Il decano, Lars Gustafsson
>> martedì 25 agosto 2009
Romanzo costruito sul rapporto tra un oscuro decano di un’università statunitense e un suo assistente professore, che narra le vicende ex post, attraverso un manoscritto ritrovato danneggiato in alcune sue parti. Thriller non molto consistente, è interessante per alcune descrizioni e considerazioni filosofiche.
Il nulla aveva in sé qualcosa di spaventoso, qualcosa che turbava e inquietava i miei giovani sensi. Discutevamo alcune delle difficoltà che gli antichi romani e altri popoli avevano avuto perché non avevano mai imparato ad usare lo zero, con l’insieme vuoto. E Ingram mi spiegava quale straordinario passo avanti nella comprensione delle relazioni matematiche si compì quando gli arabi alla fine arrivarono con il loro sifr, lo zero. Un segno che nell’arabo non aveva ancora l’aspetto di zero ma somigliava piuttosto a un uno, ma che a ben vedere era l’unica cosa non banale di tutta la matematica. Cosa c’era infatti di più banale di tutti quegli assiomi che trattavano solo di serie di numeri e di addizione e sottrazione e che, fatti i primi passi, sembravano creare un mondo intero?
Che si potesse ottenere così tanto con mezzi così esigui, quasi banali! Quanto più complicati della matematica non erano in realtà la poesia, la pittura, l’amore e l’odio: il ricco mondo dei sentimenti umani!
Tuttavia, continuava Ingram senza aspettare di sentire se lo seguivo (forse in effetti non era tanto a me che parlava), tuttavia non si dovrebbe dimenticare che anche la matematica ha una sua sfera di libertà, che anch’essa è creata, più che data.
Come sappiamo, per esempio che uno per uno fa uno? Dimmi, ragazzo, come facciamo a dimostrarlo?
Non lo so, rispondevo. Nella mia ingenuità. Dovrà pur esserci una prova?
Non lo possiamo dimostrare. Allora è un assioma? Esatto! E’ un assioma e come tale del tutto arbitrario. Che cosa credi che succeda se lo modifichiamo e invece ne introduciamo un altro: che uno per uno fa due? (…) tale assioma in realtà modificherebbe soltanto una cosa nel sistema numerico, ma di importanza fondamentale: la cosiddetta individuazione dei fattori primi di un numero. Questo fatto straordinario che un numero si poteva scomporre in un modo e uno soltanto nei suoi fattori primi, cosa che conferiva ai numeri una sorta di unicità, o di individualità si potrebbe addirittura dire, che li distingueva uno dall’altro in modo non permutabile. Ora andrebbe perduta, e i numeri annegherebbero per così dire nelle proprie ombre in una sorta di anonimo mormorio.
Il nulla aveva in sé qualcosa di spaventoso, qualcosa che turbava e inquietava i miei giovani sensi. Discutevamo alcune delle difficoltà che gli antichi romani e altri popoli avevano avuto perché non avevano mai imparato ad usare lo zero, con l’insieme vuoto. E Ingram mi spiegava quale straordinario passo avanti nella comprensione delle relazioni matematiche si compì quando gli arabi alla fine arrivarono con il loro sifr, lo zero. Un segno che nell’arabo non aveva ancora l’aspetto di zero ma somigliava piuttosto a un uno, ma che a ben vedere era l’unica cosa non banale di tutta la matematica. Cosa c’era infatti di più banale di tutti quegli assiomi che trattavano solo di serie di numeri e di addizione e sottrazione e che, fatti i primi passi, sembravano creare un mondo intero?
Che si potesse ottenere così tanto con mezzi così esigui, quasi banali! Quanto più complicati della matematica non erano in realtà la poesia, la pittura, l’amore e l’odio: il ricco mondo dei sentimenti umani!
Tuttavia, continuava Ingram senza aspettare di sentire se lo seguivo (forse in effetti non era tanto a me che parlava), tuttavia non si dovrebbe dimenticare che anche la matematica ha una sua sfera di libertà, che anch’essa è creata, più che data.
Come sappiamo, per esempio che uno per uno fa uno? Dimmi, ragazzo, come facciamo a dimostrarlo?
Non lo so, rispondevo. Nella mia ingenuità. Dovrà pur esserci una prova?
Non lo possiamo dimostrare. Allora è un assioma? Esatto! E’ un assioma e come tale del tutto arbitrario. Che cosa credi che succeda se lo modifichiamo e invece ne introduciamo un altro: che uno per uno fa due? (…) tale assioma in realtà modificherebbe soltanto una cosa nel sistema numerico, ma di importanza fondamentale: la cosiddetta individuazione dei fattori primi di un numero. Questo fatto straordinario che un numero si poteva scomporre in un modo e uno soltanto nei suoi fattori primi, cosa che conferiva ai numeri una sorta di unicità, o di individualità si potrebbe addirittura dire, che li distingueva uno dall’altro in modo non permutabile. Ora andrebbe perduta, e i numeri annegherebbero per così dire nelle proprie ombre in una sorta di anonimo mormorio.
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