Il codice dell'anima, James Hillman

>> sabato 13 giugno 2009


Nel Il codice dell'anima. Carattere, vocazione, destino la tesi dell’autore è che ciascuno di noi ha una vocazione interiore, un talento, che lo rende unico e potenzialmente una persona di successo. Questa vocazione è “il qualcosa in più” che spezza il binomio ereditarietà-ambiente come spiegazione dei comportamenti e della storia di ognuno di noi. Se fossimo infatti il solo frutto del patrimonio genetico trasmessoci dai nostri genitori, delle influenze positive o negative delle persone che ci circondano, degli eventi che ci accadono, saremmo delle vittime, senza alcuna voce in capitolo, invischiati in un destino che altri ci hanno scritto addosso. La nostra vocazione, se individuata e opportunamente assecondata, può farci fare il salto di qualità.

Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada. Alcuni di noi questo qualcosa lo ricordano come un momento preciso dell’infanzia, quando un bisogno pressante e improvviso, una fascinazione, un curioso insieme di circostanze, ci ha colpiti con la forza di un’annunciazione.
(…)
Esiste un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo, esistono cose alle quali mi devo dedicare al di là del quotidiano e che al quotidiano conferiscono la sua ragion d’essere.
(…)
Dobbiamo prestare particolare attenzione all’infanzia, per cogliere i primi segni della vocazione all’opera, per afferrare le sue intenzioni e non bloccargli la strada. Una vocazione può essere rimandata, elusa, a tratti perduta di vista. Oppure può possederci totalmente. Non importa: alla fine verrà fuori.
(…)
Il mito platonico della discesa dice che l’anima discende in quattro modi: il corpo, i genitori, il luogo, le condizioni esterne. Possiamo prenderli come istruzioni per completare l’immagine che ci siamo portati con noi al nostro arrivo. Il corpo: discendere, cioè crescere, significa ubbidire alla legge di gravità, assecondare la curva discendente che accompagna l’invecchiamento (Josephine Baker incominciò a dire che aveva sessantaquattro anni quando ancora ne aveva dieci in meno; si vestiva con indumenti usati e aveva smesso di nascondere la calvizie). Secondo: accettare di essere un membro della tua famiglia, di far parte del tuo albero genealogico così com’è, con i suoi rami contorti e i suoi rami marci. Terzo: abitare in un luogo che sia adatto alla tua anima e che ti leghi a sé con doveri ed usanze. Infine restituire con gesti che dichiarino il tuo pieno attaccamento a questo mondo, le cose che l’ambiente ti ha dato.
(…)
Il più delle volte l’angelo non chiama a gran voce, si limita a dirigere la lenta e silenziosa rivelazione del carattere.
(…)
Io sono il mestiere che faccio e se faccio un mestiere mediocre, come tagliare bistecche in un supermercato, quello non è avere una vocazione. Il carattere non è quello che faccio, ma il modo come lo faccio.

1 commenti:

Antonio De Bellis 6 settembre 2012 alle ore 20:01  

Grazie per la visita e il commento. Si, in effetti i nostri blog si assomigliano anche se il tuo fa più parte della tua vita mentre il mio è strettamente legato a ciò che leggo. Credo comunque che possiamo essere di ispirazione reciproca. Alla prossima.

Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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