A sangue freddo - Truman Capote

>> martedì 7 giugno 2011

Basato sul massacro di una tranquilla famiglia del Kansas realmente avvenuto, A sangue freddo è un lbro che alla sua uscita, quasi cinquant'anni fa, ha innovato il genere poliziesco, anzi ne ha creato uno nuovo: l'unione di reportage giornalistico e romanzo. Importante l'inflluenza su una serie di scrittori tra cui il nostro Roberto Saviano, come lui stesso evidenzia nell'intervista concessa al Corriere. Sembra che Capote abbia collezionato seimila pagine di appunti, dal giorno in cui ha letto del terribile fatto di cronaca al momento in cui ha assistito personalmente, sei anni dopo, all'esecuzione dei due assassini. L'autore è rimasto molto coinvolto dall'intera vicenda, ha conosciuto e intervistato innumerevoli volte i due protagonisti e pare che sia addirittura diventato loro amico. La storia comunque è narrata in modo freddo e distaccato, senza alcun coinvolgimento emotivo apparente dello scrittore. La vicenda è quanto mai attuale perchè espressione dell'America che sale alla ribalta per i crimini efferati commessi senza motivo. Lo stesso Capote per quanto cerchi di esplorare la mente dei due assassini, le loro origini, i loro comportamenti prima e dopo, non riesce a darsi e a darci una spiegazione. E la mancanza di indizi che possano portare ad identificare ed anticipare devianze letali, fa paura. Il personaggio più enigmatico e ambivalente è Perry, il materiale esecutore dei quattro omicidi, che è più sensibile del suo collega e non lesina atti di gentilezza verso le sue vittime. Le parti che più mi sono piaciute sono la descizione dei due protagonisti e la rappresentazione del massacro della famiglia. Degna di nota anche la costernazione dei genitori di Dick che non riescono a credere che il figlio sia stato capace di un atto simile. Non è un romanzo perfetto: in molti casi si perde il ritmo per via della meticolosa esposizione dei dettagli dell'indagine e dei personaggi di contorno.


I due giovani avevano ben poco in comune ma non se ne rendevano conto perché condividevano parecchi tratti superficiali. Entrambi, per esempio, erano meticolosi, molto pignoli in fatto di igiene e sulle condizioni delle proprie unghie. Dopo quella mattinata da meccanici, trascorsero quasi un'ora a tirarsi a lucido nel gabinetto del garage. Dick in slip era notevolmente diverso dal Dick vestito. In questo secondo caso pareva un giovanotto esile, biondiccio, di altezza media,scarno e magari con il torace incavato; svestito dimostrava di non essere nulla di tutto ciò, ma piuttosto un atleta costruito su scala pesi welter. Il muso tatuato di un gatto, blu e sogghignante, copriva la sua mano destra; su una spalla gli fioriva una rosa azzurra. Altre figure, da lui stesso disegnate ed eseguite, adornavano le braccia e il torso: la testa di un drago con un teschio umano tra le mascelle spalancate; donnine nude dal seno ricolmo; un demonietto che brandiva un forcone; la parola PACE accompagnata da una croce da cui si irradiavano, sotto forma di linee grossolane, raggi di luce divina; e due elaborazioni sentimentali: una, un mazzo di fiori dedicato a PAPÀ-MAMMA, l'altra, un cuore che commemorava l'idmio tra DICK e CAROL, la ragazza che aveva sposato a diciannove anni e dalla quale si era separato sei anni dopo per «fare il suo dovere» con un'altra giovane donna, la madre del suo ultimogenito. («Ho tré figli di cui intendo assolutamente prendermi cura,» aveva scritto nella sua richiesta per il rilascio sulla parola, «mia moglie si è rimaritata. Io mi sono sposato due volte, solo non intendo avere nulla a che fare con la mia seconda moglie.»). Ma né il fisico di Dick né la galleria a inchiostro che l'adornava colpivano con la stessa intensità del suo volto che pareva formato da parti in disaccordo. Sembrava che il suo capo fosse stato diviso in due, come una mela, e poi rimesso insieme leggermente fuori sesto. Era successo qualcosa di molto simile; i lineamenti non perfettamente allineati erano la conseguenza di un incidente d'auto, avvenuto nel 1950, che aveva alterato il suo viso lungo e stretto, lasciandogli il lato sinistro sensibilmente più basso del destro, con il risultato che le labbra erano leggermente di traverso, il naso obliquo e gli occhi non solo a livelli diversi ma anche di grandezza ineguale: il sinistro, un vero occhio da rettile, obliquo, di un bluastro malsano, maligno, che sebbene involontàriamente acquisito, pareva nondimeno l'indice di un sedimento amaro alle radici della sua natura. Ma Perry gli aveva detto: «L'occhio non ha importanza. Perché hai un sorriso meraviglioso. Uno di quei sorrisi che fanno effetto sul serio.» Era vero: la contrazione muscolare del sorriso restituiva quel volto alle giuste proporzioni e rendeva possibile intravvedervi una personalità meno sconcertante: un «bravo ragazzo» di stampo americano, con i capelli tagliati a spazzola, un po'troppo lunghi, abbastanza sano ma non troppo sveglio. (In realtà era molto intelligente. A un test fatto in prigione aveva ottenuto un punteggio di 130; il soggetto medio, in carcere e fuori, va dal 90 al 110. Anche Perry aveva subito delle menomazioni e le sue ferite,conseguenza di un incidente in motocicletta, erano state più gravi di quelle di Dick; aveva trascorso sei mesi in un ospedale dello stato di Washington e per altri sei aveva camminato con le stampelle; sebbene il fatto fosse avvenuto nel 1952, le sue gambe tozze, da nano, fratturate in cinque punti e segnate da terribili cicatrici, gli davano ancora dolori tali che l'aspirina era divenuta la sua droga. I suoi tatuaggi,sebbene meno numerosi di quelli del compagno, erano più elaborati: non l'opera di personale esecuzione del dilettante, ma l'arte perfezionata dei maestri di Honolulu e di Yokohama. Sul bicipite destro era tatuato COOKIE, il nome di un'infermiera con cui aveva stretto amicizia quando era stato in ospedale. Una tigre dalla pelliccia blu, gli occhi arancio e le fauci scarlatte, ringhiava sul bicipite sinistro; un serpente dalle mascelle spalancate, attorcigliato attorno a un pugnale, gli percorreva l'avambraccio; e in altri punti baluginavano teschi, si profilavano pietre tombali, fioriva un crisantemo.
[...]

Troppo annoiato per protestare quando Perry insistè una volta di più sull'argomento: «Mi sono sempre fidato del mio intuito. E' per questo che oggi sono vivo. Conosci, no, Willie-Jay? Diceva che ero un medium nato, e lui se ne intendeva di faccende del genere, gli interessavano. Ha dichiarato che possiedo una foltissima «percezione extrasensoria». Un po' come avere un radar interno: percepìsci le cose ancor prima di vederle. Intuisci quello che sta per accadere. Prendi per esempio mio fratello e sua moglie. Jimmy e sua moglie. Erano pazzi l'uno dell'altro ma Jimmy era geloso come un diavolo e la rendeva così infelice con la sua gelosia, sempre convinto che lei gliela stesse facendo, che lei si è sparata, e il giorno dopo Jimmy si è cacciato una pallottola in capo. Quando è successo - è stato nel 1949 e io mi trovavo in Alaska con mio padre, su dalle parti di Circle City - ho detto a papà: «Jimmy è morto. Una settimana dopo ci è arrivata la notizia. Verità sacrosanta. Un'altra volta, in Giappone, stavo lavorando al carico di una nave e mi ero seduto per riposarmi un momento. D'improvviso una voce dentro di me ha detto «Salta!» e io ho fatto un balzo di tré metri, e in quel momento,proprio nel punto in cui ero seduto prima, è crollata una tonnellata di mercanzia. Potrei raccontarti un centinaio di episodi del genere. Non m'importa che tu ci creda o no. Per esempio, un attimo prima che avessi quell'incidente con la moto, ho visto succedere tutto quanto: l'ho visto mentalmente, la pioggia, le tracce delle ruote che avevano slittato, io a terra sanguinante con le gambe rotte. E' quel che sento ora. Una premonizione. Qualcosa mi dice che questa è una trappola.»
[...]
Dopo l'uscita dei poliziotti, la compostezza che aveva colpito Nye venne meno; una disperazione ben nota incombeva. La combattè, ne ritardò il pieno urto fino a che il piccolo ricevimento ebbe termine e le ospiti se ne furono andate, fino a che i bambini ebbero mangiato, fatto il bagno e dette le preghiere. Poi quello stato d'animo, come la nebbia serale dell'oceano che ora offuscava i lampioni, si chiuse attorno a lei. Aveva detto di avere paura di Perry, ed era vero, ma era semplicemente Perry che temeva, o si trattava di un'immagine di cui egli faceva parte, il terribile destino che pareva riserbato ai quattro figli di Florence Buckskin e di Tex John Smith? Il maggiore, il fratello da lei preferito, si era sparato; Fern era caduta da una finestra, o si era buttata; e Perry era un violento, un criminale. Così, in un certo senso, lei era l'unica sopravvissuta e ciò che la tormentava era il pensiero che con il tempo anche lei sarebbe stata sopraffatta: sarebbe impazzita, o le sarebbe venuto un male incurabile, o avrebbe perso in un incendio tutte le cose più preziose per lei: casa, marito, figli. Suo marito era via per un viaggio d'affari, e quando era sola non pensava mai a bere alcolici. Ma quella sera si preparò qualcosa di forte quindi si distese sul divano nel soggiorno, con un album di fotografie appoggiato alle ginocchia.
[...]
Duntz chiede: «Quanto tempo siete rimasti in quella casa?» «Un'ora,forse.» Duntz dice: «E quando li avete imbavagliati?» «A questo punto. Abbiamo cominciato con la signora Clutter. Mi sono fatto aiutare da Dick, perché non volevo lasciarlo solo con la ragazza. Tagliai delle lunghe strisce di nastro adesivo e Dick le passò attorno alla testa della signora Clutter, così come si fascia una mummia. Le chiese: «Perché continuate a piangere? Nessuno vi fa del male.» Spense la luce sul comodino e disse: «Buonanotte signora Clutter. Sogni d'oro.» Poi dice, mentre percorrevamo il corridoio verso la stanza di Nancy: «Vado a farmi quella ragazzina.» E io dissi". «Uhuhu. Ma prima devi far fuori me.» Mi guardò come se credesse di avere capito male. Disse: «Che tè ne importa? Accidenti, puoi fartela anche tu.» Be', quella è una cosa che io disprezzo. Quelli che non sanno controllarsi sessualmente. Cristo, detesto quelle cose. Gli ho detto chiaro e tondo: «Lasciala stare. Altrimenti dovrai vedertela con me, e io mi scateno.» Quello gli bruciò sul serio ma si rese conto che non era il momento di darci alla lotta libera. Così disse: «D'accordo, tesoro. Se la pensi così.» Alla fine è andata che non le abbiamo chiuso la bocca. Spegnemmo la luce del pianerottolo e scendemmo nel seminterrato.» Perry esita. Ha una domanda da fare, ma la pone come una affermazione: «Scommetto che non ha detto mezza parola sul fatto che voleva violentare la ragazza.» Dewey l'ammette ma aggiunge che a parte una versione alquanto purgata del proprio comportamento, la storia di Dick collima con quella di Smith. I particolari variano, il dialogo non è identico, ma in sostanza i due racconti, almeno fino a quel punto, corrispondono. «Può darsi. Ma sapevo che non aveva parlato della ragazza. Ci avrei scommesso la camicia.» Duntz dice: «Perry, ho seguito la storia delle luci. A questo punto mi risulta che, spegnendo le luci del piano di sopra, la casa è rimasta completamente al buio.» «Infatti. E non abbiamo più acceso luci. Solo la pila. Ce l'aveva Dick, quando siamo andati a imbavagliare il signor Clutter e il ragazzo. Un attimo prima che gli chiudessi la bocca il signor Clutter mi domandò, e quelle furono le sue ultime parole, come stava sua moglie, se stava bene, e io dissi che era tutto a posto, che tra poco si sarebbe addormentata, e gli dissi che non mancava molto al mattino e che allora qualcuno li avrebbe trovati e tutta quella storia, io, Dick, e il resto, gli sarebbe parsa come un sogno. Non lo stavo prendendo in giro. Non avevo intenzione di fargli del male. Mi pareva un signore molto simpatico. Cortese. La pensai così fino al momento in cui gli tagliai la gola. «Un momento, non sto raccontandola proprio come è andata.» Perry aggrotta la fronte. Si strofina le gambe; le manette tintinnano. «Ecco, dopo che li abbiamo imbavagliati, Dick e io ci allontanammo in un angolo a discutere. Ricordo, ora, che ce l'avevamo l'uno contro l'altro. In quel momento mi sentivo rivoltare lo stomaco a pensare che l'avevo ammirato, che mi ero bevuto tutte le sue fanfaronate. Dissi: «Be', Dick, hai qualche scrupolo?» Non rispose. Io insistei: «Lasciali vivi, e non ci beccheremo una condanna da poco. Dieci anni come minimo.» Ancora non disse nulla. Aveva lui il coltello. Glielo chiesi, lui me lo diede e io dissi: «Va bene, Dick. Ora li facciamo fuori.» Ma non dicevo sul serio. Volevo obbligarlo a scoprire il suo bluff, costringerlo a dissuadermi, fargli ammettere che era un ipocrita e un vigliacco. Vedete, era una faccenda tra me e Dick. Mi inginocchiai accanto al signor Clutter, e il dolore alle ginocchia...pensai a quel maledetto dollaro. D'argento. L'umiliazione. Il disgusto. E mi avevano detto di non tornare mai più nel Kansas. Ma non mi resi conto di quel che avevo fatto fino a che non sentii quel suono. Come qualcuno che annegasse. Che gridasse sott'acqua. Tesi il coltello a Dick. Dissi: «Finiscilo. Ti sentirai meglio.» Dick ci provò, o finse. Ma quel tipo aveva la forza di dieci uomini, si era parzialmente liberato dalla fune, aveva le mani slegate. Dick si lasciò prendere dal panico. Voleva scappare di là. Ma io non lo lasciai andare. Quell'uomo sarebbe comunque morto, lo so, ma non potevo lasciarlo in quello stato. Ordinai a Dick di reggere la pila, di puntargliela addosso. Poi presi la mira. La stanza scoppiò. Divenne azzurrina. Esplose. Gesù, non ho mai capito come non abbiano sentito la detonazione nel raggio di trenta chilometri.» All'orecchio di Dewey echeggia quello scoppio, un'esplosione che quasi lo rende sordo al fluire bisbigliante della morbida voce di Smith. Ma la voce va avanti lanciando una sventagliata di suoni e immagini: Hickock che da la caccia alla cartuccia esplosa; in fretta, a precipizio, e la testa di Kenyon in un crepitìo di luce, il mormorio di suppliche soffocate, poi Hickock che ancora cerca a terra la cartuccia usata; la camera di Nancy, Nancy che ascolta i passi su per le scale di legno, lo scricchiolio dei gradini mentre i due uomini si avvicinano a lei, gli occhi di Nancy, Nancy che guarda il raggio della pila ricercare il bersaglio («Disse: «Oh, no, Oh, vi prego. No! No! No! No! Non fatelo! Oh, vi prego, non fatelo! Vi prego!» Diedi il fucile a Dick. Gli dissi che avevo fatto tutto quel che potevo. Lui prese la mira e la ragazza volse il viso contro la parete.» il pianerottolo buio, gli assassini che si affrettano verso l'ultima porta. Forse, dopo avere sentito tutto ciò che aveva sentito, Bonnie accolse con gioia quei passi che le si avvicinavano rapidi. «L'ultima cartuccia è stata una dannazione ripescarla. Dick strisciò sotto il letto per recuperarla. Poi richiudemmo la porta della camera della signora Clutter e scendemmo dabbasso per vedere attraverso la veneziana se il dipendente veniva a controllare, o qualcun altro che poteva avere sentito gli spari. Ma tutto era come prima: nessun rumore. Solo il vento. E Dick che ansimava come se fosse inseguito dai lupi. In quell'attimo, in quei pochi secondi prima che corressimo all'auto e ce ne andassimo, è stato allora che pensai che avrei fatto bene a sparare a Dick. L'aveva detto e ripetuto, me l'aveva martellato in testa: Niente testimoni. E mi dissi: Lui è un testimone. Non so cosa me lo impedì. Sa Dio che avrei dovuto farlo. Sistemarlo con una fucilata. Saltare sull'auto e continuare ad andare fino a scomparire in Messico.» Silenzio. Per quindici chilometri e più i tré uomini viaggiano senza parlare. Dolore e profonda stanchezza sono alla base del silenzio di Dewey. La sua aspirazione era stata sapere «esattamente quel che era successo in quella casa, quella notte.» Ora due volte l'aveva sentito raccontare, e le due versioni erano molto simili» L'unica seria discrepanza era che Hickock attribuiva tutte e quattro le uccisioni a Smith, mentre Smith sosteneva che Hickock aveva ucciso le due donne. Ma le confessioni, per quanto rispondessero agli interrogativi di come e perché, non soddisfacevano la sua esigenza di una ragione in quell'avvenimento. Quel delitto era un incidente psicologico, un atto virtualmente impersonale; le vittime avrebbero anche potuto essere uccise da un fulmine. A parte un fatto: erano state sottoposte a un terrore prolungato, avevano sofferto. E Dewey non poteva dimenticare tali sofferenze. Tuttavia riusciva a guardare senza collera l'uomo al suo fianco, semmai con una certa misura di comprensione, perché la vita di Perry Smith non era stata un letto di rose, ma una misera, laida, solitària corsa verso un miraggio dopo l'altro. Ma la comprensione di Dewey non era abbastanza profonda da accogliere perdono o clemenza.
[...]
Dewey dichiarò: «C'è un episodio, riferitomi da Smith, cui non ho ancora accennato. accaduto dopo che i componenti della famiglia Clutter erano stati legati. Hickock gli disse che Nancy Clutter gli pareva una così bella ragazza e che aveva intenzione di violentarla. Smith disse di avere risposto a Hickock che non avrebbe fatto nulla di simile; mi spiegò di non nutrire il minimo rispetto per persone che non sanno controllare i propri desideri sessuali e che sarebbe venuto alle mani con Hickock piuttosto che permettergli di violentare la piccola Clutter.» Fino a quel momento Hickock ignorava che il suo complice aveva informato la polizia del suo proposito, e neppure sapeva che, in uno spirito più amichevole, Perry aveva modificato la sua versione originale per dichiarare che lui solo aveva sparato alle quattro vittime, fatto che Dewey rivelò verso la fine della sua deposizione: «Perry Smith mi disse che intendeva mutare due cose nella dichiarazione che aveva fatto. Confermò che tutto il resto era vero ed esatto. Tranne quei due particolari. Intendeva cioè dichiarare di essere stato lui a uccidere la signora Clutter e Nancy Clutter, non Hickock. Mi disse che Hickock...non voleva morire lasciando pensare a sua madre che lui aveva ucciso qualcuno della famiglia Clutter. E disse che gli Hickock erano brave persone. E allora perché non metterla così.» A sentire ciò la signora Hickock scoppiò in lacrime. Per tutta la durata del processo era rimasta seduta accanto al marito, silenziosa, tormentando con le mani un fazzoletto spiegazzato. Appena poteva incrociare lo sguardo del figlio gli rivolgeva un piccolo cenno e un sorriso forzato che, per quanto debole, attestava la sua solidarietà. Ma era chiaro che l'autocontrollo della donna stava esaurendosi; cominciò a piangere. Alcuni spettatori le lanciarono un'occhiata e distolsero lo sguardo, imbarazzati; gli altri parevano non sentire quell'aspro lamento funebre in contrappunto alla narrazione di Dewey; perfino suo marito, forse perché riteneva poco da uomo dimostrare commozione, rimase distaccato. Infine una cronista, l'unica presente, condusse fuori dall'aula la signora Hickock accompagnandola nella toilette delle signore. Superato quel momento di crisi, la signora Hickock espresse il suo bisogno di sfogarsi. «Non ci sono molte persone con cui possa parlare,» disse alla compagna. «Non che la gente non sia stata gentile, i vicini e tutti. E anche gli estranei,estranei che ci hanno scritto dicendo che capiscono quanto debba essere difficile e che gli dispiace molto. Nessuno ci ha detto una parola cattiva, a Walter o a me. Neanche qui, dove ci sarebbe da aspettarselo. Tutti hanno fatto il possibile per dimostrarsi cordiali. La cameriera del posto dove andiamo a mangiare, ha versato del gelato sul dolce e non ce l'ha messo in conto. Le ho detto di non farlo, che non posso mangiarlo. Un tempo potevo mangiare di tutto. Ma lei l'ha messo ugualmente. Per essere gentile. Sheila, la cameriera, ha detto che non è colpa nostra quel che è successo. Ma a me pare che la gente ci guardi e pensi, be', anche lei deve averne colpa in qualche modo. Per come ho allevato Dick. Forse ho sbagliato in qualcosa. Solo non so cosa può essere stato; mi faccio venire mal di testa nello sforzo di rammentare. Noi siamo gente semplice, di campagna, e tiriamo avanti come tutti gli altri. Abbiamo avuto dei periodi felici in casa nostra. Avevo insegnato a Dick il foxtrot. Il ballo, ci sono sempre andata pazza, era tutta la mia vita quando ero ragazza; e c'era un giovanotto, accidenti, ballava da non credersi... abbiamo vinto una coppa d'argento ballando insieme il valzer. Per molto tempo abbiamo pensato di scappare e andare sulle scene. Nei varietà. Era solo un sogno. Un sogno di ragazzi. Lui lasciò la città e un giorno io sposai Walter, e Walter Hickock non sapeva fare un passo. Diceva che se volevo un trottatore dovevo sposare un cavallo. Nessuno ha mai più ballato con me fino a quando non ho insegnato a Dick, e lui non ha imparato proprio alla perfezione, ma era tanto caro, Dick, era un ragazzino con un carattere d'oro.» La signora Hickock si tolse gli occhiali, pulì le lenti appannate e li sistemò nuovamente sul viso pienotto e gradevole. «In Dick c'è molto più di quel che si sente dire in aula. Quegli avvocati che urlano che è un essere spaventoso, senza un solo lato buono. Non posso cercare scusanti per quel che ha fatto, la parte che ha avuto. Non dimentico quella famiglia; tutte le sere prego per loro. Ma prego anche per Dick. E quel Perry. Sapete, ho fatto male a detestarlo; ora per lui provo solo Pietà. E, sapete... credo che anche la signora Clutter proverebbe pietà. Dato il tipo di donna che dicono fosse.»
[...]
Perry disse: «Se mi dispiace? Se è questo che intendi, no. Non provo nulla. Vorrei il contrario. Ma non c'è niente che mi angusti di quest'episodio. Mezz'ora dopo l'accaduto, Dick ci scherzava sopra e io ridevo. Forse siamo disumani. sono abbastanza umano da sentirmi addolorato per me stesso. Mi spiace non potermene uscire di qui quando tu te ne andrai. Ma nient'altro.» Cullivan non poteva credere a un atteggiamento così distaccato; Perry era confuso, in errore, non era possibile per un uomo essere così privo di coscienza e di pietà. Perry disse: «Perché? I soldati mica ci perdono il sonno. Uccidono e si prendono le medaglie per averlo fatto. La brava gente del Kansas vuole impiccarmi, e un boia sarà felice di assumersene il compito. E' facile uccidere, molto più facile che rifilare un assegno fasullo. Ricorda solo una cosa: ho conosciuto i Clutter solo per un'ora, circa. Se li avessi conosciuti veramente forse sarebbe diverso. Forse non riuscirei a continuare a vivere. Ma così com'è andata, è stato come colpire dei bersagli a un tiro a segno.»

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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