Orgoglio e pregiudizio - Jane Austen

>> sabato 5 novembre 2011

Ho riletto questo libro dopo un paio d'anni e sono rimasto ancora una volta piacevolmente colpito dai dialoghi tra i personaggi. Sono scritti così bene che da soli tengono su tutta la struttura del romanzo. Dove non ci sono i dialoghi (o le lettere che si inviano i protagonisti) il romanzo vira verso la noia. I personaggi sono tanti e fortemente caratterizzati. Non tutti sono riusciti: i più scialbi sono Jane, troppo bella, buona, ingenua, e Mr. Bingley che sembra un allocco totalmente influenzabile dal suo amico Darcy anche sull'amore che deve provare per Jane. Grandiosi invece Mr Darcy e soprattutto Elisabeth, alter ego dell'autrice, che mostra una intelligenza sociale fuori dal comune per la sua capacità di capire le situazioni e le persone. Lo scontro tra l'orgoglio del primo e il pregiudizio dell'altra è alla base di una storia d'amore per niente scontata che rivela sentimenti e modalità di comportamento senza tempo. Fa da sfondo una società che sotto una patina formale luccicante rivela una lotta senza quartiere per accaparrarsi la posizione e il prestigio sociale.

Elizabeth Bennet era stata costretta, stante la scarsità di cavalieri, a restare seduta per due giri di danza; e ad un certo punto si era trovata abbastanza vicina a Mr Darcy da riuscire a cogliere una sua conversazione con Mr Bingley, il quale aveva momentaneamente smesso di ballare per convincere l'amico a seguirlo.
«Andiamo, Darcy,» gli disse. «Vorrei vedervi ballare. Non sopporto che ve ne stiate qui tutto solo. È stupido. Fareste meglio a venire.»
«Me ne guardo bene. Sapete quanto io detesti la danza a meno di essere particolarmente affiatato con la mia dama. A una festa come questa sarebbe insopportabile. Le vostre sorelle sono già impegnate, e non c'è un'altra donna in sala, la cui compagnia non prenderei per un castigo."
«Mai e poi mai,» esclamò Bingley, «vorrei essere schizzinoso come voi! Parola d'onore, in vita mia non ho mai incontrato tante ragazze simpatiche come questa sera; e ce ne sono alcune, ammetterete, straordinariamente graziose.»
«Si dà il caso che proprio voi stiate ballando con l'unica bella ragazza della sala,» disse Mr Darcy, alludendo alla maggiore delle Bennet.
«Ah sì, è la più bella creatura che abbia mai incontrato! Ma vi faccio notare che alle vostre spalle è seduta una delle sue sorelle, che è piuttosto graziosa e assai simpatica, a mio parere. Lasciate che chieda alla mia dama di presentarvela.»
«Di chi state parlando?» disse Darcy e, voltandosi, si mise ad osservare Elizabeth, ma ne incontrò lo sguardo un attimo dopo; allora ritirò il suo e disse freddamente: «Non c'è male; ma non è abbastanza bella per me; e poi non ho intenzione, ora come ora, di dedicarmi alle signorine trascurate dagli altri cavalieri. Fareste meglio a tornare alla vostra dama ed ai suoi affascinanti sorrisi, perché con me state sprecando il vostro tempo.»
Mr Bingley seguì il suo consiglio. Mr Darcy si allontanò; ed Elizabeth si trovò a nutrire sentimenti non proprio benevoli nei suoi riguardi. Ciò nonostante raccontò il fatto alle amiche con molto spirito; era dotata infatti di una spiccata disposizione per lo scherzo, e si divertiva a scoprire il lato ridicolo delle cose.
[...]
Comunque, bisogna prendere le persone per quello che sono, e le Lucas sono delle gran brave ragazze, questo va detto. Peccato che non siano belle! Non dico che Charlotte sia proprio del tutto insignificante; ma è anche una nostra cara amica.»
«Si direbbe un piacevolissima ragazza,» disse Bingley.
«Santo cielo, sì. Certo. Ma dovete riconoscere che è scialba, molto scialba. Perfino Lady Lucas lo ha ammesso più volte invidiandomi la bellezza di Jane. Non per vantarmi delle mie figlie, ma insomma... sì, Jane... non se ne vedono spesso ragazze più belle. Lo dicono tutti: se fosse per me, potrei essere un giudice parziale. Quando aveva appena quindici anni c'era a Londra da mio fratello Gardiner un signore così innamorato di lei che mia cognata si aspettava che le avrebbe fatto una proposta di matrimonio prima della nostra partenza. Invece non è successo nulla. Chissà, avrà pensato che fosse troppo giovane. Comunque, le scrisse dei versi: e com'erano graziosi!»
«E così ebbe fine quella passione,» tagliò corto Elizabeth. «Non sarà stata l'unica a finire a quel modo. Mi chiedo chi sia stato il primo a scoprire l'efficacia dei versi come rimedio contro l'amore.»
«Ho sempre creduto che la poesia fosse il nutrimento dell'amore,» obbiettò Darcy.
«Di un grande amore, forse; purché sia vigoroso e bene in salute. Tutto serve a nutrire ciò che è già forte. Ma se non è che una debolezza, una leggera inclinazione, niente di meglio di un buon sonetto per farla morire di fame.»
Darcy si limitò a sorridere, e nel silenzio generale che seguì Elizabeth tremò per timore che sua madre ricominciasse coi suoi numeri.
[...]
Aveva una figura elegante e camminava bene, ma Darcy, a cui era dedicato lo spettacolo, rimase inesorabilmente serio. Con la forza della disperazione decise di fare un ultimo tentativo e si rivolse ad Elizabeth:
«Miss Eliza Bennet, non vorreste fare anche voi un giro per la stanza? Vi assicuro che è un grande sollievo dopo essere rimasti seduti a lungo nella stessa posizione.»
Per quanto sorpresa Elizabeth acconsentì senza esitare. Miss Bingley non riscosse minor successo in quello che era il vero scopo della sua proposta: Mr Darcy alzò lo sguardo. Quella inattesa cortesia lo aveva colpito quanto aveva colpito Elizabeth, e chiuse il libro senza pensarci. Fu immediatamente invitato ad unirsi a loro ma declinò l'invito perché, disse, per due soli motivi poteva immaginare che si fossero messe a passeggiare insieme per la stanza, e in ogni caso la sua presenza sarebbe stata di troppo.
‹Che intendeva dire? Moriva dalla voglia di saperlo; e lei, Elizabeth, era riuscita a capire qualcosa?›
«Niente di niente,» fu la risposta; «ma una cosa è certa, che ha intenzione di mortificarci, e il modo migliore di fargli dispetto è quello di non chiedergli nulla.»
Mai e poi mai tuttavia Miss Bingley si sarebbe permessa di fare un dispetto a Mr Darcy, e continuò a chiedergli spiegazioni su quei due motivi.
«Non ho la minima difficoltà a farveli sapere,» rispose Darcy non appena gli fu data la parola. «O avete scelto questo modo di trascorrere la serata perché siete in confidenza e avete qualche segreto da discutere, o perché passeggiando intendete mettere in risalto le vostre figure; nel primo caso sarei decisamente di troppo; nel secondo, posso ammirarvi molto meglio stando seduto vicino al fuoco.»
«Inaudito!» strillò Miss Bingley. «Si è mai sentita una nefandezza simile? Come faremo a punirlo quanto merita?»
«Niente di più facile, purché ve la sentiate,» disse Elizabeth. «Tormentare e punire è sempre possibile. Stuzzicatelo, ridete di lui. Con la confidenza che avete, dovreste sapere come fare.»
«No che non lo so, parola d'onore. Vi assicuro che la nostra intimità non è giunta al punto d'insegnarmi una cosa simile. Stuzzicare un carattere così fermo, una mente così pronta! No, no: sarebbe capace di tenermi testa, lo sento. Quanto a ridere di lui, vi prego, non esponiamoci al rischio di ridere senza motivo. Mr Darcy ha tutte le ragioni di essere fiero di sé.»
«Non poter ridere di Mr Darcy!» esclamò Elizabeth. «È un privilegio non comune, e voglio sperare che continui a rimanere tale. Sarebbe una grossa perdita, per me, avere molte conoscenze come lui. Apprezzo il piacere di una bella risata.»
«Miss Bingley,» rispose Darcy, «mi dà più credito di quanto non meriti. I migliori e i più saggi degli uomini, anzi, le più sagge e le migliori delle loro azioni possono far ridere chi non abbia altro di mira che il ridicolo.»
«Naturalmente,» rispose Elizabeth, «persone così se ne trovano, ma mi auguro di non essere di quelle. Spero di non trovare mai da ridere su ciò che vi è di serio e di buono. Assurdità, sciocchezze, capricci e leggerezze: queste sono le cose che mi divertono, e appena posso ci rido sopra. Ma a quanto pare sono proprio le cose che voi non avete.»
«Forse non può dirsi così di tutte. Ma mi sono sempre studiato di evitare quelle debolezze che espongono al ridicolo uomini di grande valore.»
«Come la vanità e l'orgoglio.»
«La vanità è una debolezza, siamo d'accordo. Ma l'orgoglio... là dove c'è una vera superiorità di intelletto, l'orgoglio sarà sempre al suo posto.»
Elizabeth si voltò per nascondere un sorriso.
«Mi pare che l'esame di Mr Darcy sia finito,» disse Miss Bingley; «posso chiedervi qual è il risultato?»
«Mi sono definitivamente convinta che Mr Darcy è senza difetti. Lui stesso lo riconosce senza reticenze.»
«No,» fece Darcy, «non ho questa pretesa. Ho difetti quanti bastano, ma voglio sperare che non siano difetti di intelletto. Quanto al mio carattere, non me la sentirei di raccomandarlo. Direi che è troppo poco accomodante, al meno per l'onore del mondo. Non sono capace di dimenticare presto, come dovrei, le follie ed i vizi degli altri, e nemmeno le offese fatte a me stesso. I miei sentimenti non ubbidiscono ad ogni tentativo di suscitarli. Ho un carattere che si potrebbe definire risentito. E la mia stima, una volta persa, è persa per sempre.»
«Questo sì che è un difetto,» esclamò Elizabeth. «Il risentimento implacabile nuoce al carattere. Ma avete scelto bene il vostro difetto. Non ci trovo proprio niente da ridere. Per me, siete salvo.»
«A mio parere c'è in ogni temperamento la tendenza a qualche difetto particolare; è un'imperfezione di natura che non si vince nemmeno con la migliore educazione.»
«E il vostro difetto è la propensione ad odiare il prossimo.»
«E il vostro,» rispose Darcy con un sorriso. «è di ostinarsi a fraintenderlo.»
«Un po' di musica, adesso,» esclamò a questo punto Miss Bingley, stanca di una conversazione in cui non aveva parte. «Louisa, non ti dispiace se sveglio Mr Hurst?»
Sua sorella non sollevò la minima obiezione in proposito e il pianoforte fu aperto, cosa che, quand'ebbe brevemente riordinate le idee, non dispiacque a Darcy. Cominciava a temere di prestare troppa attenzione ad Elizabeth.
[...]
Con un'aria agitata, egli cominciò subito a informarsi sulla sua salute attribuendo quella visita al desiderio di saperla ristabilita. Elizabeth gli rispose in tono cortese e freddo. Egli si sedette un attimo, poi si alzò e prese a camminare su e giù per la stanza. Elizabeth era sorpresa, ma non disse una parola.
Dopo un silenzio durato alcuni minuti egli le si avvicinò dicendo in tono concitato:
«Ho lottato invano. Non c'è rimedio. Non sono in grado di reprimere i miei sentimenti. Lasciate che vi dica con quanto ardore io vi ammiri e vi ami.»
Lo stupore di Elizabeth fu inenarrabile. Spalancò gli occhi, arrossì, esitò, e tacque. Questo fu considerato un incoraggiamento sufficiente, e ne seguì immediatamente la concessione di tutto ciò ch'egli provava da molto tempo per lei. Si esprimeva con proprietà, ma doveva render conto di sentimenti che andavano al di là di quelli del cuore, ed egli non fu meno eloquente in materia di orgoglio che di tenerezza. L'idea dell'inferiorità di lei, della degradazione, degli ostacoli familiari che la ragione aveva sempre opposto al sentimento, fu manifestata con un calore che poteva trovare una spiegazione nell'offesa ch'egli stava arrecando al suo rango, ma che era ben poco adatto d'altronde a raccomandare la sua causa.
Nonostante la sua radicata antipatia, Elizabeth non poté restare insensibile al privilegio di avere conquistato l'affetto di un uomo simile, e, pur non mutando un solo istante il suo proposito, provò a tutta prima un certo dispiacere per la pena che stava per infliggergli; ma poi, offesa dalla seconda parte del suo discorso, volse in collera tutta la compassione. Si sforzò tuttavia di assumere un certo contegno per rispondergli con calma quando fosse giunto il momento. Egli concluse manifestandole la forza di un affetto che, nonostante tutti gli sforzi fatti, non era stato in grado di vincere, e formulando la speranza che ella lo ricambiasse accettando la sua mano. Mentre le diceva queste cose, Elizabeth poté facilmente notare come non vi fosse in lui il minimo dubbio di ricevere una risposta favorevole. Parlava di apprensione e di ansietà, ma il suo contegno esprimeva un'effettiva sicurezza. Un atteggiamento del genere non poteva che accrescere l'irritazione di Elizabeth, che gli rispose arrossendo:
«In casi come questo è buona norma, mi pare, esprimere un senso di gratitudine per i sentimenti che ci sono stati dichiarati, per quanto essi possano non essere ricambiati. È naturale che ci si senta obbligate, e se io potessi sentire della gratitudine vi ringrazierei. Ma non ne sono capace... Non ho mai desiderato la vostra stima, che per altro mi accordate così malvolentieri. Mi spiace di avere causato pena a qualcuno. L'ho fatto del tutto inavvertitamente, e spero che sarà di breve durata. I sentimenti che, a quanto mi dite, vi hanno impedito finora di confessare la vostra parzialità, non faranno fatica ad avere il sopravvento, dopo questa spiegazione.»
Mr Darcy, che era appoggiato al caminetto con lo sguardo fisso sul suo volto, parve accogliere quelle parole con un risentimento non inferiore allo stupore. Si fece pallido d'ira, mentre la sua agitazione traspariva da ogni lineamento. Faceva degli sforzi per darsi un certo contegno, e non aprì bocca finché non gli parve di esservi riuscito. Alla fine, in tono forzatamente calmo, le disse:
«Questa è dunque la risposta che ho l'onore di ricevere? Potrei forse desiderare di conoscere il perché di un simile rifiuto, con così poche preoccupazioni di cortesia. Ma non ha molta importanza.»
«Anch'io,» fu la risposta, «potrei chiedervi perché, con un così evidente proposito di offendermi e di insultarmi, avete voluto dirmi che mi amavate contro la vostra volontà, contro la vostra ragione, e contro il vostro stesso carattere ! E non è questa una scusa della mia scortesia, se scortese sono stata? Ma ho subito altre provocazioni, e voi lo sapete. Anche se i miei sentimenti per voi non fossero stati di ostilità, ma di indifferenza, o addirittura di favore, credete forse che avrei avuto qualche motivo di accettare un uomo che ha potuto rovinare, forse per sempre, la felicità di un'amatissima sorella?»
A queste parole Mr Darcy avvampò; ma l'emozione fu di breve durata, ed egli l'ascoltò senza cercare di interromperla, mentre Elizabeth continuava:
«Ho mille motivi per pensare male di voi. Non vi sono giustificazioni al ruolo ingiusto e ingeneroso che avete avuto a questo riguardo. Voi non potete, non oserete negare di essere stato il principale, se non l'unico, responsabile della separazione di quei due, separazione che ha esposto l'uno alle censure del mondo per il suo comportamento capriccioso ed instabile, l'altra alla generale derisione a causa delle sue speranze deluse, precipitandoli entrambi nella più profonda infelicità.»
A questo punto s'interruppe, avendo così modo di notare ch'egli la ascoltava con un'aria che lo rivelava del tutto estraneo ad ogni sentimento di rimorso. Anzi, la guardava con un sorriso di ostentata incredulità.
«Potete forse negarlo?» ripeté Elizabeth.
Con calma studiata egli rispose:
«Non ho intenzione di negare che ho fatto il possibile per separare il mio amico da vostra sorella, e che sono ben felice del mio successo. Verso di lui sono stato più generoso che verso me stesso.»
Elizabeth non si degnò di raccogliere quella galanteria, ma non gliene sfuggì il significato, che non era tale da renderla più conciliante.
«Ma non è solo su questo,» proseguì, «che si fonda la mia antipatia. Molto prima che accadesse tutto ciò, mi ero fatta una certa idea di voi. Il vostro carattere mi è noto da una descrizione che me ne ha fatto Mr Wickham, parecchi mesi fa. Che cosa avete da dire a tale proposito? Con quale immaginario gesto di amicizia potreste difendervi su questo punto? E quale mistificazione userete, ora, per ingannare il prossimo?»
«Prendete vivo interesse negli affari di quel signore,» osservò Darcy, in tono meno tranquillo, e con un colorito più acceso.
«E chi non si interesserebbe a lui, sapendo quali sono state le sue disgrazie!»
«Le sue disgrazie!» ripeté Darcy in tono sprezzante. «Ma certo, le sue disgrazie sono state grandi davvero.»
«Grazie a voi,» esclamò Elizabeth con forza. «Siete stato voi a ridurlo nel suo attuale stato di relativa povertà. Voi a trarne i vantaggi, mentre sapete bene che erano stati destinati a lui. Voi a privarlo degli anni migliori della sua vita, di quell'indipendenza che gli era dovuta, non meno che meritata. Voi avete fatto tutto questo! Eppure potete nominare le sue disgrazie con aria di scherno e di disprezzo.»
«È questa dunque,» esclamò Darcy, misurando la stanza a grandi passi, «la vostra opinione di me! Questa la stima in cui mi tenete! Vi ringrazio di esservi spiegata così chiaramente. Le mie colpe sono gravi davvero, stando ai vostri calcoli! Ma forse,» soggiunse, fermandosi di botto e volgendosi verso di lei, «avreste potuto tollerarle, se il vostro orgoglio non fosse stato ferito dalla mia onesta confessione degli scrupoli che per molto tempo mi hanno impedito di formulare qualunque serio proponimento. Forse queste aspre accuse sarebbero cadute se avessi avuto l'accortezza di tenere nascosti i miei tormenti, e vi avessi lusingata facendovi credere di essere spinto da una pura e semplice attrazione, senza riserve: dall'anima, dalla mente, da tutto. Ma la simulazione mi fa orrore, qualunque essa sia. Né ho motivo di vergognarmi dei sentimenti che vi ho dichiarato. Erano naturali e giusti. Potevate forse aspettarvi che mi rallegrassi dell'inferiorità del vostro ambiente? Che mi congratulassi con me stesso all'idea di acquistare dei parenti, la cui posizione sociale è tanto al di sotto della mia?»
Elizabeth sentiva salire la collera di momento in momento, ma fece ogni sforzo per mantenersi calma quando gli rispose:
«Vi sbagliate, Mr Darcy, se credete che lo stile della vostra dichiarazione mi abbia in qualche modo influenzata, altro che col risparmiarmi la pena che avrei provato nel respingervi, qualora vi foste comportato in modo più degno di un gentiluomo.»
A queste parole Mr Darcy trasalì, ma non apri bocca, ed Elizabeth continuò:
«In qualunque modo mi aveste offerto la vostra mano, non avreste mai potuto indurmi ad accettarla.»
Anche questa volta fu evidente lo stupore di Darcy, che la guardò con un'espressione di incredulità e di mortificazione insieme. Elizabeth non desistette.
«Sin dall'inizio, direi quasi dal primo momento che vi vidi, i vostri modi mi colpirono rivelandomi in pieno tutta la vostra arroganza, la vostra presunzione, il vostro egoistico disprezzo dei sentimenti altrui, così da creare quella base di disapprovazione sulla quale gli eventi successivi hanno costruito una così irriducibile avversione; non era passato un mese dacché vi conoscevo, e già sentivo che eravate l'ultimo uomo al mondo che avrei potuto sposare.»
«Basta così, signorina. Comprendo perfettamente i vostri sentimenti, e non mi rimane che vergognarmi di averne provato altri. Perdonatemi per avervi rubato tanto tempo, ed accettate i miei migliori auguri di buona salute e felicità.»
Con queste parole si affrettò a lasciare la stanza e un attimo dopo Elizabeth lo udì aprire la porta d'ingresso ed uscire.
La sua agitazione era cresciuta paurosamente. Non era in grado di reggersi in piedi, e tanta era la sua debolezza, che si sedette e pianse per mezz'ora. Il suo stupore andava aumentando, man mano che rifletteva sull'accaduto. Ricevere una proposta di matrimonio da Mr Darcy, lei! E che egli fosse innamorato di lei da tanti mesi! Talmente innamorato da volerla sposare nonostante tutte le obiezioni che lo avevano indotto ad intervenire presso l'amico perché non sposasse sua sorella, e che dovevano sembrargli altrettanto valide nel suo caso, se non di più! Era pressocché incredibile. Era una soddisfazione avere involontariamente ispirato un sentimento così forte. Ma l'orgoglio, l'abominevole orgoglio di Mr Darcy, la sua vergognosa ammissione di ciò che aveva fatto a Jane, l'imperdonabile spavalderia con cui l'aveva riconosciuto, pur non potendo giustificarlo, e poi l'insensibilità con cui aveva parlato di Wickham, senza tentare di negare la propria crudeltà nei suoi confronti, sopraffecero ben presto la pena che si era per un momento destata al pensiero di quella passione.
Rimase assorta in quelle tormentose riflessioni finché non le giunse il rumore della carrozza di Lady Catherine allora, non sentendosi all'altezza di affrontare i commenti di Charlotte, corse a rifugiarsi in camera sua.
[...]
Di Mr Darcy era ormai doveroso pensar bene; tanto più che, per quanto lo conoscevano, non avrebbero saputo trovargli dei difetti. Non potevano non restare colpiti dalla sua cortesia, e se avessero dovuto rappresentare il suo carattere sulla base delle proprie impressioni e della testimonianza della governante, senza tenere conto d'altro, le persone che avevano fatto la sua conoscenza nello Hertfordshire non avrebbero riconosciuto in quella descrizione Mr Darcy. Ora, comunque, c'era una ragione per credere alla governante; e si resero conto ben presto che la testimonianza di una domestica, che conosceva Mr Darcy da quando aveva quattro anni, ed i cui modi la qualificavano per una persona di tutto rispetto, non poteva essere respinta con leggerezza. Né i loro amici di Lambton avevano dato informazioni che potessero intaccarne la validità. Non avevano nulla da rimproverargli, se non il suo orgoglio; orgoglio egli ne aveva, probabilmente, e, se non altro, di orgoglio veniva certamente tacciato dagli abitanti di quella piccola città di mercato, che la famiglia non frequentava. Era risaputo, comunque, che Mr Darcy era un uomo liberale, e che faceva del gran bene ai poveri.
Quanto a Wickham, non tardarono a scoprire che non era tenuto in molta considerazione da quelle parti; benché la sua vicenda col figlio del patrono fosse poco nota, vi era tuttavia un fatto risaputo: che alla partenza dal Derbyshire, aveva lasciato molti debiti dietro a sé, che poi Mr Darcy aveva provveduto a sanare.
Quanto ad Elizabeth, quella sera più della precedente, i suoi pensieri erano rivolti a Pemberley; e la serata, per lunga che fosse, non fu abbastanza lunga da far luce sui suoi sentimenti verso qualcuno che vi dimorava; rimase sveglia per ben due ore, nel tentativo di arrivare ad una spiegazione. Certo che non lo odiava. No, l'odio era svanito da molto tempo, e da allora, pressappoco, si era vergognata di avere nutrito per lui un'avversione degna di portare quel nome. Il rispetto ispiratole dalla certezza dei suoi apprezzabili meriti, ammesso a malincuore in un primo momento, aveva in seguito cessato di urtarla, e si era trasformato ora in un sentimento più cordiale, grazie alla favorevole testimonianza del giorno prima, che lo aveva messo in così buona luce. Ma al di là di tutto, al di là del rispetto e della stima, la sua benevolenza aveva una ragione che non sarebbe possibile ignorare. Era la gratitudine. Gratitudine, non soltanto perché egli l'aveva amata un tempo, ma perché continuava ad amarla, tanto da perdonare tutta la petulanza e l'acredine che gli aveva dimostrato nel rifiutarlo, nonché tutte le ingiuste accuse che avevano accompagnato tale rifiuto. Colui che, a giudizio di Elizabeth, avrebbe dovuto evitarla come la sua peggiore nemica, si era rivelato, in occasione di quell'incontro casuale, ansiosissimo di salvare la loro amicizia, e, senza inopportune dimostrazioni di stima o di particolare favore verso di lei personalmente, si accattivava invece la simpatia dei suoi parenti degnandosi perfino di presentarla alla sorella. Un cambiamento simile in un uomo tanto orgoglioso suscitava non soltanto stupore, ma anche gratitudine, perché bisognava attribuirlo all'amore, ad un ardente amore; e come tale produceva su di lei un'impressione niente affatto sgradevole, ma anzi favorevole, benché non la si potesse definire esattamente. Gli doveva del rispetto, della stima, della gratitudine; nutriva un sincero interesse per la sua felicità; avrebbe solo desiderato sapere quanto le stesse a cuore che la felicità di lui dipendesse da lei stessa, e quanto le premesse la felicità di entrambi, qualora avesse voluto approfittare del proprio potere, che sentiva di possedere ancora, per indurlo a rinnovare le sue proposte.
S'era deciso in serata, tra zia e nipote, che la squisita cortesia di Miss Darcy, che era venuta a far loro visita il giorno stesso del suo arrivo a Pemberley (era arrivata infatti, nella tarda mattinata) dovesse essere ricambiata se pur non la si poteva uguagliare, con una dimostrazione di gentilezza da parte loro; sarebbe stato perciò quanto mai opportuno recarsi a farle visita a Pemberley il mattino seguente. Così fu deciso. Elizabeth ne fu contenta, ben ché le fossero poco chiare le ragioni di tale contentezza.
[...]
«Oh! ma dov'è, dov'è lo zio?» esclamò Elizabeth non appena ebbe terminato la lettera, balzando su dalla sedia per precipitarsi a seguirlo, senza perdere un istante di quel tempo tanto prezioso; ma era appena giunta alla porta che questa fu aperta da un servitore, e fu fatto entrare Mr Darcy. Il pallore e l'agitazione di lei lo fecero trasalire, e prima che potesse riprendersi e dire qualcosa, Elizabeth, che non aveva in mente altro pensiero che Lydia, esclamò impetuosamente: «Vi chiedo scusa, ma devo lasciarvi. Devo rintracciare immediatamente Mr Gardiner, per una faccenda che non si può rimandare; non ho un attimo da perdere.»
«Santo Cielo! Che cosa succede?» esclamò quello di rimando, con più sentimento che buona educazione; poi, riprendendosi: «Non voglio trattenervi un solo istante, ma lasciate che vada io, oppure il servitore, a rintracciare Mr e Mrs Gardiner. Non state abbastanza bene; non potete andarci voi.»
Elizabeth ebbe un attimo di esitazione, ma le ginocchia le tremavano, e comprese che i suoi sforzi sarebbero serviti a ben poco. Richiamò dunque il servitore e, con un filo di voce quasi incomprensibile, lo incaricò di ricondurre immediatamente a casa il padrone e la padrona.
Quando quest'ultimo ebbe lasciata la stanza, Elizabeth, incapace di reggersi in piedi, si rimise a sedere, con un'aria così infelice che a Darcy riuscì impossibile lasciarla sola e non poté fare a meno di dirle, in tono di affettuosa commiserazione: «Lasciate che chiami la vostra cameriera. Non volete prendere qualcosa che vi faccia bene? Un bicchiere di vino, forse? Volete che ve lo procuri? State molto male.»
«No, grazie,» rispose Elizabeth, cercando di riprendersi. «Non ho nulla. Sto bene. Sono soltanto sconvolta da una terribile notizia che ho appena ricevuto da Longbourn.»
Così dicendo scoppiò in lacrime, e per alcuni minuti non poté aggiungere altro. Darcy, in penosa attesa, non seppe far altro che mormorare qualche parola di rincrescimento restando poi ad osservarla in silenziosa commiserazione. Finalmente, Elizabeth riprese a parlare: «Ho appena ricevuto una lettera da Jane, con notizie terribili. Non è possibile tenerle nascoste. Mia sorella minore ha abbandonato tutti i suoi cari... è fuggita, mettendosi nelle mani di... di Mr Wickham. Sono partiti insieme da Brighton. Voi lo conoscete troppo bene per avere dubbi sul resto. Mia sorella non ha denaro, non ha conoscenze altolocate, non ha nulla che possa indurlo a... è perduta per sempre.»
Darcy la fissava attonito. «Quando penso,» soggiunse Elizabeth, ancora più agitata, «che io avrei potuto evitarlo! Sì, perché io sapevo chi era lui. Se avessi riferito qualche cosa, soltanto qualche cosa, di ciò che avevo saputo, ai miei familiari! Se la sua vera personalità fosse stata conosciuta, questo non sarebbe successo. Ma ora è tardi, troppo tardi!»
«Ne sono profondamente addolorato,» esclamò Darcy; «addolorato e disgustato. Ma è sicuro, sicuro al cento per cento?»
«Certamente. Sono partiti insieme da Brighton domenica notte, ed hanno lasciato tracce sino a Londra, non oltre; non sono certamente andati in Scozia.»
«E che cosa si è fatto, che cosa si è tentato, per rintracciarla?»
«Mio padre è partito per Londra, e Jane ha scritto per sollecitare l'aiuto di mio zio; ce ne andremo, spero, tra mezz'ora. Ma non c'è nulla da fare; sono certa che non c'è più nulla da fare. Come si può influire su un uomo simile? E poi, come si fa a rintracciarli? Non ho la minima speranza. È una cosa orribile!»
Darcy annuì in silenzio.
«Oh, se quando aprii gli occhi sulla sua vera personalità avessi saputo che cosa fare! Ne avessi avuto il coraggio! Ma non lo sapevo... temevo di strafare. Maledetto, maledetto sbaglio!»
Darcy non rispose. Sembrava che l'udisse appena, e camminava su e giù per la stanza assorto in profonda meditazione, la fronte aggrottata, scuro in volto. Elizabeth lo notò, e comprese immediatamente: il proprio fascino stava svanendo; del resto, tutto era destinato a svanire di fronte ad una simile prova di debolezza della sua famiglia, di fronte ad un simile disonore. Non c'era di che meravigliarsi, né di che stupirsi, ma il pensiero ch'egli avesse riportato una vittoria su se stesso non recava alcuna consolazione al suo animo, nessuno conforto al suo dolore. Quel pensiero, anzi, serviva perfettamente a farle comprendere i propri sentimenti; mai come ora, che tutto l'amore era vano, aveva sinceramente sentito di poterlo amare. Ma il proprio io, per quanto cercasse di interferire, non poteva però assorbirla del tutto. Il pensiero di Lydia, dell'umiliazione, dell'infelicità che stava infliggendo a tutti loro, cancellò ben presto ogni preoccupazione personale, cosicché, nascosto il viso nel fazzoletto, Elizabeth fu subito dimentica di tutto il resto, e solo dopo alcuni minuti di silenzio fu richiamata alla realtà dalla voce del suo compagno, che in un tono di compassione e di riserbo insieme, le disse: «Temo che da tempo dobbiate desiderare che io me ne vada, né la mia presenza ha altre scuse all'infuori di un sincero, se pur inutile, interesse. Volesse il cielo ch'io potessi, a fatti o a parole, recare qualche conforto al vostro dolore. Ma non voglio tormentarvi con vane speranze, che sembrano fatte apposta per sollecitare dei ringraziamenti. Temo che questa penosa faccenda priverà mia sorella del piacere di avervi a Pemberley oggi.»
«Infatti. Sarete così gentile da scusarci presso Miss Darcy. Ditele che affari urgenti ci richiamano immediatamente a casa. Nascondetele la triste verità il più a lungo possibile. So bene che non sarà per molto.»
Egli si affrettò a prometterle il segreto; ancora una volta le manifestò la propria partecipazione al suo dispiacere, le augurò una conclusione più felice di quella che non ci si potesse aspettare in quel momento, e poi, dopo averla incaricata di portare i suoi saluti a Mr e Mrs Gardiner, con uno sguardo grave d'addio, si allontanò.
In quel momento Elizabeth si rese conto che sarebbe stato assai improbabile rivedersi in quell'atmosfera di cordialità che aveva contraddistinto i loro incontri nel Derbyshire; e mentre gettava uno sguardo retrospettivo sull'intero periodo della loro conoscenza, così pieno di vicissitudini e di contraddizioni, sospirò sulla perversità del proprio cuore, che tale conoscenza avrebbe in quel momento incoraggiato, dopo averne un tempo auspicato la fine.
[...]
Gracechurch street, 6 Settembre
Carissima nipote,
Ho appena ricevuto la tua lettera e dedicherò l'intera mattinata a risponderti, perché prevedo che una breve risposta non sarebbe sufficiente. Ti confesso che la tua richiesta mi ha sorpreso: da te non me l'aspettavo. Ma non pensare di avermi contrariato: mi ha semplicemente stupito che tu potessi avere delle domande da rivolgermi. Se preferisci non capirmi, perdona la mia impertinenza. Tu zio ha avuto la mia stessa impressione: solo la convinzione che tu fossi parte in causa lo ha spinto ad agire come ha agito. Ma se tu sei davvero all'oscuro di tutto, bisognerà essere più espliciti. Lo stesso giorno del mio ritorno a Londra tuo zio ricevette una visita assai inattesa. Si trattava di Mr Darcy, che ebbe con lui un colloquio durato diverse ore. Quando io arrivai, era già terminato, così che la mia curiosità non fu messa a dura prova come la tua. Era venuto ad informare Mr Gardiner di avere rintracciato tua sorella e Mr Wickham, di averli visti e di avere parlato con entrambi. Piu volte con Wickham; una sola volta con Lydia. Se ben ricordo, aveva lasciato il Derbyshire un giorno dopo di noi, ed era venuto a Londra col proposito di scovarli. Motivo dichiarato, la convinzione che era colpa sua se l'indegnità di Wickham non era così risaputa da impedire a qualunque ragazza seria di riporre in lui il proprio affetto e la propria stima. Generosamente, attribuiva l'accaduto al proprio falso orgoglio, e confessava che gli era sembrato indegno di sé dare pubblicità alle proprie vicende private. Aveva creduto che Wickham si sarebbe rivelato da solo per quello che era veramente. Perciò riteneva suo dovere farsi avanti per porre riparo ad un male di cui era egli stesso la causa. Se poi c'era un altro motivo, non era certo tale da fargli disonore. Gli ci era voluto qualche giorno prima di riuscire a scoprirli, ma aveva più elementi di noi su cui basare le sue ricerche, e questa era stata un'altra delle ragioni che lo avevano spinto a seguirci. C'è una signora, a quanto pare, una certa Mrs Younge, che è stata tempo fa la governante di Miss Darcy, poi licenziata in seguito a qualche fatto riprovevole, non so quale. Costei prese una gran casa in Edward Street, e da allora si procura da vivere affittando camere. Mr Darcy sapeva che questa Mrs Younge era in rapporti di stretta amicizia con Wickham, e si recò quindi da lei per avere notizie. Ma gli ci vollero due o tre giorni prima di venire a sapere ciò che voleva. Immagino che Mrs Younge non avrebbe mai tradito la parola data senza tornaconto, dato che sapeva berle dove si trovava l'amico. Wickham era stato da lei appena giunto a Londra, e se ci fosse stato posto, i due avrebbero preso alloggio lì. Comunque, il nostro gentile amico venne finalmente a sapere l'indirizzo desiderato, Abitavano in ... street. Egli parlò con Wickham, poi insistette per vedere Lydia. Suo scopo principale, disse, era persuaderla ad abbandonare quella vergognosa situazione e a tornarsene dai suoi cari non appena avessero acconsentito ad accoglierla; egli le avrebbe offerto tutto il proprio aiuto. Ma trovò Lydia fermamente decisa a restare dov'era. Non le importava dei suoi cari, non aveva bisogno del suo aiuto, e non voleva saperne di lasciare Wickham. Era sicura che un giorno si sarebbero sposati: prima o poi, poco importava. Tali essendo i sentimenti di Lydia, non restava, pensò, che concludere il matrimonio al più presto, cosa che, come poté facilmente capire sin dalla prima conversazione con Wickham, non era mai stata nei piani di quel signore. Egli confessò di essere costretto a lasciare il reggimento per via di certi debiti di gioco assai pressanti, e non si fece scrupolo di addossare alla imprudenza di Lydia tutte le conseguenze della fuga. Intendeva dimettersi immediatamente; quanto al suo futuro, poteva fare ben poche previsioni. Doveva andarsene, ma non sapeva dove, e poi sapeva bene che non avrebbe avuto di che vivere. Mr Darcy gli chiese perché non avesse sposato subito tua sorella. Benché Mr Bennet non dovesse essere molto ricco, avrebbe potuto far qualcosa per lui, e da quel matrimonio la sua situazione sarebbe uscita migliorata. Ma Mr Darcy dovette scoprire che Wickham non aveva rinunciato alla speranza di fare un matrimonio più risolutivo per le proprie fortune, in qualche altra parte del paese. Date le circostanze, però, era improbabile che resistesse alla tentazione di un sollievo immediato. Si incontrarono parecchie volte, poiché c'erano molte cose da discutere. Naturalmente Wickham voleva più di quanto non si potesse dargli, ma alla fine dovette ridursi alla ragione. Quando tra loro fu tutto sistemato, Mr Darcy pensò di metterne al corrente tuo zio, e passò per la prima volta da Gracechurch street la sera prima che io tornassi. Ma Mr Gardiner non riceveva nessuno, e Mr Darcy venne a sapere che tuo padre si trovava ancora con lui, e sarebbe partito il mattino dopo. Tuo padre non gli parve la persona più adatta da consultare, e rimandò l'incontro con tuo zio a dopo la sua partenza. Non lasciò detto il nome, e fino al giorno dopo si seppe soltanto che si era presentato un signore per affari. Il sabato ritornò. Tuo padre era partito, tuo zio era in casa, e, come ti ho detto, tra di loro si svolse una lunga conversazione. Si rividero la domenica, e allora lo vidi anch'io. La faccenda non fu sistemata che il lunedì, e subito dopo fu mandato l'espresso a Longbourn. Il nostro ospite è stato molto ostinato. Dopo tutto, cara Lizzy, credo proprio che l'ostinazione sia il vero difetto del suo carattere. Lo si è accusato di molte pecche, ma questa è l'unica vera. Non c'è stato nulla ch'egli non abbia fatto personalmente; eppure sono certa (non lo dico per essere ringraziata, perciò non farne parola) che tuo zio sarebbe stato prontissimo a sistemare la faccenda. Ne hanno discusso a lungo, più di quanto i due interessati non meritassero. Ma alla fine tuo zio è stato costretto a cedere, e invece di poter essere d'aiuto a sua nipote, ha dovuto accontentarsi di assumersene il merito, cosa che ha fatto assai a malincuore; ed io credo proprio che la tua lettera, questa mattina, gli abbia fatto un gran piacere, poiché gli ha chiesto una spiegazione che lo ha spogliato delle penne altrui, attribuendo il merito a chi era dovuto. Ma questo, Lizzy, tienilo per te, o al massimo per Jane. Dovresti sapere quanto è stato fatto per quei due. I debiti di lui ammonteranno a ben oltre mille sterline; altre mille in aggiunta alla dote di lei, e in più gli si è procurato un brevetto di ufficiale. La ragione per cui ha dovuto fare tutto questo da solo, te l'ho già riferito. Sarebbe colpa sua, del suo riserbo, del suo scarso giudizio, se la personalità di Wickham è stata così fraintesa, e di conseguenza egli ha potuto ricevere tanto favore e tanto credito. Può darsi che in tutto questo ci sia del vero, benché io mi domandi come faccia il suo riserbo, o quello di chiunque altro, ad essere responsabile dell'accaduto. Ma a parte queste belle chiacchiere, puoi stare perfettamente certa, Lizzy cara, che tuo zio non avrebbe mai ceduto, se non gli avessimo riconosciuto un altro interesse nella faccenda.
Prese tutte queste decisioni, egli fece ritorno dai suoi amici, che erano ancora a Pemberley, ma si stabilì che sarebbe stato di nuovo a Londra il giorno del matrimonio, e allora le faccende finanziarie sarebbero state definite per bene. E ora, credo di averti detto tutto. A quanto mi dici la mia spiegazione dovrebbe procurarti una grande sorpresa; spero almeno che non ti rechi dispiacere.
Lydia venne poi da noi, e Wickham ebbe costante accesso in casa nostra. Egli era esattamente lo stesso di quando lo conobbi nello Hertfordshire; quanto al comportamento di lei, non ti direi quanto poco ne sia rimasta soddisfatta se non avessi capito, dalla lettera di Jane giunta mercoledì, che la sua condotta è stata tale e quale quando ha fatto ritorno a casa; ciò che ti dico ora non può essere dunque motivo di nuovo dispiacere. Le parlai più volte con la massima serietà, facendole presente tutta l'infamia del suo gesto, e tutta l'infelicità che aveva arrecato ai suoi cari. Se mi ha sentito, è stato per un puro caso, perché sono sicura che non mi ha dato ascolto. A volte mi sono veramente seccata, ma poi ho pensato alla cara Elizabeth e alla cara Jane, e per amor loro ho portato pazienza con lei.
Mr Darcy tornò puntualmente, e, come ti ha detto Lydia, fu presente alle nozze. Il giorno dopo pranzò con noi; sarebbe ripartito il mercoledì o il giovedì. Non arrabbiarti Lizzy cara, se colgo l'occasione per dirti (non ho mai avuto il coraggio di farlo prima) quanto mi è simpatico. Il suo comportamento con noi è stato in tutto e per tutto amabile come nel Derbyshire. Il suo ingegno e le sue opinioni mi soddisfano pienamente; non gli manca nulla, se non un po' più di vivacità, e quella, se farà un matrimonio oculato, gliela potrà insegnare sua moglie, Mi è parso molto furbo: non ha quasi mai fatto il tuo nome. Ma la furbizia va di moda, a quanto pare. Ti prego, perdonami se sono stata sfacciata; o almeno non punirmi al punto da escludermi da Pemberley. Non sarò contenta finché non avrò fatto tutto il giro del parco. Un calessino, con un bel paio di ponies, sarebbe l'ideale. Ma ora devo lasciarti. È da un po' che i bambini mi vogliono. Tua affezionatissima,
M. Gardiner
[...]
«Mr Darcy, io sono una grande egoista; e, pur di recare sollievo ai miei sentimenti, non mi curo di ferire i vostri. Non posso più tardare a ringraziarvi per la squisita generosità che avete avuto con la mia povera sorella. Da quando l'ho saputo, non ho pensato che ad esprimervi la mia gratitudine. Se anche i miei familiari fossero al corrente della cosa, non avrei soltanto la mia riconoscenza da manifestarvi.»
«Mi dispiace», rispose Darcy in tono di commossa sorpresa, «mi dispiace infinitamente che vi abbiano informata di una cosa che, se fraintesa, può esservi stata causa di disagio. Non credevo che Mrs Gardiner fosse così poco degna di fiducia.»
«Non biasimate mia zia. È stata la leggerezza di Lydia a rivelarmi che voi avevate avuto parte in quella faccenda; e naturalmente non ho avuto pace finché non ho saputo tutto fin nei particolari. Lasciate che vi ringrazi ancora, a nome di tutta la mia famiglia, per quella generosa compassione che vi ha spinto a prendervi tanto disturbo, e a sopportare tante mortificazioni, pur di ritrovare quei due.»
«Se proprio volete ringraziarmi,» rispose egli, «fatelo a nome vostro. Non posso negare che il desiderio di farvi felice abbia aggiunto forza alle altre considerazioni che mi hanno spinto ad agire. Ma la vostra famiglia non mi deve nulla. Con tutto il rispetto che porto ai vostri cari, credo di avere pensato solo a voi.»
Elizabeth era troppo imbarazzata per rispondere alcunché. Dopo un attimo di silenzio, il suo compagno soggiunse: «Siete troppo generosa per prendervi gioco di me. Se i vostri sentimenti sono ancora quelli dello scorso aprile, ditemelo subito. Il mio affetto, i miei desideri sono immutati, ma basta una vostra parola perché questo discorso sia chiuso per sempre.»
Elizabeth, che ora sentiva qualcosa di più di una semplice pena ed imbarazzo per la situazione in cui egli si trovava, si sforzò di dire qualcosa; e subito, se pur con una certa difficoltà, gli fece capire che i suoi sentimenti avevano conosciuto un tale mutamento dopo il periodo cui egli aveva accennato, da farle accettare con gioia e gratitudine le sue dichiarazioni. La felicità prodotta da questa risposta fu tale quale egli non aveva forse mai conosciuto prima, e Darcy si espresse con tutto il sentimento ed il calore con cui può esprimersi un uomo profondamente innamorato. Se Elizabeth avesse osato incontrarne lo sguardo, avrebbe visto quanto quell'espressione di intima gioia diffusa sul suo volto gli si confacesse; ma, pur non osando guardarlo, poteva però ascoltarlo; ed egli le esprimeva sentimenti che, dimostrandole quanto ella fosse importante per lui, rendevano sempre più prezioso il suo affetto.
Camminavano senza sapere dove. C'erano troppe cose da pensare, da sentire, da dire, per prestare attenzione ad altro. Elizabeth apprese ben presto che la loro perfetta intesa era dovuta agli sforzi della zia di Darcy, che, passando da Londra sulla via del ritorno, era effettivamente andata a trovarlo per metterlo al corrente del suo viaggio a Longbourn, dei motivi che l'avevano spinta, e della conversazione avuta con Elizabeth; soffermandosi particolarmente su ogni espressione di quest'ultima che, nei timori di Sua Signoria, denotava particolare ardire e malignità da parte della ragazza, e nella convinzione che un siffatto racconto potesse assisterla nel suo tentativo di strappare al nipote quella promessa che lei gli aveva negato. Ma, per disgrazia di Sua Signoria, l'effetto ottenuto era stato esattamente l'opposto.
«Mi ha fatto sperare,» disse Darcy, «come non avevo mai osato prima. Conoscevo abbastanza il vostro carattere per sapere che, se foste stata decisamente e irrevocabilmente decisa contro di me, lo avreste detto a Lady Catherine, in tutta franchezza e sincerità.»
Elizabeth arrossì e rispose ridendo: «Certo, conoscevate abbastanza la mia franchezza per credermi capace di tanto. Dopo avervi ignominiosamente offeso di persona, non avrei avuto scrupoli a fare altrettanto con tutti i vostri parenti.»
«Ma che cosa mi avete detto, che io non meritassi? Se infatti le vostre accuse erano infondate, costruite su premesse sbagliate, il mio contegno con voi a quel tempo era meritevole del più severo rimprovero. È stato imperdonabile, non posso pensarci senza inorridire.»
«Non staremo a contenderci la maggior parte di colpa per quella sera,» disse Elizabeth. «A rigore, nessuno dei due ha avuto un contegno irreprensibile; ma spero che da allora tutti e due abbiamo fatto dei progressi, in fatto di cortesia.»
«Io non so riconciliarmi con me stesso tanto facilmente. Il ricordo di ciò che dissi in quel momento, di ciò che furono il mio contegno, i miei modi, le mie espressioni dal principio alla fine, mi è ora (e da molti mesi a questa parte) indicibilmente penoso. Non dimenticherò mai il vostro rimprovero, così appropriato: ‹ se vi foste comportato in modo più degno di un gentiluomo ›. Queste furono le vostre parole. Voi non sapete, non potete nemmeno immaginare, quanto mi hanno tormentato; benché ci sia voluto del tempo, lo confesso, prima che diventassi abbastanza ragionevole da riconoscerne la validità.»
«Non avrei mai pensato che vi potessero fare tanta impressione. Non mi aspettavo proprio che vi colpissero così profondamente.»
«Lo credo bene. Allora mi giudicavate incapace di qualsiasi onesto sentimento, ne sono sicuro. Non dimenticherò mai la vostra espressione quando mi diceste che, in qualunque modo vi avessi offerto la mia mano, non avrei mai potuto indurvi ad accettarla.»
«Oh! non ripetete ciò che dissi in quel momento. Lasciamo perdere questi ricordi. Vi assicuro che da un pezzo me ne vergogno sinceramente.»
Darcy accennò alla lettera. «Vi fece,» le chiese, «vi fece subito cambiare idea su di me? Prestaste fede, leggendola, a ciò che diceva?»
Elizabeth gli spiegò quali effetti avesse avuto su di lei, e come a poco a poco tutti i suoi antichi pregiudizi fossero caduti.
«Sapevo di scrivervi cose dolorose,» le disse Darcy, «ma era necessario. Spero che abbiate distrutto quella lettera. C'era una parte, all'inizio specialmente, che non vorrei che rileggeste. Ricordo alcune frasi che potrebbero giustamente indurvi ad odiarmi.»
«La brucerò certamente, se vi sembra indispensabile per conservare la mia stima; ma, pur avendo entrambi motivo di credere che le mie opinioni non siano del tutto immutabili, voglio sperare che non cambino con la facilità che il vostro discorso farebbe supporre.»
«Quando scrissi quella lettera,» disse Darcy, «credevo di essere perfettamente calmo e distaccato, ma poi m'accorsi di averla scritta in uno stato di tremenda amarezza.»
«Può darsi che l'inizio fosse amaro, ma non così la fine. Il commiato era tutto bontà. Ma non pensateci più. I sentimenti di chi la scrisse e di chi la ricevette sono così radicalmente mutati, che è meglio dimenticare tutto ciò che di sgradevole è connesso con quella lettera. Dovreste imparare un po' della mia filosofia. Ricordate del passato solo ciò che vi fa piacere.»
«La vostra filosofia non mi convince. I vostri ricordi devono essere così scevri di rimprovero, che il piacere che ne deriva non appartiene alla filosofia bensì, com'è assai meglio, all'innocenza. Non si può dire altrettanto di me. S'insinuano in me ricordi dolorosi che non possono né debbono essere scacciati. Sono sempre stato un egoista, di fatto, se non per principio. Da bambino mi insegnarono ciò che è giusto, ma non mi insegnarono a correggere il mio carattere. Mi diedero sani principi, ma mi lasciarono seguirli come mi dettavano l'orgoglio e la presunzione. Essendo per mia sfortuna l'unico figlio maschio, nonché figlio unico per molti anni, fui viziato dai miei genitori che, pur essendo brave persone (mio padre specialmente era la bontà e la gentilezza personificate), mi permisero, m'incoraggiarono, m'insegnarono addirittura ad essere egoista ed altero, a non curarmi di nessuno all'infuori della mia cerchia familiare, a disprezzare tutto il resto dell'umanità, o quantomeno a desiderare di disprezzare il senno ed il valore altrui a paragone del mio. Tale io fui dagli otto ai ventotto anni, e tale sarei forse rimasto, se non fosse stato per te, mia carissima, mia dilettissima Elizabeth! Di che cosa non ti sono debitore? Tu mi hai dato una lezione, dura da principio sì, ma salutare al massimo. Da te sono stato giustamente umiliato. Venni da te sicuro di essere accettato. E tu mi facesti capire quanto fossero povere le mie pretese di piacere a una donna a cui è un onore piacere.»
«Eri dunque convinto che ti avrei accettato?»
«Certamente. Che ne dici della mia vanità? Ero certo che aspettasti con ansia le mie proposte.»
«Se mi sono comportata male non l'ho fatto apposta, te l'assicuro. Non ho mai avuto intenzione di ingannarti, ma può darsi che il mio temperamento mi abbia mal consigliato. Quanto devi avermi odiata dopo quella sera!»
«Odiarti? Sarò stato in collera, forse, ma ben presto l'ira ha preso la direzione giusta.»
«Ho quasi paura di chiederti che ne pensasti di me quando c'incontrammo a Pemberley. Mi giudicasti male per essere venuta?»
«Niente affatto; non provai altro che sorpresa.»
«La tua sorpresa non poté essere più grande della mia quando mi accorsi che mi usavi dei riguardi. La mia coscienza mi diceva che non meritavo cortesie particolari, e confesso che non mi aspettavo di ricevere più di quanto mi fosse dovuto.»
«Il mio scopo, allora,» disse Darcy, «era mostrarti, con tutta la cortesia di cui ero capace, che non ero così meschino da serbarti rancore per quanto era successo; e poi speravo di ottenere il tuo perdono, o di modificare la tua cattiva opinione, facendoti vedere che i tuoi rimproveri erano serviti a qualcosa. Non saprei dirti esattamente quando abbiano cominciato a prender corpo speranze di altro genere, ma dev'essere stato una mezz'ora dopo averti incontrata.»
Le parlò poi del piacere con cui Georgiana aveva fatto la sua conoscenza, e della sua delusione per quel brusco distacco; e poiché si venne naturalmente a parlare dei motivi di quel distacco, Elizabeth venne a sapere che ancor prima di lasciare l'albergo egli aveva maturato il proposito di lasciare il Derbyshire per seguirla nella ricerca della sorella, e che il suo atteggiamento grave e pensoso di allora era dovuto unicamente alle preoccupazioni che un tale proposito comportava.
Elizabeth gli ripeté la propria gratitudine, ma l'argomento era per entrambi troppo doloroso per insistervi.
Dopo avere bellamente percorso alcune miglia, troppo presi per rendersene conto, scoprirono finalmente, con un'occhiata all'orologio, che era ora di tornare a casa.

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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