Né qui né altrove una notte a Bari, Gianrico Carofiglio
>> martedì 2 giugno 2009
Difficilmente riusciamo ad accorgerci di un momento felice mentre lo stiamo vivendo. Ricorriamo spesso ai ricordi (e ai rimpianti). Una rimpatriata di amici che non si vedevano da anni è l’occasione per rivivere momenti passati e ripercorrere con la memoria luoghi che con il tempo hanno cambiato usi e destinazioni. Il libro sarebbe stato nostalgicamente superficiale se un finale inaspettato non ci ricordasse che dietro l’apparenza spesso si nascondono conflitti irrisolti o eventi dolorosi. Per chi è originario di Bari (e magari ha lasciato la città da anni) il valore dell’opera raddoppia perché si rivedono i luoghi e i riti e si fissano i punti dell’identità collettiva: alla focaccia e ai mitili crudi, aggiungerei gli allievi, la zampina, i panzerotti.
La focaccia barese si prepara mescolando farina di grano tenero, sale, lievito e acqua. Ne deriva un impasto liquido che si versa in una teglia rotonda, si condisce con olio, pomodori freschi, olive e poi si cuoce nel forno a legna. Proprio perché l’impasto è liquido, i pezzi di pomodoro e le olive sprofondano nella pasta, creando e riempiendo dei piccoli crateri morbidi che diventano le parti più buone della focaccia. Si mangia calda ma non bollente, avvolta in un pezzo di carta da panificio, uscendo da scuola, al mare, per cena o anche per pranzo (…) la vera focaccia è quella con pomodori, olive, bordi bruciacchiati e basta. Va accompagnata, possibilmente, da una bella bottiglia di birra molto fredda. Se poi uno ha proprio voglia di un’incursione nell’alta cucina, il piacere supremo è la focaccia calda farcita con fette sottilissime di mortadella. La mortadella tagliata sottile, al contatto con la mollica calda e fragrante, sprigiona un profumo che fa impazzire le ghiandole salivari. A differenza di molte cose buone, che sono scarse e spesso costose, la focaccia, a Bari, si trova ovunque ci sia un panificio. Cioè ovunque, e tutti se la possono comprare. La focaccia a Bari è una metafora dell’uguaglianza e uno dei pochi simboli (fra questi, degni di nota anche le cozze crude), in cui i baresi riconoscono la loro identità collettiva.
La focaccia barese si prepara mescolando farina di grano tenero, sale, lievito e acqua. Ne deriva un impasto liquido che si versa in una teglia rotonda, si condisce con olio, pomodori freschi, olive e poi si cuoce nel forno a legna. Proprio perché l’impasto è liquido, i pezzi di pomodoro e le olive sprofondano nella pasta, creando e riempiendo dei piccoli crateri morbidi che diventano le parti più buone della focaccia. Si mangia calda ma non bollente, avvolta in un pezzo di carta da panificio, uscendo da scuola, al mare, per cena o anche per pranzo (…) la vera focaccia è quella con pomodori, olive, bordi bruciacchiati e basta. Va accompagnata, possibilmente, da una bella bottiglia di birra molto fredda. Se poi uno ha proprio voglia di un’incursione nell’alta cucina, il piacere supremo è la focaccia calda farcita con fette sottilissime di mortadella. La mortadella tagliata sottile, al contatto con la mollica calda e fragrante, sprigiona un profumo che fa impazzire le ghiandole salivari. A differenza di molte cose buone, che sono scarse e spesso costose, la focaccia, a Bari, si trova ovunque ci sia un panificio. Cioè ovunque, e tutti se la possono comprare. La focaccia a Bari è una metafora dell’uguaglianza e uno dei pochi simboli (fra questi, degni di nota anche le cozze crude), in cui i baresi riconoscono la loro identità collettiva.
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