Gottland - Mariusz Szczygiel

>> sabato 30 luglio 2011

Secondo libro letto perchè dovevo valutare anche questo finalista al Premio letterario Giuseppe Acerbi  dedicato quest'anno agli scrittori della Polonia. Sarebbe stato difficile fare peggio dell'altro libro finalista Morte a Breslavia che è proprio pessimo ed in effetti questo si lascia leggere con un certo interesse. L'autore, polacco, racconta la Cecoslovacchia del primo novecento attraverso le storie di alcuni protagonisti minori del mondo produttivo, artistico, letterario del paese. La storia più edificante è quella di Bata, il fondatore dell'omonima azienda di scarpe. Partito come povero ciabattino ha un'intuizione geniale che trasforma una difficoltà in un'oppportunità e da lì, per merito anche della capacità di non scoraggiarsi mai, costruisce un impero. Originali alcune sue prese di posizione come quella di costruire e regalare case agli operai per evitarne la sindacalizzazione. 
Non tutte le storie presenti nel libro sono intriganti come questa. La scrittura poi, forse anche per via della traduzione, non è fluida come si auspicherebbe.


L'acquisto di nuove pelli è fuori dalla loro portata, non sanno nemmeno come pagare quelle vecchie. Antonin viene chiamato alle armi. Anna parte per Vienna, va a servizio. Mentre fissa disperato gli avanzi delle pelli, Tomas ha un'illuminazione che diventerà il principio guida della sua vita: trasformare sempre un difetto in un pregio. Dato che non possono permettersi di comprare le pelli, devono cucire le scarpe impiegando ciò che hanno sottomano: la tela. La tela costa poco, e con la pelle avanzata si possono fare le suole. Cosi Bata inventa il piu grande successo del secolo a venire: scarpe in tela con suole di cuoio. Batovky, è cosi che la gente le chiama. A Vienna, in una sola giornata, raccoglie alcune migliaia di ordinazioni. Grazie alle batovky Tomas costruisce la sua prima piccola fabbrica: in duecento metri quadrati lavorano cinquanta uomini.
[...]
Tomas Bata è sotto shock: tutti i dipendenti della sua fabbrica stanno per essere arruolati nella guerra condotta dalla monarchia austroungarica. Il giorno dopo, mentre fa colazione con caffè e uova al bacon, gli viene un'idea: avrebbe ottenuto, foss'anche con la forza, la commessa per le scarpe militari. Lascia le uova a metà, salta in carrozza e si fa portare di corsa alla stazione ferroviaria di Otrokovice, un paese che confina con Zlin. Solo che il treno è già partito. Senza pensarci due volte compra i cavalli dal cocchiere e gli ordina di inseguire il treno. Gli animali attraversano tre villaggi, uno dopo l'altro, alla velocità di un rapido. Giunti al quarto cedono. Nel giro di sei minuti Tomas compra un'altra carrozza con cavalli. Riesce a raggiungere il treno e poche ore dopo scende a Vienna. È convinto che non bisogna mai arrendersi alla realtà, occorre invece saperla sfruttare abilmente per raggiungere i propri obiettivi. Non passano due giorni che l'affare è concluso: Tomas ottiene una commessa per la fornitura di mezzo milione di paia di scarpe per l'esercito e, in più, la garanzia ufficiale che i suoi operai non saranno chiamati sotto le armi. Gli restano sette minuti alla partenza del treno di ritorno. Intanto una squadra di polizia sta radunando sul piazzale della fabbrica i suoi operai, ritenuti disertori. La vettura sulla quale viaggia Tomas provoca un incidente. Il passeggero schizza fuori e si precipita alla stazione. Salta su un treno che corre verso Brno. Distribuisce il lavoro anche tra operai e calzolai che non sono suoi dipendenti. Persino tra i suoi nemici giurati. Pare che abbia salvato dalla guerra gli uomini di tutto il circondario. Verso la fine del conflitto, malgrado la crisi, Tomas Bata avrà circa cinquemila operai che producono diecimila paia di scarponi militari al giorno.
[...]
Quando avrà ottantotto anni chiederò alla sua segretaria americana se posso fargli qualche domanda. "Si," risponderà. "Preferibilmente una sola e che sia importante".
Scrivo un' email: "Egregio Signor Bata, come si deve vivere?"
"Bisogna impegnarsi nello studio," risponde il signor Tomik. "Guardarsi intorno con occhi ben aperti. Imparare dai propri sbagli e non ricadere negli stessi errori. Lavorare con onestà e non guardare soltanto al tornaconto personale. Non dovrebbe essere poi tanto
difficile".
[...]
Bata è affascinato dalla numerazione. Le vie portano per esempio i nomi: Zaldna I, Zaldna II, Zaldna III, e via di questo passo fino a Zaldna XII. Quelle più numerose portano il nome di Podvesna, ce ne sono ben diciassette. Jan bandisce un concorso internazionale per la progettazione di unità abitative per famiglie operaie. Vince il progetto di uno svedese, Erich Svedlund. Case bifamigliari. L'affitto settimanale equivarrà a due sole ore di lavoro.
"Quando diventa proprietario di una casa, l'operaio compie una metamorfosi totale," spiega Jan ai dirigenti. In Occidente la borghesia illuminata porta avanti queste idee ormai da quarant'anni. Il possesso di una casetta con giardino fa dell' operaio un autentico capofamiglia degno di questo nome. Lo trasforma in un uomo avveduto e giudizioso. Nasce in lui l'attaccamento al luogo in cui vive, e i suoi famigliari gli danno ascolto. È opinione comune inoltre che, allontanato dagli alloggi collettivi tipo caserma condivisi con altre famiglie, e chiuso nella propria casa di proprietà, l'operaio finisca giocoforza per voltare le spalle alle rivendicazioni collettive e al sindacalismo. Le casette sono moderniste ed egualitarie. Alte cinque metri (quindi basse), a forma di cubo, in mattoni rossi. Uno stile senza radici. La gente le chiama svedlundy. Al pianoterra ogni famiglia dispone di diciotto metri quadri: un soggiorno, un angolo cottura, un bagno; al piano di sopra altri diciotto metri: le stanze da letto. Grazie a Dio ci sono dei piccoli giardinetti annessi.
"Abitare qui è un supplizio," mi dirà, sessantasette anni dopo, Jifina Pokorna di via Bradi Sousedikti, la moglie di un elettricista cresciuto nella scuola di Bata. Ha settant'anni ormai. "Vede, tra non molto mi toccherà passare a miglior vita, sicuramente ce l'ho scritto in faccia, eppure non ho mai avuto una cucina normale, insomma, non sarà mica una cucina quell'angolo di un metro quadrato e mezzo nell'ingresso?" sbotta infine. "Ma perché è tanto piccola?" le chiedo. "Be', facevano di tutto perché la gente passasse meno tempo possibile dentro casa!"
[...]
Dovranno passare ancora undici anni prima che lo scrittore britannico Orwell dia alle stampe le regole di vita sotto l'occhio del Grande Fratello, ma Jan precorre i tempi della letteratura mondiale. Gli viene l'idea di realizzare una cosa inedita: una stanza mobile per tenere d'occhio gli impiegati. Detto, fatto. Installa il suo ufficio in un ascensore a vetri che scivola tra i piani del grattacielo. (Cabina 5x5 metri, lavandino con acqua calda, radio, climatizzazione). Non ha bisogno di uscire dall'ascensore, non deve andare su e giil per le scale. Il suo ufficio si ferma per esempio al tredicesimo piano, la parete scorrevole si apre e cosi, dalla sua sala del trono mobile, Jan Antonin Bata può vedere i suoi dipendenti al lavoro. Sostiene che è anche per il loro bene: possono infatti raggiungere il loro principale senza impiegare troppo tempo. In caso di bisogno, in pochi istanti il suo ufficio può materializzarsi a un piano diverso.
[...]
All'indomani dell' annessione dell' Austria al Terzo Reich, avendo un vago presentimento dell'amaro destino riservato dalla sorte alla Cecoslovacchia, Jan si sveglia con un'idea. Di 1ì a poco sarebbe iniziata l'epoca largamente preannunciata del "concerto delle potenze".
Persino a Varsavia si ritiene che la Cecoslovacchia sia un' entità artefatta, destinata a scomparire. Su Zlin, il quotidiano di sua proprietà, Jan Antonin Bata prospetta l'idea che gli è venuta al risveglio, vale a dire: trapiantare la Cecoslovacchia in Sud America.
"Il Brasile, che occupa una superficie grande quanto l'intera Europa, ha in tutto 44 milioni di cittadini. L'Europa ne conta 480 milioni. Per quale ragione impuntarsi a cercare un terreno di sviluppo in quest'Europa già fin troppo affollata? Perché non laggiù invece? Ci conviene sloggiare. L'ultima guerra è costata al mondo 8 bilioni di corone cecoslovacche. Il trasferimento di 10 milioni di persone in Sud America verrebbe a costare soltanto 14 miliardi di corone. Peraltro con soli 140 miliardi i nuovi arrivati potrebbero mettere su delle gran belle fattorie. C'è forse un buon motivo per fare una cosa tanto stupida, e rovinosa per l'umanità, qual'è la guerra? Anche la Patagonia, nel Sud dell'Argentina, farebbe perfettamente al caso nostro". Bata si aspetta che ai tedeschi la sua idea vada a genio. In fin dei conti dovrebbero pur provare un po' di sollievo nel vedere i cechi sgomberare. Dopo la guerra, nella Cecoslovacchia comunista questo sarà il cavallo di battaglia dell'accusa nel processo a Bata per tradimento della patria. "Però una nazione e la sua cultura sono strettamente legate al luogo d'origine," si sente dire da ogni parte. "Al diavolo la cultura, quando in guerra vengono ammazzati i bambini!" rimbecca Jan.

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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