Caos Calmo - Sandro Veronesi
>> martedì 10 agosto 2010
Questo libro appartiene a quei casi letterari che dividono i lettori in due fazioni equamente distribuite di detrattori ed entusiastici. Ho iniziato a leggerlo proprio spinto dalla curiosità di capire chi avesse ragione. Alla fine sono andato a rafforzare le file dei secondi: per l'acutezza nell'analisi delle situazioni e dei personaggi è un dei libri più belli usciti negli ultimi anni. Tanto bello il libro quanto pessimo il film che ne è stato tratto. Riporto di seguito la lettera che accompagna le dimissioni del direttore del personale dell'azienda che viene acquistata, che è tra le parti più riuscite del libro.
Che cos'è una fusione? Una fusione è il conflitto di due sistemi di potere atto a crearne un terzo, realizzata per finalità finanziarie. E' concepita per creare valore, ma la creazione di valore è un concetto buono per gli azionisti, o per le banche d'affari, non per gli esseri umani che lavorano nelle aziende, per i quali una fusione è, al contrario, il trauma lavorativo più violento che possa essere loro inflitto.
Una volta che si è trovato l'accordo sulla transazione, cosa che non è affatto facile, si ha la tendenza a credere che il più sia fatto. Questa convinzione deriva dalla storica sottovalutazione che il mondo dell'economia riserva al fattore umano e, più in generale, alla psicologia. Ma è sbagliata. I problemi più grossi di una fusione non sono legati al documento che la sancisce.
Prima che di cifre, infatti, un'azienda è fatta dagli uomini che ci lavorano, cioè dai suoi dipendenti, e dopo l'annuncio di una fusione la reazione di qualsiasi dipendente a qualsiasi livello è l'incertezza. Che cosa mi aspetta? Resterò o verrò mandato a casa? La mia funzione cambierà? Di chi mi devo fidare? Come verranno risolti i miei problemi? Riuscirò a mantenere i privilegi che mi ero conquistato? A nessuno importa granché della creazione del valore fintantoché il nuovo assetto non avrà risposto a queste domande, garantendogli una nuova legittimità.
Durante una fusione bisognerebbe parlare con i dipendenti, informarli e aggiornarli tutti il più spesso possibile; il dipendente ha bisogno di fiducia, di sentire che non è considerato solo una pedina. Invece gli viene riservato un discorso-standard, buttato giù una volta per tutte da un paio di consulenti in comunicazione interna, che ha il solo effetto di accrescere le sue preoccupazioni. Quelle dichiarazioni asettiche su future sinergie che non toccheranno il personale sono ipocrisia bella e buona, poiché tutti sanno che l'unica garanzia concreta per creare valore sui mercati è la riduzione dei costi aziendali, e le riduzioni dei costi sono realizzate all'80% con tagli del personale.
Così i dipendenti durante un periodo di fusione entrano in una zona di costante turbolenza. Si tratta di un periodo assai critico, che per le grandi fusioni può durare molto a lungo, e durante questo periodo il sentimento dominante diventa l'ansia. Un'ansia che, se trascurata, da individuale può farsi collettiva, o addirittura trasformarsi in panico.
L'esperienza a contatto col personale durante una fusione insegna che l'impatto è duplice. Sul piano fisico la macchina umana tende ad avvertire maggiormente stress e stanchezza ed ad accentuare ogni naturale tendenza alla somatizzazione, con un sensibile incremento di allergie, disturbi respiratori, cistiti, cefalee, dermatiti e, tra le donne, candidosi, amenorree e disminoree; mentre su quello psicologico la mente viene invasa dall'insicurezza, qualsiasi evento suscita emozioni ansiogene quali paura, angoscia, scoraggiamento e frustrazione, che a loro volta producono gravi sintomi di depressione, tanto più gravi quanto più il soggetto è spinto istintivamente a rifiutarli, poiché la cultura alla quale appartiene è una cultura di pura performance, nella quale l'esistenza di simili disagi non è nemmeno concepita.
Tale impatto è più devastante per la fascia d'età che va dai quaranta ai cinquant'anni, quando le riserve d'adattamento sono minori ed il rischio di perdere qualcosa nel cambiamento è molto più alto. Si ha l'impressione di regredire, si percepisce un senso d'ingiustizia. Il trauma da assorbire è enorme: si era attaccati ad una cultura aziendale, ad una squadra, a colleghi con cui si lavorava con piacere, con spirito di corpo. Quando ci si ritrova faccia a faccia con gli altri è dura. Anche se viene premesso che sono loro le "vittime", si tratta pur sempre del nemico che si materializza. Fino a ieri eravamo in dura competizione con loro; all'improvviso, eccoli entrati nel nostro ambiente. Ci si sente invasi, foss'anche soltanto fisicamente, e si sente il desiderio di mandarli a farsi fottere, di dirgli che ce la cavavamo bene anche senza di loro. Invece ci si deve lavorare insieme, e lo shock è grande. Si sono visti dirigenti provenienti da aziende classiche, dove i titoli e la gerarchia sono sacri, non riuscire a sopportare d'esser messi in gruppi di lavoro insieme a personale proveniente dall'altra azienda, di rango gerarchico nettamente inferiore, in nome di una comune competenza contingente.
E' una situazione altamente destabilizzante, e ci sono solo tre categorie di persone che riescono a reggerla: i fedelissimi, i voltagabbana e i collaborazionisti. Tutti gli altri rischiano di andare a picco. Bisogna sviluppare una grande resistenza, fisica e psicologica, per non crollare, e solo pochi sono in grado di farlo senza adeguata assistenza. Ma un'assistenza del genere non esiste. Così, il risultato più comune durante le fusioni è che una grande quantità di ottimi elementi lascia volontariamente il proprio incarico, prima ancora che la fusione sia compiuta; cosa che viene miopemente considerata con favore in quanto alleggerisce la successiva azione di taglio del personale, ma che invece rappresenta una perdita secca. Perché gli uomini e le donne che se ne vanno si portano dietro le proprie conoscenze e le proprie capacità tecniche, ed a fronte del valore virtuale creato sui mercati, il risultato reale è uno spaventoso impoverimento. Ecco perché non si è ancora vista una sola grande fusione che non sia fallita, porca della madonna, nel giro di un anno o due.
Che cos'è una fusione? Una fusione è il conflitto di due sistemi di potere atto a crearne un terzo, realizzata per finalità finanziarie. E' concepita per creare valore, ma la creazione di valore è un concetto buono per gli azionisti, o per le banche d'affari, non per gli esseri umani che lavorano nelle aziende, per i quali una fusione è, al contrario, il trauma lavorativo più violento che possa essere loro inflitto.
Una volta che si è trovato l'accordo sulla transazione, cosa che non è affatto facile, si ha la tendenza a credere che il più sia fatto. Questa convinzione deriva dalla storica sottovalutazione che il mondo dell'economia riserva al fattore umano e, più in generale, alla psicologia. Ma è sbagliata. I problemi più grossi di una fusione non sono legati al documento che la sancisce.
Prima che di cifre, infatti, un'azienda è fatta dagli uomini che ci lavorano, cioè dai suoi dipendenti, e dopo l'annuncio di una fusione la reazione di qualsiasi dipendente a qualsiasi livello è l'incertezza. Che cosa mi aspetta? Resterò o verrò mandato a casa? La mia funzione cambierà? Di chi mi devo fidare? Come verranno risolti i miei problemi? Riuscirò a mantenere i privilegi che mi ero conquistato? A nessuno importa granché della creazione del valore fintantoché il nuovo assetto non avrà risposto a queste domande, garantendogli una nuova legittimità.
Durante una fusione bisognerebbe parlare con i dipendenti, informarli e aggiornarli tutti il più spesso possibile; il dipendente ha bisogno di fiducia, di sentire che non è considerato solo una pedina. Invece gli viene riservato un discorso-standard, buttato giù una volta per tutte da un paio di consulenti in comunicazione interna, che ha il solo effetto di accrescere le sue preoccupazioni. Quelle dichiarazioni asettiche su future sinergie che non toccheranno il personale sono ipocrisia bella e buona, poiché tutti sanno che l'unica garanzia concreta per creare valore sui mercati è la riduzione dei costi aziendali, e le riduzioni dei costi sono realizzate all'80% con tagli del personale.
Così i dipendenti durante un periodo di fusione entrano in una zona di costante turbolenza. Si tratta di un periodo assai critico, che per le grandi fusioni può durare molto a lungo, e durante questo periodo il sentimento dominante diventa l'ansia. Un'ansia che, se trascurata, da individuale può farsi collettiva, o addirittura trasformarsi in panico.
L'esperienza a contatto col personale durante una fusione insegna che l'impatto è duplice. Sul piano fisico la macchina umana tende ad avvertire maggiormente stress e stanchezza ed ad accentuare ogni naturale tendenza alla somatizzazione, con un sensibile incremento di allergie, disturbi respiratori, cistiti, cefalee, dermatiti e, tra le donne, candidosi, amenorree e disminoree; mentre su quello psicologico la mente viene invasa dall'insicurezza, qualsiasi evento suscita emozioni ansiogene quali paura, angoscia, scoraggiamento e frustrazione, che a loro volta producono gravi sintomi di depressione, tanto più gravi quanto più il soggetto è spinto istintivamente a rifiutarli, poiché la cultura alla quale appartiene è una cultura di pura performance, nella quale l'esistenza di simili disagi non è nemmeno concepita.
Tale impatto è più devastante per la fascia d'età che va dai quaranta ai cinquant'anni, quando le riserve d'adattamento sono minori ed il rischio di perdere qualcosa nel cambiamento è molto più alto. Si ha l'impressione di regredire, si percepisce un senso d'ingiustizia. Il trauma da assorbire è enorme: si era attaccati ad una cultura aziendale, ad una squadra, a colleghi con cui si lavorava con piacere, con spirito di corpo. Quando ci si ritrova faccia a faccia con gli altri è dura. Anche se viene premesso che sono loro le "vittime", si tratta pur sempre del nemico che si materializza. Fino a ieri eravamo in dura competizione con loro; all'improvviso, eccoli entrati nel nostro ambiente. Ci si sente invasi, foss'anche soltanto fisicamente, e si sente il desiderio di mandarli a farsi fottere, di dirgli che ce la cavavamo bene anche senza di loro. Invece ci si deve lavorare insieme, e lo shock è grande. Si sono visti dirigenti provenienti da aziende classiche, dove i titoli e la gerarchia sono sacri, non riuscire a sopportare d'esser messi in gruppi di lavoro insieme a personale proveniente dall'altra azienda, di rango gerarchico nettamente inferiore, in nome di una comune competenza contingente.
E' una situazione altamente destabilizzante, e ci sono solo tre categorie di persone che riescono a reggerla: i fedelissimi, i voltagabbana e i collaborazionisti. Tutti gli altri rischiano di andare a picco. Bisogna sviluppare una grande resistenza, fisica e psicologica, per non crollare, e solo pochi sono in grado di farlo senza adeguata assistenza. Ma un'assistenza del genere non esiste. Così, il risultato più comune durante le fusioni è che una grande quantità di ottimi elementi lascia volontariamente il proprio incarico, prima ancora che la fusione sia compiuta; cosa che viene miopemente considerata con favore in quanto alleggerisce la successiva azione di taglio del personale, ma che invece rappresenta una perdita secca. Perché gli uomini e le donne che se ne vanno si portano dietro le proprie conoscenze e le proprie capacità tecniche, ed a fronte del valore virtuale creato sui mercati, il risultato reale è uno spaventoso impoverimento. Ecco perché non si è ancora vista una sola grande fusione che non sia fallita, porca della madonna, nel giro di un anno o due.
1 commenti:
Già. Tristemente già.
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