In nome della madre - Erri De Luca

>> domenica 29 maggio 2011

Poche pagine ma intense. Questo in sintesi il libro In nome della madre che lo scrittore napoletano dedica alla Natività ed in particolare ai giorni che vanno dal concepimento alla nascita del bambino. Il punto di vista è quello di Miriam (Maria) ed è impressionante come l'autore riesca a calarsi nelle vesti di una figura femminile nel momento più importante della sua vita.
Le parti che mi sono piaciute di più sono quelle che fanno emergere il personaggio di Iosef (Giuseppe) che è sempre ai margini della Storia ufficiale ed è trascurato dalla letteratura. Eppure è un esempio notevole per come affronta le difficoltà nell'accettare un figlio non suo, in un contesto incredulo, ostile, carico di critiche velenose, supportato dall'unica cosa che ha: la fiducia e l'amore per la sua promessa moglie.

Il mio Iosef, bello e compatto da baciarsi le dita, si stringeva le braccia contro il corpo, cercava di tenersi fermo, ripiegato come col mal di pancia. La notizia per lui era una tromba d’aria che scoperchiava il tetto. Tentava un riparo con il corpo, smarrito in faccia, i muscoli che saltavano fuori dalle braccia. Si proteggeva il ventre teso e magro, non si permetteva di toccarmi, di scuotere la mia calma così opposta al suo sgomento, senza poter fingere un po’ di agitazione.
Ero in piedi, schiena dritta, un’agilità nuova mi dava slancio, mi accorgevo di essere più alta e più leggera precisamente al centro del corpo, sotto le costole nell’ansa del ventre. Là dove lui accusava il colpo e il peso coi muscoli contratti di un atleta sotto sforzo, io ricevevo una spinta dal basso verso l’alto da aver voglia di mettermi a saltare. I suoi capelli a ciuffi scossi sbattevano sulla fronte chiara, ballavano davanti agli occhi. Glieli misi in ordine con un paio di carezze svelte. Nel suo scompiglio era ancora più bello.
Quella notte parlammo fino all’alba. Iosef disse: “Miriàm, aspetterò la nascita di tuo figlio per toccarti. Aspetterò che si compiano i tuoi giorni. Non profanerò con la mia carne il tuo grembo riempito con l’annuncio”. Gli chiesi se questo era un ordine dell’angelo, rispose di no, questa era la sua volontà. “E’ anche figlio tuo, Iosef, hai difeso la sua vita. E’ figlio tuo due volte perché hai dato anche alla madre una seconda vita.” “E’ figlio tuo, Miriàm, ma per il mondo io sarò suo padre. Lo scriverò a mio nome, sarà nella discendenza della stirpe di Giuda, quarto figlio di Giacobbe-Israele. Sarà messo nell’elenco che passa per Davide mio antenato. Gli racconterò la storia della  mia famiglia, gli insegnerò il mestiere. Non temere, Miriàm, sarò suo padre, ma lui è tuo.”
E se fosse una femmina, come diceva la maligna alle spalle? Pensai questo pensiero così per gioco senza pronunciarlo. Il grembo si mosse con due colpi, due scatti, la creatura si rigirò. Se ne accorse anche Iosef che mi stava vicino. “Si agita?” “Altro che, mi ha dato un paio di calci belli secchi e decisi. Si vede che me li sono meritati.”
Sa i miei pensieri. E’ un maschio e mi rimprovera. Occupa tutto i mio spazio, non solo quello del grembo. Sta nei miei pensieri, nel mio respiro, odora il mondo attraverso il mio naso. Sta in tutte le fibre del mio corpo. Quando uscirà mi svuoterà, mi lascerà vuota come un guscio di noce. Vorrei che non nascesse mai. Arrivò un altro calcio, però più gentile.
[...]
Al mattino riunì la famiglia e dichiarò la sua decisione; sposava Miriàm alla data prevista di settembre, anche se era incinta. Sotto la tenda della cerimonia si sarebbe vista la mia gravidanza.
Non ascoltò ragioni. Fu uno scandalo. Il villaggio era contro di lui.
“Si è fatto abbindolare da Miriàm, gli ha rifilato chissà che storia e lui se l’è bevuta.”
“Iosef è un ingenuo.”
“Iosef non è un uomo.”
“Iosef ha infranto la legge.”
“Non ha neanche fatto ricorso alla legge delle gelosie. Poteva almeno farle bere l’acqua amara davanti al sacerdote.”
“E perché? Non è geloso, se la tiene così, piena di un altro.”
“Ma sì, non è dei nostri, non è un Galileo, è uno della stirpe di Giuda, è un betlemmita. Se ne tornasse là con la sua adultera e il bastardo.”
Grandinavano insulti sulle sue spalle. Si stava facendo lapidare al posto mio. E io non potevo stargli vicino, baciargli le mani, farlo sorridere, perché sorrideva sempre al mio sorriso.
Dovette lasciare la bottega di falegname dov’era il primo aiutante. Ne aprì una sua minuscola con pochi attrezzi presi a credito. Ma era il più bravo tagliatore e la gente doveva per forza rivolgersi a lui. Non parlava con i clienti perché nessuno voleva parlare con lui, solo la breve trattativa sul prezzo e la consegna.
Al sabato alla casa di preghiera sedevamo nei settori separati degli uomini e delle donne ed eravamo isolati. Dovevamo aspettare. Intanto era tempo di mietitura e in molti avevano bisogno di arnesi nuovi. Iosef lavorava molto, i manici delle sue falci erano i migliori. Intorno a lui il silenzio cominciò a cedere, i primi saluti in piazza, i complimenti per la qualità dei suoi legni. Rispondeva senza orgoglio e senza la cordialità di prima.
[…]
Le donne di Nazaret mi guardavano la pancia.
“La svergognata gliel’ha data a bere, ma con noi non la spunta.”
“Guardate che aria da santarella.”
“Voglio proprio vedere a chi somiglia il bastardo che porta nella pancia.”
“Che frottola ha detto? Quella del salvatore, figlio dell’angelo? Sai che risate se nasce femmina.”
Le donne sputavano dietro il mio passaggio. Uscivo per la funzione del sabato. Ai loro insulti tiravo più dritta la schiena, più in fuori la pancia. Dicevo a bassa voce e per scongiuro: “Lo stesso pure a voi, benedizione per benedizione”. Avevo paura del loro malocchio.
Però ero felice. Essere piena, crescere come la luna, contare le settimane come per il travaso del vino, non avere il ciclo, tutto era una purezza che mi ubriacava di gioia. Di notte scostavo la tenda e respiravo il vento del cielo.

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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