, vero? Il vecchio era morto, se n’era andato quietamente d’infarto qualche minuto prima che il pittore arrivasse.

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Mia sorella è una foca monaca, Christian Frascella

>> mercoledì 12 agosto 2009


Il libro scorre via molto facilmente merito di una storia semplice e di dialoghi molto ben fatti, disseminato di battute divertenti ma anche di spunti di riflessione. E’ il passaggio dall’adolescenza all’età adulta di uno sbruffone intelligente che cresce commettendo gli errori e subendone fino in fondo le conseguenze. Superficiale la descrizione dei personaggi (più che altro bersaglio di battute dell’io narrante del protagonista). Non si capisce come mai Lei si innamora di Lui. Molto interessante, e quasi un documento sociologico, la descrizione dell’ambiente, delle relazioni e del lavoro in fabbrica.

“A proposito del bacio… Volevo dirti che mi dispiace se t’ha dato tanto fastidio. E che mi piaci. Mi piaci molto, okay? Parecchio” Tentai di assumere un’aria più serena, mentre il cuore mi rombava nelle orecchie. “E non ho resistito”.
Sono certo di averla vista arrossire per un attimo. Ma poi parlò con lo stesso tono di prima. “Anche tu un po’ mi piaci. Non so come mai, però è così”. Stavo per saltarle addosso quando lei aggiunse: “ma sei solo un ragazzino. Un immaturo. E patetico, anche. Come se il mondo ti dovesse qualcosa. Come se tutti ti dovessero qualcosa”. Scosse il capo. “E non sei ancora pronto per capire che non è così”.
Mi sentii morire. Il sangue ghiacciato nel forno di luglio. Ora non ero più nessun attore in nessunissimo film. Proprio non mi veniva. Ero solo me stesso e non era poi così bello, essere solo se stessi in quel momento.
“Cerca di non combinare più tanti casini”, disse, cercando e trovando la mia mano. “E stammi bene”.
Ci fu quella stretta, che non concludeva niente perché niente era mai iniziato, e che nulla anticipava, perché tutto era già finito.
Pensai di dire “posso cambiare”, oppure “dammi tempo”, ma quelle erano frasi da ex, così non dissi niente. Lei spense la sigaretta, fece un ultimo cenno di saluto e rientrò.
Io me ne andai come le altre volte, con la sola differenza che, a un certo punto, mi fermai appoggiando la testa e un braccio al muro, e rimasi così per un po’, pensieroso, a guardare l’asfalto sotto il sole, fino a che consumai tutti i pensieri possibili, e me ne tornai a casa.

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I figli della mezzanotte, Salman Rushdie

>> domenica 9 agosto 2009



Nel libro l’autore intreccia la storia del protagonista (uno dei mille nati alla mezzanotte della proclamazione dell’indipendenza dell’India nel 1947) con le vicende politiche di India e Pakistan che risulterebbero essere influenzate proprio dai poteri particolari di cui è dotato (la capacità di leggere nelle menti umane). I piani narrativi, il presente e il passato, l’io narrante e la terza persona si intrecciano in un insieme che necessita una lettura attenta. Eccessivamente verboso e prolisso, è interessante per alcune descrizioni (quella del sogno sulla morte incute veramente paura) e considerazioni sulla vita.

La realtà è un fatto di prospettive; quanto più te ne allontani, tanto più il passato ti pare concreto e plausibile – ma come ti avvicini al presente, esso ti sembra inevitabilmente sempre più incredibile. Immaginate di trovarvi in un grande cinema, seduti all’inizio in una delle ultime file, e poi di venire avanti a poco a poco, una fila dopo l’altra, fino quasi a premere il naso contro lo schermo. A poco a poco i volti dei divi si dissolvono in una grana danzante; i più piccoli particolari assumono proporzioni grottesche; l’illusione svanisce – o meglio, risulta evidente che è proprio l’illusione la realtà.

La verità della memoria, perché la memoria ha una sua verità particolare. Seleziona, elimina, modifica, esagera, minimizza, glorifica e anche diffama; ma alla fine crea una propria realtà, una propria versione eterogenea ma di solito coerente, degli eventi e nessun essere umano sano di mente si fida mai della versione di qualcun altro più che della propria.

Nessun colore tranne il verde e il nero i muri sono verdi il cielo è nero (non c’è tetto) le stelle sono verdi la Vedova è verde ma i sui capelli sono neri come il nero. La Vedova siede su un’altissima sedia, la sedia è verde il fondo è nero i capelli della Vedova hanno la scriminatura in mezzo è verde sulla sinistra e nera sulla destra. Alta come il cielo la sedia è verde il fondo è nero il braccio della Vedova è lungo come la morte la sua pelle è verde le sue unghie sono lunghe e aguzze e nere. Tra i muri i bambini verdi i muri sono verdi il braccio della Vedova cala serpeggiando il serpente è verde i bambini strillano le unghie sono nere graffiano il braccio della Vedova è alla loro caccia i bambini scappano e strillano la mano della vedova si arriccia intorno a loro verde e nera. Ora ad uno ad uno gli mmff dei bambini vengono soffocati la mano della vedova sta sollevando uno ad uno i bambini verdi il loro sangue è nero liberato da unghie taglienti schizza nero sui muri (verdi) mentre ad uno ad uno la mano arricciata solleva i bambini in alto sino al cielo il cielo è nero non ci sono stelle la Vedova ride la sua lingua è verde ma vedete i suoi denti sono neri. E i bambini strapazzati a metà nelle mani della Vedova che arrotolando arrotolando mezzi bambini li arrotola in tanti palline le palline sono verdi la notte è nera. E le palline volano nella notte tra i muri i bambini strillano mentre ad uno ad uno la mano della Vedova.

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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