Morte a Breslavia - Marek Krajewski

>> domenica 12 giugno 2011

Quest'anno rappresento la Biblioteca di Castiglione delle Stiviere al Premio letterario Giuseppe Acerbi  dedicato a scrittori internazionali. Ogni anno viene posto sotto osservazione un paese e un comitato di lettori vota le opere di scrittori da lì provenienti. Il paese scelto nel 2011 è la Polonia e una delle due opere in finale è quella in oggetto. Che dire, appena finito di leggere questo libro spero nell'altro che non ho ancora letto. Questo è proprio brutto e non capisco come abbia fatto Einaudi a inserirlo nel suo catalogo. Il grosso difetto è nella credibilità di personaggi, situazioni, dialoghi, trama. Basti pensare all'episodio che riporto di seguito del padre che concede la figlia come compenso per le lezioni di ripetizione o di una profezia che cambia in base all'interpretazione. L'idea di una vendetta che si protrae per i secoli poteva essere buona, ma il libro doveva scriverlo qualcuno più capace.

Da studente modello qual era, a diciannove anni aveva iniziato a dare ripetizioni alla figlia di un ricco industriale. Mentre lui le svelava i misteri delle declinazioni del greco, la diciassettenne un tantino capricciosa gli rivelava i segreti del proprio corpo. Anwaldt se n'era innamorato perdutamente. Quando dopo sei mesi di duro ma assai gradevole lavoro, aveva chiesto al padre il compenso pattuito, quello - non senza un certo stupore - aveva replicato di averglielo già corrisposto, giacché aveva affidato l'incombenza alla figlia. E lei, in presenza del padre, aveva confermato risolutamente di averlo ricompensato. L'industriale aveva quindi reagito di conseguenza: due servitori in livrea avevano buttato fuori dal palazzo il «vile impostore "il vile impostore" dopo averlo debitamente pestato.
[...]
Al risuonare dello scalpitio di zoccoli gli adepti terrorizzati distolsero lo sguardo dal fuoco sacro. La strage ebbe inizio. I cavalli bardati di corazze crociate con un balzo travolsero la barriera umana. Il crociato, facendo scempio di corpi con la sua spada, assaporò l'inebriante dolcezza della giustizia: a maggior gloria di Dio caddero sotto i colpi del suo fedele strumento gli adoratori di Satana e dei sette angeli caduti, i cui nomi si erano tanto orgogliosamente librati nell'aria. Il turco disseminava di frecce il fumo del falò e delle lampade. Copioso scorse il sangue sulle giubbe sgargianti e sui turbanti colorati. Pochi furono gli assaliti a trarre dalla cinta le curve armi dalle fogge piu fantastiche, si da tener testa al furibondo nemico. Il sibilo delle frecce e il ronzio delle corde di balestra vennero componendosi in una musica inaudita. Frecce su frecce trapassavano
fragili corpi, stridendo nello spezzare le ossa, nel lacerare le tese fibre di muscoli e nervi. Di li a poco la furia degli assalitori si volse contro le donne, le uniche scampate al massacro. Nella stretta di quelle braccia di ferro, da bronzei che erano i loro volti si fecero bianchi, si contrassero i bei lineamenti regolari, si sciolsero per la violenza le treccioline finemente intrecciate, appassirono i fiori sparsi tra i capelli, tintinnarono sulle tempie le monete d'oro e d'argento, sbatterono sulle fronti le gemme levigate che le adornavano, si frantumarono le perline di vetro. Alcune donne si erano nascoste nelle nicchie del muro e nelle fenditure della roccia ma i crociati e i saraceni le trascinarono fuori per poi possederle fra spasimi atroci. Coloro che non avevano ricevuto ancora un così ambito premio finirono, scannandoli, i pochi uomini rimasti in vita. Le prigioniere dovettero rassegnarsi al proprio destino, ben sapendo che sarebbero state messe in vendita come schiave. Infine sulla valle scese il silenzio, rotto ogni tanto da gemiti di dolore o di piacere. I due condottieri si ritrovarono nell'atrio del tempio, di fronte all'ingresso della casa di colui che lungamente avevano cercato: il santo pir al-Shausi. Sul muro dell' edificio erano scolpiti cinque simboli: un serpente, un'ascia, un pettine, uno scorpione e una minuscola figura umana. Accanto v'era una scritta araba, incisa in guisa assai ricercata: «Dio. Non c'è altra divinità all'infuori di Lui, Vivo ed Eterno. Tutto quel che esiste sulla terra e nei cieli gli appartiene». Il turco guardò il crociato e disse in arabo: È il versetto del Trono della seconda sura del Corana. Il crociato conosceva bene quel celebre versetto. Lo aveva udito sulle labbra dei saraceni sgozzati e su quelle delle donne arabe prese in ostaggio, quando alla sera recitavano le loro preghiere. Tuttavia non si diede cura della sublimità di quella sacra iscrizione destinata a benedire e proteggere la casa di al-Shausi, cosi come un anno prima non si era dato cura del Dio bizantino, allorché a caccia di bottino aveva profanato le chiese di Costantinopoli.
Fecero ingresso. Due soldati turchi bloccarono la porta, affinché nessuno potesse uscire, mentre altri andarono in cerca del santo vegliardo. Quando tornarono, non avevano con sé lui, bensi due tappeti arrotolati che si dimenavano. Li srotolarono e agli occhi dei due condottieri apparvero una fanciulla che avrà avuto tredici anni, in preda alla disperazione piu nera, e un giovinetto di qualche anno piu anziano. Erano i figli dell'uomo che stavano cercando. Il santo vegliardo era riuscito a fuggire nel deserto! Senza far motto, il condottiero crociato si gettò sulla fanciulla, la rovesciò sull'impiantito sconnesso e in poco tempo ottenne l'ennesimo tributo di guerra. Il fratello farfugliò qualcosa a proposito del «padre» e pronunziò la parola «vendetta». Alla luce delle lampade a olio, lo stupratore
scorse alcuni scorpioni strisciar fuori da un orcio di argilla infranto. Non ne provò timore, al contrario: la presenza di quelle minacciose creature rinfocolò vieppiù la sua bramosia. Gli uomini intorno gridavano eccitati, v'era tanfo d'olio e le ombre danzavano sulle pareti. Ormai appagato, il crociato si risolse a impartire un castigo esemplare ai figli del sommo sacerdote di quella satanica setta. Dette ordine di metterne a nudo il ventre. Levò la spada, fedele compagna nella lotta ad maiorem Dei gloriam, e colpì con polso sicuro ma senza calcare la mano. La lama descrisse un semicerchio e la sua punta apri il ventre vellutato della fanciulla e quello lievemente lanuginoso del ragazzo. La pelle si ritrasse mettendo a nudo le interiora. Il crociato si tolse l'elmo e, lavorando di stiletto, vi infilò alcuni scorpioni. Poi, quasi si fosse trattato di un'urna sacrificale, svuotò il cimiero sulle viscere delle sue vittime. Gli scorpioni agonizzanti caddero nei tiepidi intestini e trovandosi immersi nel sangue, presero a pungere furenti, col lungo aculeo posto all'estremità della coda. Lunga fu l'agonia delle giovani vittime, che mai vollero distogliere lo sguardo dal loro carnefice.
[...]
Pensavo che la profezia riguardasse Anwaldt (yeladim suona. quasi come Anwaldt). E stava quasi per avverarsi. Ecco infatti che nell'ospedale psichiatrico è sbucato fuori un maggiore della Stasi, un uzbeco grande e grosso, con le tasche p1ene d1 scorpioni, col compito di condurre a termine una missione segreta. Anwaldt doveva morire tra le mura bianche (amoc: bianco), in una stanza provvista di grate (sevacha: grate), con la pancia piena di scorpioni che giravano dappertutto (chul: girare). Ma io questa profezia l'ho interpretata diversamente e ho cambiato il corso prefissato degh eventi. La perizia linguistica è stata effettuata dallo stesso Anwaldt, che in ospedale si è fatto una discreta cultura nel campo delle lingue semitiche. E l'uzbeco insieme con i suoi fratelli del deserto, è rimasto all'ospedale di Dresda ...

1 commenti:

Anonimo 7 aprile 2013 alle ore 12:47  

Good book. I read it aka the 'occult' tempter in the plot. And long live Shaytan.
Lutz Barz [Facebook]

Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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