Reading in Biblioteca - 25 Settembre 2010

>> domenica 26 settembre 2010

In occasione di "Gustando Gustando" il gruppo dei lettori della biblioteca di Castiglione ha presentato una serie di testi sul tema del cibo. 
Il gruppo lettori è nato alcuni anni fa grazie al sostegno dell’assessorato alla cultura del Comune di Castiglione ed è composto da un gruppo di persone che ha la passione per la lettura e che pratica la cosiddetta "lettura condivisa": individuato un libro, ognuno lo legge autonomamente e poi ci si ritrova il mese successivo a discuterne. Ne scaturiscono pareri, approfondimenti, sfumature, interpretazioni diverse che arricchiscono la lettura e il piacere di gustare un libro.

I brani sono stati letti e interpretati da Ilaria Feole e Alessandro De Silvestri.

Premessa: Elogio del cibo
1-      Il senso del gusto  da P. Artusi “La scienza in cucina”
2-      Il paese di Bengodi  da G. Boccaccio “Decameron” (VIII giornata, novella terza)
3-      Le muse pancifiche da T. Folengo “Baldus”

Gh’ho ‘na fame che me magnaria anca un ogio
VIDEO La fame dello Zanni da D. Fo “Mistero buffo”
1-      Pinocchio non mangiò, ma diluviò  da C. Collodi “Le avventure di Pinocchio” (Cap. XXIV)
2-      Robba da magnare   da L. Malerba “Il pataffio”

Il cibo che stupisce
VIDEO VATEL
1-      Il banchetto a corte da L’arte di ben cucinare et istruire i men periti in questa lodevole professione di B. Stefani
2-      La bottega di Ziapìna  da F. Guccini “Croniche epafaniche”
3-      Ode alla cipolla  di P. Neruda
4-      Un monumento al  pollo  da Giò Pozzo  “Cucina crudele”
5-      La focaccia milleingredienti da Elio e le storie tese “Animali spiaccicati”

I Golosi
VIDEO CHOCOLAT
1-      Le golose di G. Gozzano
2-      I suoni del cibo da S. Valenti  “Medicina naturale”
3-      Tortelli di G B. Fagiuoli da “Zucca e tortelli” di S. Gelsi
4-      La focaccia di G. Carofiglio “Né qui né altrove. Una notte a Bari”
5-      I bigné da Muriel Barbery “Estasi culinarie”

E per finire, gustiamo cibi in rima
VIDEO Ugo Dighero – HO L’ORTO
1-      Tutti frutti di C. Albaut “Filastrocche da sgranocchiare”
2-      La caramella mou di C. Albaut (idem)
3-      Pane di R. Piumini  da “Non piangere cipolla”
4-      Pastasciutta di R. Piumini (idem)
5-      Polenta di P. Formentini da “Polpettone di parole”
6-      Filastrocca della cena di  B. Tognolini da “Rima rimani”


Premessa : elogio del cibo
Il senso del gusto di P. Artusi
Il gusto e il tatto sono i sensi più necessari, anzi indispensabili alla vita dell’individuo. Gli altri aiutano soltanto e si può vivere ciechi e sordi, ma non senza l’attività funzionale degli organi del gusto..
Com’è dunque che nella scala dei sensi i due più necessari sono reputati i più vili? Perché quel che soddisfa gli altri sensi, pittura, musica, ecc., si dice arte, si ritiene cosa nobile, ed ignobile invece quel che soddisfa il gusto? Perché chi gode vedendo un bel quadro o sentendo una bella sinfonia è reputato superiore a chi gode mangiando un’eccellente vivanda? Ci sono dunque tali ineguaglianze anche tra i sensi che chi lavora ha una camicia e chi non lavora ne ha due? Deve essere per il tirannico regno che il cervello esercita su tutti gli organi del corpo.Non si vive solo di pane, è vero, ci vuole anche il companatico; e l’arte di renderlo più economico, più sapido, più sano, lo dico e lo sostengo, è vera arte; riabilitiamo il senso del gusto e non vergogniamoci di soddisfarlo onestamente, ma il meglio che si può.


Il paese di Bengodi di G. Boccaccio
…fu da Calandrin domandato dove queste pietre così virtuose si trovassero. Maso rispose che le più si trovavano in Berlinzone, terra dei baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce, e avevasi un’oca a denaro e un papero giunta, ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato sopra la quale stavan genti che niuna cosa facevano che far maccheroni e ravioli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavano quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva: e ivi presso scorreva un fiumicel di vernaccia della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciol d’acqua.

Le muse pancifiche  di T. Folengo
Soltanto le muse pancifiche, le dotte sorelle Gosa, Comina, Strizza, Mafelina, Togna, Pedala, vengano ad imboccare di gnocchi il loro poeta e gli portino cinque e magari otto catini di polenta. Sono queste le grasse mie dive, le mie Ninfe imbrodolate: la loro dimora si trova in un remoto cantone del mondo che la caravella di Spagna non ha ancora scovato. […] Le Ninfe stanno sul cocuzzolo di un’alta montagna e senza sosta grattano il formaggio su grattuge forate. Con grande zelo altre si danno ad impastare teneri gnocchi che rotolano in frotta giù per il formaggio grattato e dal ciuffo del monte si voltolano fino in fondo diventando grassi come botti panciute.

Quanto giova slargare le ganasce, se di tal gnocco vuoi saziare il tuo ventre! Altre tagliano la pasta e riempiono cinquanta lavaggi di pappardelle e di grasse  lasagne. Altre ancora, se la pentola comincia brontolare per via del gran fuoco, tirano da parte i tizzoni e vi soffiano dentro, perché il brodo, quando il fuoco è troppo salta fuori dalla pignatta. Insomma ciascuna bada a cuocere la propria minestra, per cui vedi
mille camini che fumano e mille caldaie che borbottano. Qui io per primo ho pescato l’arte maccheronica, qui Mafelina mi incoronò pancifico poeta.

Gh’ho ‘na fame che me magnaria anca un ogio

da “Le avventure di Pinocchio” di Carlo Collodi Cap. XXIV
Dopo mezz'ora di strada arrivò a un piccolo paese detto “il paese delle api industriose”(...) Intanto la fame lo tormentava; perché erano ormai passate ventiquattr'ore che non aveva mangiato più nulla (...) Finalmente passò una buona donnina che portava due brocche d'acqua.
- Vi contentate buona donna, che io beva una sorsata d'acqua alla vostra brocca? - disse Pinocchio, che bruciava dall'arsione della sete.
- Bevi pure, ragazzo mio!- disse la donnina, posando le due brocche in terra.
Quando Pinocchio ebbe bevuto come una spugna, borbottò a mezza voce, asciugandosi la bocca:
-La sete me la son levata! Così mi potessi levar la fame!...-
La buona donnina, sentendo queste parole, soggiunse subito:
-Se mi aiuti a portare a casa una di queste brocche d'acqua, ti darò un bel pezzo di pane.
Pinocchio guardò la brocca e non rispose né si né no.
-E insieme con pane ti darò un bel piatto di cavolfiore condito coll'olio e coll'aceto-soggiunse la buona donna.
Pinocchio dette un'altra occhiata alla brocca, e non rispose né si né no.
-E dopo il cavolfiore ti darò un bel confetto ripieno di rosolio.
Alle seduzioni di quest'ultima ghiottoneria, Pinocchio non seppe più resistere, e fatto un animo risoluto, disse: -Pazienza! Vi porterò io la brocca fino a casa!
La brocca era molto pesa, e il burattino, non avendo forza da portarla colle mani, si rassegnò a portarla in capo. Arrivati a casa, la buona donnina fece sedere Pinocchio a una piccola tavola apparecchiata, e gli pose davanti il pane, il cavolfiore condito e il confetto. Pinocchio non mangiò, ma diluviò. Il suo stomaco pareva un quartiere rimasto vuoto e disabitato da cinque mesi.

Robba da magnare
In un cantone del cortile c’è un banco dove un formigotto dice di vendere robba da magnare.

“Io vendo polenta salame pagnotte salsicce braciole focacce prosciutti zucche pizze porchetta patate fritte lumache pernici busecca gatto in agrodolce frittata ova sode fagiani farciti rape rosse carote gialle castagne lesse cavoli ossibuchi caciotta carciofoli anguilla in salamoia pecorino ricotta culatello mele meloni melanzane fichi panerone eccetera ecceterone!”

I villani si fanno intorno al banco del formigotto che vende tutta questa robba buonissima. Una donnetta va avanti e indietro dal paese per richiamare gli ultimi che sono rimasti nelle case. ”Currete su al castello che se magna!” La gente corre, si
ammucchia intorno al banco mentre il formigotto continua a gridare che vende tutta questa robba, la numera a una a una come una sacra litania e poco alla volta quelli che stanno intorno si riempiono la bocca ripetendo e masticando le stesse parole e quasi gli sembra, a forza di dire polenta salame pagnotte e salsicce castagnaccio porchetta e tutto il resto, che la pancia si riempie poco alla volta e persino gli pare di sentire sotto il naso i tanti odori delle cose nominate dal formigotto. Mentre in principio molti sbadigliavano per la fame, dopo un po’ ci sono quelli che fanno dei gran rutti per digerire tutta questa spanzata di robba grassa e pesante che gli ingombra lo stomaco.

Il cibo che stupisce

BANCHETTO servito a due piatti che si potrà fare nelli mesi di novembre e dicembre

La tavola sarà apparecchiata in una sala capace, con tovaglia sottilissima, stuccata per mano di valente credenziere, e le posate di simile piegatura:

da capo della tavola sorgerà un trionfo fatto di zuccaro quale sarà la caduta di Fetonte.

Dall'altro canto, il carro trionfale di Cesare, quando entrò in Roma vincitore dopo haver superato Marc'Antonio.

Nel mezo il colosso di Rodii fatto di sottilissime piegature, e che vi passi sotto una neve fatta di condito,

e questo sarà tramezzato con due aquiloni fatti di gelo di color d'ambra, e rinforzate con statue fatte di zuccaro che saranno le quattro stagioni.

Primo servizio di credenza

Quattro sirene di pasta di marzapane, che sostentino con le code ritorte una stella,

ed ogni punta di stella vi sia una starna, lardata minuta, cotta allo spiedo,

e sopra un sapore fatto con fegatelli di cappone, capo di latte, noce moscata, quattr'oncie di mostaccioli pesti, stemprato con malvasia,

e gettato sopra le starne, adornate con fette di cedro lavorate, tramezzate con pere condite.

Le sirene le ponerei nel piatto con spuma di mare fatta con chiara d'ova, e smaltino, e tra una sirena e l'altra, vi sia un pesce che scherzi fra quelle spume.

Un gran tortiglione in guisa di serpente, fatto con pasta finissima empito di condito grattato, pomi appii, pasta di marzapane ed altri condimenti,

tutto il suo dorso trapunto con pistacchi e pignoli confetti, ed il suo piatto coperto d'erbettina verde fatta di zuccaro compartita con leggiadria.

La bottega di Ziapìna    Francesco Guccini – Croniche epafaniche
E c’è  la bottega di Ziapìna. Tu entri, scendi quei tre scalini, e già le nari ti si riempiono dei mille odori sapori che tutta la bottega ti offre. I primi a colpire sono i più violenti, il baccalà sciorinato secco rigido che verrà lasciato ad ammorbidirsi e dissalarsi lungamente nella tinozza piena d’acqua, e latte di turbinosi colori stracolme di sarde salate, o di saracche da  fare vicino alle braci del camino, cibo e sapore da anziani, che ancora ti si storce la bocca e piangi per un mezzo grano di pepe, ma ti piace già il tonno in grosse trance rosee ricurve che fa capolino in mezzo all’olio. C’è l’odore del  vino toscano della mescita, che esce dai bicchieri o dai mezzi di quelli che bevono o dalle damigiane e tini della cantina subito di fianco, ma se arrivi che han portato il pane, è quello l’odore che domina, anche se il pane non si compra perché si fa da noi.

 A volte prendi la pasta, che è dietro il banco vendita, in teche trasparenti di vetro che la vedi, e ce n ‘è di tanti tipi, ler farfaline, le conchiglie, i macheroni, quella piccola da brodo, ma anche di queste paste non ne prendi perché le tagliatelle larghe o strette, i pistadini o i quadrucci o tutto si fa in casa, e prendi  solo i paternostri da fare la minestra coi fagioli. C’è anche la marmellata, non che noi non si abbia, è che si fa solo di ciliegie; e lì c’è di pesca, d’albicocca o anche, e quella sì che è bòna, d’arance, o di cedro, roba di verde smeraldo candita che se ne compera un pezeto per Natale, per i dolci, e già a vedersi dà soddisfazione. C’è i prosciutti e i salami, ma quelli si hanno; si compra il formaggio sardo, ed è un’operazione che va fatta con calma. Ci si fa  il suo taselino col truvello aposta, come con la cocombra, e Ziapina lo assaggia pensosa: si compra la forma, mia un etto due etti come quei bischeri dei vilegianti. E’ come quando vedi i vecchi che bevon vino, che lo sciaguattano di qua e di là, alzan la chiorba per cercare l’ispirazione, poi fan di sì, in su e in giù, spingendo i labbri in fuori, per dire: proprio bòno.    Ma muover la testa per dir di no, in vero, non li ho mai visti.

Ode alla cipolla di P. Neruda
Cipolla, anfora luminosa,
petalo e petalo
si formò la tua bellezza
squame di cristallo ti
accrebbero
e nel segreto della terra
oscura
si arrotondò il tuo ventre di
rugiada.
Sotto la terra
fu il miracolo
e quando apparve
il tuo rozzo stelo verde
e nacquero
le tue foglie come spade
nell’orto,
la terra accumulò il suo
potere
mostrando la tua nuda
trasparenza
e come in Afrodite il mar
remoto
duplicò la magnolia
innalzando i suoi seni,
così ti fece,
cipolla,
chiara come un pianeta,
e destinata
brillare,
costellazione costante,
rotonda rosa d’acqua,
sopra
la tavola
della povera gente.
[…]
Alla portata delle mani del
popolo
innaffiata di olio,
spolverata
con un po’ di sale
uccidi la fame.
Stella dei poveri
Fata madrina
avvolta
in delicata
carta, esci dal suolo
eterna, intatta, pura
come seme d’astro,
e nel tagliarti
il coltello in cucina
sale l’unica lacrima
senza pena. (…)
Io ho cantato quanto esiste,
Cipolla,
ma per me tu sei
più bella di un uccello
dalle penne abbaglianti,
sei per i miei occhi
globo celeste, coppa di platino,
danza immobile
di anemone niveo,
e vive la fragranza della terra
nella tua natura cristallina.

Un  monumento al pollo GIO Pozzo   La cucina crudele
Ah, il pollo! Merita un monumento. Quello ruspante? Per carità, malinconia di famiglia. La produzione, la catena di produzione. Siamo nel duemila e non possiamo più rincorrere per l’aia il galletto per tirargli il collo.    La catena, migliaia di oggetti carne assolutamente uguali per misura peso e  proporzione. L’invenzione da proporre e imporre sul mercato. I miei polli sono oggetti, li ho stivati ,ne ho costretti un numero inverosimile in poco spazio. Ecco, un binario, ben allineati sul supporto e davanti al becco  un tappeto semovente  e  alle terga un altro. Il primo apporta il  mangime,  il secondo asporta lo sterco. Che peraltro recupero  a concime. Non ha distrazioni il mio benefattore. Ha solo il compito di   nutrirsi e di defecare. Non corre e non perde peso. Non conosce lo spavento, non ha stimolazioni esterne… E’ beato. Raggiunto il  peso necessario, il peso richiesto, s’intende, passa senza traumi ai banchi refrigeranti della distribuzione. E come potrebbe averne? Non ha alcuna coscienza di esistere. Se guardo i miei polli esposti nelle  vetrine, mi colpiscono per la loro immobilità. Confermano la perfezione del  trattamento, sembrano nati già pronti all’uso, non denunciano ricordi di passata spavalderia. Non costituiscono preda, sono consumo quotidiano di migliaia di persone :i miei clienti. Il mio prodotto  è buono.  Vi assicuro che io non sto a lesinare sul costo del mangime. Cosa sono poche lire in più al quintale? Sempre la migliore qualità..E poi lo mangio io, è  un a garanzia, non voglio correre rischi.   Allo spiedo, appena cotto, crocchia sotto i denti e le carni sono morbide e vellutate. Il sapore è sempre costante, non tradisce mai.

FOCACCIA MILLEINGREDIENTI
Occorrente:
una focaccia
un calamaretto
un amaretto di Saronno
un granello di Effervescente Brioschi
un cucchiaino di yogurt alle mele
una fettina di bresaola
una setola di porcellino da latte
un cioccolatino alla menta
un riccio di mare sgusciato
un’aringa
una foglia di scalogno
una caramella fondente alla frutta
un cucchiaino di tonno spalmabile
un formaggino Tigre
un fagiolo
un cece
un aspide vivo
un aspide morto

Prendete la focaccia e disponetela orizzontalmente sul tavolo. Disponete sulla sua superficie il calamaretto, l’amaretto di Saronno, il granello di Effervescente Brioschi, il cucchiaino di yogurt alle mele,la fettina di bresaola, la setola di porcellino da latte, il cioccolatino alla menta, il riccio di mare sgusciato, l’aringa, la foglia di scalogno, la caramella fondente alla frutta, il cucchiaino di tonno spalmabile, il formaggino Tigre, il fagiolo, il cece, l’aspide vivo. Lasciate per il momento l’aspide morto dov’è. Afferrate la focaccia ricoperta di tutto questo ben di dio e inclinatela di circa 45 gradi alla vostra destra; gli ingredienti aggiunti dovrebbero scivolare e cadere a terra. Se ciò non dovesse accadere inclinatela maggiormente.

Guardate gli ingredienti caduti con aria compassionevole, fermandovi a meditare un po’ su quanto cibo va sprecato ogni giorno nel mondo. Soffermatevi a osservare poi il comportamento dell’aspide vivo: se cerca di andarsene non ostacolategli la fuga (Sarà meglio per tutti). Se invece notate che assume un’aria minacciosa, come di sfida, mostrategli l’aspide morto come dire: “Hai visto, stupido rettile, cosa ti può succedere se continui a darmi noia?”. A quel punto l’aspide vivo dovrebbe capire il messaggio e levarsi di torno. Allora, e solo allora, mangiate la focaccia con niente sopra visto e considerato che quando uno ha fame non c’è niente di meglio della focaccia, senza andare a scomodare tutta quella roba indigesta che avevate preparato prima, che al limite potete usare per nutrire l’aspide vivo se si dimostra amichevole e non aggressivo come suo solito.


I golosi
Le golose di Guido Gozzano
Io sono innamorato di tutte le signore.
Che mangiano le paste nelle confetterie.
Signore e signorine-
le dita senza guanto-
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!

Perché niun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.

C'è quella che s'informa
pensosa della scelta;
quella che toglie svelta,
né cura tinta o forma.

L'una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.

Un'altra – il dolce crebbe -
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita congetture!

Un'altra, con dell'arte,
sugge la punta estrema:
invano! ché la crema
esce dall'altra parte!

L'una, senza abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare

sugga, in supremo annunzio,
non crema e coccolate,
ma superliquefatte
parole del D'Annunzio.

Fra questi aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,

di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! le signore come
ritornano bambine!

Perché non m'è concesso -
o legge inopportuna! -
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,

o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore di crema e cioccolate?
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie

Serena  Valenti I suoni del cibo
Personalmente ho avuto modo di scoprire che il prezzemolo sulla soia non si muove bene.
Ascoltiamolo: “ pr-e-zz-emolo”.
Due consonanti dure, all’inizio, che richiamano quelle della parola “fr-eddo” o “br-ivido”.
Non parliamo poi della doppia zeta: non è certo un suono morbido.
La parte finale “-emolo”, dà quasi l’idea vezzeggiativa, ma vivace ed esuberante, delle piccole dimensioni della foglia.
In ogni caso è fresco, quasi troppo vivace per un legume così pacifico e sonnolento.
“s-oia”. Una consonante iniziale che  “S-civola”, dolce, calda, quasi canuta, quella del “S-ole”, dell’”e-S-tate”, del “S-onno”.
Segue poi uno zuccheroso trittico di vocali, “-oia”- quasi da cantilena.
Non c’è dubbia che dalla soia l’energia sia poi regalata, senza limiti: forse è proprio il fatto che la debba serbare in esclusiva per chi se ne ciba che la fa sembrare così addormentata e trattenuta nel suo guscio.
Sicuramente il prezzemolo,secondo il mio gusto, sarebbe  l’equivalente di un ballerino di rap in una casa di riposo: l’abbinamento con un pubblico amante dei suoni sereni  e lievi, poco avvezzo ad un movimento scomposto, sarebbe deleterio per il debole timpano ultra  settantenne. In pratica si sentirebbe solo il sapore verde dell’erbetta e delle percussioni, ma non ci si diletterebbe appieno del calore  giallo della soia e delle altre nonne. Il prezzemolo è adatto ad un  risotto all’olio, senza ambizioni, bisognoso di una sferzata di  colore vivace e di un suono frizzante. Oppure ad un  piatto di pesce di mare, abituato al  movimento freneticamente scatenato dei flutti.

Tortelli tortelli
cosa squisita
voi date la vita;
il mondo non ha
di voi nè averà
conforti più belli
tortelli tortelli

la bietola fresca
le membra rinfresca
salubre rimedio
che leva l'assedio
di mali rubelli,
tortelli tortelli.

Quel cacio, quel pepe
piacevole siepe
gli spirti difende
da strane faccende
da tutti i  flagelli,
tortelli tortelli.

Voi siete così tondi
che rassembrate giusto tanti mondi
la bietola che in mezzo vi serra
raffigura la terra
e quel burro che liquido v'inonda
è l'acqua che dintorno la circonda
e questa pasta è il cielo
ciel smaltato  ( o meraviglie belle)
è di cacio grattato e non di stelle.

la focaccia barese   da "Nè qui nè altrove. Una notte a Bari"  Gianrico Carofiglio
 La focaccia barese si prepara mescolando farina di grano tenero, sale, lievito e acqua. Ne deriva un impastopiuttosto liquido che si versa in una teglia rotonda, si condisce con olio, pomodori freschi, olive e poi si cuoce nel forno a legna. Proprio perchè l'impasto è liquido, i pezzi di pomodoro e le olive sprofondano nella pasta creando e riempiendo dei piccoli crateri morbidi che diventano le parti più buone della focaccia.    Si mangia calda ma non bollente, avvolta in un pezzo di carta da panificio, uscendo da scuola, al mare, per cena o anche per pranzo: veloce, economico e deliziosamente unto.

La focaccia è una delle cose pià buone al mondo. Mi trattengo dal dire che è la più buona per mantenere un minimo di prospettiva e per evita il delirio campanilistico. ci sono quelle sottili e croccanti, quelle alte e soffici, quelle con l'aggiunta delle patate e del rosmarino e molte altre varianti. Anche se la vera  focaccia è quella  con pomodori, olive, bordi bruciacchiati e basta. Va accompagnata, possibilmente, da una bella bottiglia di birra molto fredda. Se poi uno ha proprio voglia di un'incursione nell'alta cucina,  il piacere supremo è la focaccia calda farcita con fette sottilissime di mortadella. La mortadella tagliata sottile, al contatto con la mollica calda e fragrante, sprigiona un profumo che fa impazzire le ghiandole salivari.

A differenza di molte cose buone,che sono scarse e spesso costose, la focaccia, a Bari, si trova ovunque ci sia un panificio. Cioè ovunque, e tutti la possono comprare.
la focaccia, a Bari, è una metafora dell'uguaglianza.

I BIGNE’
Avevo 15 anni e uscivo dal liceo, affamato come solo a quell’età si può essere, senza discernimento, selvaggiamente […] Aprivo il sacchetto senza troppi complimenti, laceravo la plastica e poi allargavo grossolanamente il buco che avevo praticato con impazienza. Infilavo la mano nel sacchetto, non mi piaceva il contatto appiccicoso con lo zucchero che si era incollato alle pareti per via del vapore condensato. Staccavo con cura una bignolina dalle sue simili, me la portavo religiosamente alla bocca e la inghiottivo chiudendo gli occhi. Molte pagine sono state scritte sul primo boccone, sul secondo e il terzo. Sono tutte vere. Ma non riescono a esprimere, se non alla lontana, l’ineffabilità di quella sensazione: lo sfioramento e poi la frantumazione di quella pasta umida in una bocca diventata ormai orgasmica. Lo zucchero imbevuto di acqua non si masticava: si cristallizzava sotto i denti, le sue parti si disgregavano senza opporre resistenza, in armonia, le mandibole non le rompevano, le disperdevano dolcemente, in un indicibile balletto fondente e croccante. Il bigné aderiva alle mucose più intime del mio palato, la sua molle sensualità sposava le guance e la sua indecente elasticità lo compattava immediatamente in una pasta omogenea e cremosa, a cui la dolcezza dello zucchero conferiva una punta di perfezione. Lo ingurgitavo in fretta perché ne avevo altri 19 da scoprire. […] Mi consolava unicamente il pensiero dell’ultima offerta di quel sacchetto divino: i cristalli depositati in fondo in fondo. In mancanza di un bigné a cui aggrapparmi, mi appropriavo anche di quei magici granelli con le dita appiccicose, per terminare il banchetto con un’esplosione zuccherosa.

E per finire, gustiamo cibi in rima

Tutti frutti
Caramelle di frutta,
frutti croccanti,
piccanti, frizzanti,
bonbon rinfrescanti,
ne ho riempito un sacco intero,
forse in sogno, son sincero!
Molto tenere o gommose,
tutte lisce o appiccicose,
scivolose e cristalline,
incartate zuccherine,
ne ho riempito un sacco intero,
forse in sogno, forse è vero!

La caramella mou
Morbida ti sciogli,
ti appiccichi e ti incolli,
ti attacchi ad un dente,
sei anche un po' invadente.
Molle caramella mou,
fondi piano, delicata,
più tenera della cioccolata,
fondi piano, serena,
dolce come un'amarena.
Sei come un dolce frutto,
ti mastico, ti succhio,
e coli dappertutto.

Pane
Pane del grano
fatto farina
t'impasta mano
in pasta fina
in pasta bianca
nel forte fuoco
cresce non stanca
a poco a poco
cuoce piamente
in crosta bruna
odore sente
mollica luna
sa di quel grano
e cose sane
che da lontano
si fanno pane.

Pastasciutta
Nell'acqua cuocendo
fra bolle bollendo
da rigida e dura
di varia fattura
spaghetta cherona
farfalla ditala
conchiglia trenetta
fettuccia fusilla
o sedana o penna
s'è andata mollendo.
E' ardente e al dente
non scotta ma scotta
scolata scrollando
composta nel piatto
condito mucchietto
con pesto con olio
con pepe con aglio
coperta con sugo
con trito di noce
con su del ragù.
La guardo la vaglio
di grana la spargo
l'annuso la voglio
l'infilzo la frugo
la mescolo tutta
la faccio fagotta
l'arrotolo in fretta
l'imbocco veloce
la mastico in pace
la gran pastasciutta

Polenta
Giri e rigiri molto lenta
ben bollente la polenta,
la cuoci fumosa per un'ora quasi,
poi calda gialla giù dalla pentola
su una tavola di legno travasi:
un solo vaporoso che ancora bolle
la vedi diventare, e lo tagli a fette
alte e spesse, ognuna fatta
con due righe di coltello
precise e nette

Filastrocca della cena
La foresta incantata
Dove mi ero smarrita
Era solo insalata
E allora l'ho condita
Il sole è un uovo sodo
Il piatto è una finestra
Le stelle sono in brodo
Il cielo è una minestra

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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