Il mito di Medea, la madre che uccise i propri figli, sembra sia stato costruito su un inganno storico organizzato dai veri colpevoli, gli abitanti di Corinto. Nel libro la verità emerge dal racconto dei protagonisti che esprimono il proprio punto di vista con monologhi indipendenti l’uno dall’altro. Interessante la figura di Medea, una donna a suo modo moderna, orgogliosa, intelligente, indipendente. Fugge dalla sua terra quando scopre che il potere si regge sul crimine e approda suo malgrado presso un altro popolo che è soggetto alle stesse regole, pur vantando un’immagine più civile. Il personaggio più riuscito comunque mi sembra Agameda, ex allieva di Medea a cui è legata da un rapporto di amore e odio. Astuta, invidiosa, pronta a tutto per raggiungere i suoi obiettivi Agameda è il riassunto più letale della cattiveria umana. Riporto i passi più significativi del suo monologo.
Non riuscivano a credere che persino il palazzo del re potesse essere di legno, e mi compativano e quanto più mi compativano tanto più mi pagavano e tanto più riuscivano ad apprezzare il loro modo di vivere, lo scoprii rapidamente, rapidamente ebbi i vestiti che desideravo e i cibi, a cui feci l’abitudine come ai pesanti vini dolci che si devono qui. Presbo, che da un pezzo celebra i suoi trionfi con le rappresentazioni che organizza per i corinzi, Presbo mi ha raccomandata ai suoi amici. E ora che l’astro di Medea sta tramontando, che io sto diventando di moda a palazzo, come dice Presbo, ora quando torno a casa dopo la visita ad un ammalato, a volte mi trovo in tasca un monile. Un anello, una collana. Ancora non li indosso, Presbo mi ha sconsigliato di farlo. Non bisogna provocare l’invidia. Lui, Presbo, non mi invidia, non sono una rivale per lui, gli fa comodo non essere l’unico colco in onore a Corinto. Prima non mi degnava di uno sguardo, non appartenevo al genere di donne che lo attraggono, esse devono essere belle e a lui sottomesse, io non sono nessuna delle due cose, lo so. Ma, mi sembra, ora mi guarda con una specie di meraviglia che può prendere il posto del desiderio. Che può diventare desiderio. Se c’è una cosa che so sulla singolarità del desiderio maschile, è questa, e ne ho la prova fin troppo spesso.
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Anch’io voglio influenzare il destino altrui, ne sono capace quanto lui, e non c’è piacere più grande di quello che mi avvampa dentro quando suggerisco ad altri, in modo che li senta come propri, i miei pensieri e le mie intenzioni.
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Allora dissi che se una persona si comportava in modo così perfetto e irreprensibile come Medea, voleva dire che da qualche parte c’era del marcio. Che aveva certo qualcosa da nascondere. Che certamente voleva evitare, rendendo sporca la coscienza altrui, che qualcuno guardasse dietro il bel velo dentro cui si era avvolta. Lui, Acamante lo sapeva bene.
Acamante tacque. Poi disse a Presbo: mi hai portato una bambina saggia. Forse un po’ troppo saggia, non trovi? Ma si continuava a tergiversare. Allora passai a ciò che, l’ho sperimentato tante volte, fa effetto su ogni uomo: lo lusingai spudoratamente. Non ero più saggia di altri, dissi, e certo non saggia quanto lui. Ma certe volte la fortuna mi concedeva di mostrare a qualcuno a cui tenevo la sua saggezza.
Da quella volta Presbo mi ammira senza misura. Credo che dopo di allora per un lungo periodo non abbia osato venire a letto con me perché si sentiva inferiore. E perché non voleva rompere le uova nel paniere ad Acamante. Perché è risaputo che, dalla sera in cui abbiamo concertato certi piani, è con costrui che passo la notte. Ebbene si. Un uomo forse non può brillare in tutti i campi, né io ci tengo particolarmente. Mi risce facile dargli la sensazione di essere un amante ineguagliabile. Niente potrebbe procurarmi un eccitazione maggiore di quella di giacere con l’uomo più potente e più saggio di questa città.
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