Baciami ancora forestiero, Pedro Lemebel
>> domenica 12 luglio 2009
E’ una raccolta di impressioni, immagini, evocazioni di eventi autobiografici. Merita per alcuni passaggi in cui il linguaggio sembra uno slalom tra parole che in maniera inaspettata e stupefacente trovano il loro posto perfetto una dietro l’altra. E a tratti la prosa si trasformano in poesia.
Come se fosse in potere di una certa lama suddividere in una geometria di solchi i profili innevati delle Ande. Una sorta di autopsia della cordigliera, la spartizione dell’innocente nave spaccio carica di nevodollari, spedita dal narcotraffico presso la nostra costa. Il nostro mare che placido si lascia penetrare dal rigor mortis della dea bianca. La cocaina è una dama di ghiaccio con guanti di seta e cucchiano d’argento, fedele accompagnatrice dei caporioni internazionali che a Santiago non trovano la suite con eliporto, jacuzzi, palme di giada, pavimenti di madreperla e un brunetto d’ebano (con brufoli) per divorargli il pisello.
Cose così, eccentricità e fantasie di leopardo, richiamano l’attenzione in questo Paese abituato alla sciatteria stropicciata dei vestiti americani e al Taiwan fosforescente dei mercati delle pulci. Tutt’al più, un’orchidea sintetica sulla falda del ragazzo under, che scivolò sul raso bianco delle sue notti trafficanti a piazza Italia. (…)
La dea non ha etica, il suo itinerario è demarcato dall’andirivieni del potere. Una banconota in dollari la può trasportare sotto la spallina di un’uniforme militare, come nel fazzoletto che adorna il vestito di un parlamentare, che si spara la sua sniffata in un angolo del Congresso, per reggere i faticosi dibattiti delle leggi antidroga. La dea non ha neppure un cuore, il suo bacio è uno sfregamento nasalesu labbra di marmo. Giusto l’impulso di un secondo in cui la polvere ti dà l’amaro in bocca e tutto ricomincia, addio alla stanchezza della veglia. Come se un corpo di scorta ti sostituisse nell’elettricità dello sballo. (…)
Domani è sempre un altro giorno, un grande abisso di nessuno stimolo. Una nausea pallida che corona il crollo del tirar mattina. Perché la cartina umettata e perfetta non regge più l’identità fittizia che brillava ieri notte sulla striscia di gesso divisa tra amici. Non c’è spinello che tenga per superare il disgusto di vivere dipendenti da una felicità in grammi, una felicità sgocciolata dalla pioggia dell’arcobaleno traditore. Fuori, la città alimenta la depressione con la sua aria di piombo. La città si innalza in torri d’alluminio e alberghi stellati per la fantasia del passante, che osserva a bocca aperta il cielo frantumato negli specchi delle camere vuote. (…)
Alla fine, la visita della dama bianca lascia sempre un eccesso di disgrazia, soprattutto in questa democrazia, che è una tortilla del piacere neoliberale cucinata sulle braci minoritarie. Insomma, nevica solo nei quartieri alti e i fiocchi sporadici che cadono in periferia massacrano gli uccellini.
Come se fosse in potere di una certa lama suddividere in una geometria di solchi i profili innevati delle Ande. Una sorta di autopsia della cordigliera, la spartizione dell’innocente nave spaccio carica di nevodollari, spedita dal narcotraffico presso la nostra costa. Il nostro mare che placido si lascia penetrare dal rigor mortis della dea bianca. La cocaina è una dama di ghiaccio con guanti di seta e cucchiano d’argento, fedele accompagnatrice dei caporioni internazionali che a Santiago non trovano la suite con eliporto, jacuzzi, palme di giada, pavimenti di madreperla e un brunetto d’ebano (con brufoli) per divorargli il pisello.
Cose così, eccentricità e fantasie di leopardo, richiamano l’attenzione in questo Paese abituato alla sciatteria stropicciata dei vestiti americani e al Taiwan fosforescente dei mercati delle pulci. Tutt’al più, un’orchidea sintetica sulla falda del ragazzo under, che scivolò sul raso bianco delle sue notti trafficanti a piazza Italia. (…)
La dea non ha etica, il suo itinerario è demarcato dall’andirivieni del potere. Una banconota in dollari la può trasportare sotto la spallina di un’uniforme militare, come nel fazzoletto che adorna il vestito di un parlamentare, che si spara la sua sniffata in un angolo del Congresso, per reggere i faticosi dibattiti delle leggi antidroga. La dea non ha neppure un cuore, il suo bacio è uno sfregamento nasalesu labbra di marmo. Giusto l’impulso di un secondo in cui la polvere ti dà l’amaro in bocca e tutto ricomincia, addio alla stanchezza della veglia. Come se un corpo di scorta ti sostituisse nell’elettricità dello sballo. (…)
Domani è sempre un altro giorno, un grande abisso di nessuno stimolo. Una nausea pallida che corona il crollo del tirar mattina. Perché la cartina umettata e perfetta non regge più l’identità fittizia che brillava ieri notte sulla striscia di gesso divisa tra amici. Non c’è spinello che tenga per superare il disgusto di vivere dipendenti da una felicità in grammi, una felicità sgocciolata dalla pioggia dell’arcobaleno traditore. Fuori, la città alimenta la depressione con la sua aria di piombo. La città si innalza in torri d’alluminio e alberghi stellati per la fantasia del passante, che osserva a bocca aperta il cielo frantumato negli specchi delle camere vuote. (…)
Alla fine, la visita della dama bianca lascia sempre un eccesso di disgrazia, soprattutto in questa democrazia, che è una tortilla del piacere neoliberale cucinata sulle braci minoritarie. Insomma, nevica solo nei quartieri alti e i fiocchi sporadici che cadono in periferia massacrano gli uccellini.
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