Gruppo Lettori di Castiglione: foto di gruppo
>> martedì 24 maggio 2011
Si è riunito stasera il Gruppo Lettori: questa la foto di gruppo. Non ci sono io perchè dietro la macchina fotografica :-(
Pubblico di seguito i racconti breve di Linda e di Franca
Linda - Il Parco
E’ sul far della sera che nei torridi giorni estivi arriva dal lago una brezza leggera a restituire agli alberi vita e respiro. Il vento si insinua tra le foglie con bisbigli e mormorii, e i rami si distendono a saziarsi di quel refrigerio che per tutto il giorno hanno ceduto, donando ombra e frescura.
E’ un parco piccolo, una piccola oasi tra strade trafficate e un grattacielo, ma chi l’ha fatto nascere ha scelto con cura le piante che ora svettano contro l’azzurro del cielo.
Imponenti cedri dalle lunghe braccia cinerine si affiancano a monumentali aceri, a pini che si contorcono in bizzarre forme animali, ad aromatiche tuie, ad una regale magnolia……
C’è persino una pseudo sequoia che, a dispetto dell’età e dell’altezza, si riveste di tenere foglioline verdi, e un meraviglioso faggio pendulo che protende fino a terra i suoi leggeri lunghissimi rami, cortine vegetali che, dondolando al respiro dell’aria, delimitano un ampio, misterioso, accogliente rifugio.
D’improvviso un semplice foglio di carta stabilisce di cancellare tutto: la pace, i profumi, le gamme dei verdi, il soffice prato,l’ombra e la luce riposanti.
Proprio qui, dove la natura così fecondamente lavora, si vogliono costruire dei parcheggi.
Diamine, in ossequio al progresso, bisogna ben espandersi, costruire uffici, negozi, botteghe, strade, comprare, vendere, avere di più, sempre di più.
Così arrivano i boscaioli; nell’aria che aspira gli ultimi profumi risuonano colpi d’ascia, stridii di seghe, urla, tonfi, crepitii, scoppi rombi di trattori, ruspe, camion.
La terra si lacera: da cumuli rossastri, coperti di foglie di un autunno precoce, escono grosse radici contorte. Tutto è cambiato; restano auto, asfalto, cemento.
Per fortuna la storia può vantare un finale diverso.
Occhi attenti snidano il documento che dà il via ai lavori da un plico di carte entro cui per caso o disegno era celato.
Mamme, papà, ragazzi, bimbi, nonni, troppo spesso condiscendenti, stavolta si oppongono con determinazione alla perdita dei loro compagni di viaggi: tra i loro rami sono ancora sospesi voci di bimbi, sogni, desideri, speranze, segreti, e nella linfa che li percorre si possono ancora trovare lacrime di gioia o dolore.
In breve cortei, slogan, cartelloni colorano tronchi e viali; proteste e progetti rinsaldano e formano nuove amicizie
A malincuore, molto a malincuore i progetti per il parcheggio vengono accantonati, almeno per ora , e gli alberi taciti e saggi potranno continuare a vegliare sulle nostre vite.
Chissà, forse sarà proprio la bellezza a salvare il mondo.
Franca
La mattina all’alba del 5 agosto del 1938, il fatidico sì.
L’aveva sognato ed atteso quel giorno. Con quel giovin signore sempre elegante e dongiovanni, bastone da passeggio, orologio nel taschino, gilet e giacca con camicie inamidate e gemelli d’oro, curato e coccolato da una madre che degli otto figli prediligeva lui, il figlio ingegnere, che a sua volta l’adorava e calmava i suoi nervi tesi e malati.
Scendeva dalla villa, e in fondo allo stradello esitava davanti alla sua bottega, qualche volta si fermava e sbirciava dentro; solo se vedeva lei e il suo sorriso si avventurava sulla soglia tra il chiaro scuro, ma se incrociava il viso ostile della sorella “capa”, che reggeva la numerosa famiglia dopo la morte improvvisa del padre, se ne fuggiva furtivo e indifferente.
In quell’incrocio di sguardi e di sorrisi nasceva il loro piacere reciproco. Ma lei non si sentiva all’altezza: in terza elementare, a nove anni, aveva dovuto smettere di andare a scuola, per dare una mano in bottega. Dopo la morte del padre, Concetta, la sorella diciannovenne, prese in mano le redini: tre sorelle e due fratelli subito a lavorare per tirare avanti la bottega; solo due mancavano all’appello: Lucia, la sorella troppo piccola e già debole di salute e Angelo ancora a balia.
Su alla villa negli agi viveva la famiglia di lui, gente bene, stimata in paese e nell’imprenditoria locale.
Difficile far digerire una scelta di così bassa condizione a una madre che sognava per il figlio prediletto un matrimonio d’alto rango.
Ma lei non si lasciava intimorire né da Concetta sempre ostile al “bel signorino”, con troppe morose e troppe promesse di matrimonio in giro, e un po’ alla volta neanche dalla considerazione del suo “basso ceto”.
Perché di bassa condizione? – si diceva- la mia famiglia con dignità si è sollevata dalla disgrazia, le mie sorelle sono orgogliose di aver mandato avanti la bottega di non aver chiesto aiuti di nessun tipo, siamo fiere della nostra condizione, addirittura abbiamo anche la possibilità di fare credito ai numerosi poveri di questo paese di pietre.
Con questa nuova consapevolezza il suo sguardo verso il “giovin signore” cominciò ad essere meno timoroso, più accondiscendente; da lì fu pronta ad accettare appuntamenti segreti con la complicità della sorella Gina, la sua preferita e confidente.
Lui temporeggiava: avanzava sempre nuove scuse: la delusione che avrebbe dato all’amata madre, l’ufficio che aveva appena aperto per lavorare in proprio e che l’aveva indebitato, il lavoro che scarseggiava e che non sembrava avere molte prospettive in un paese di povera gente senza mezzi e costretta ad emigrare. Ma lei non demordeva, era caparbia, la forza del suo carattere, si diceva spesso, stava nella sua chioma di capelli nerissimi e folti, che lei amava lisciare e pettinare, e tirare per costringerli tutti in una nera crocchia. Anche la sua bellezza, si diceva, oltre che nel personale slanciato ( lei era più alta di lui) stava in quei lucidi capelli.
Primo finale
E così giunse il giorno da lei tanto celebrato e raccontato nella sua mitologia famigliare.
All’alba dunque del 5 agosto ( era la madonna della neve) del 1938, perché lei doveva, quel giorno stesso, riprendere il duro lavoro della bottega, per non lasciare tutto il daffare alla “musona “ sorella Concetta, che non si era neanche degnata di partecipare alla cerimonia, e che doveva sbrigare da sola le incombenze del negozio, dato che le altre due sorelle si erano già sistemate con il suo beneplacito. I rimandi del “bel signorino” a Concetta, no, non erano piaciuti.
Ma il viaggio di nozze tra le bellissime vette dell’Alto Adige, ancora imbiancate in agosto, era un ricordo vivo e pulsante che lei rievocava con la passione e il desiderio dei suoi anni d’amore.
Secondo Finale
Arrivò il momento in cui cominciò a rendersi conto che le sue continue fughe e i suoi cedimenti, a cui lui la costringeva e che a lei non dispiacevano, avevano causato l’indesiderato ospite che già si muoveva in lei. Fu una tempesta di improperi e di insulti, sguardi di disprezzo, il disonore della famiglia, nemmeno la fuga in città presso la sorella Gina le valse a calmare le acque.
Finché… decisa, un giorno prese lo stradello in salita e arrivò alla villa.
Il 5 agosto del 1939 alle ore 5, perché la vergogna non poteva essere celebrata né vista, il fatidico sì, in una chiesa deserta con i soli testimoni.
Nacque il 5 ottobre del 1939 il figlio che rischiava di nascere “bastardo” e che lei amò più degli altri.
Nessuno dei suoi figli avrebbe dovuto sapere della sua “vergogna”.
Pubblico di seguito i racconti breve di Linda e di Franca
Linda - Il Parco
E’ sul far della sera che nei torridi giorni estivi arriva dal lago una brezza leggera a restituire agli alberi vita e respiro. Il vento si insinua tra le foglie con bisbigli e mormorii, e i rami si distendono a saziarsi di quel refrigerio che per tutto il giorno hanno ceduto, donando ombra e frescura.
E’ un parco piccolo, una piccola oasi tra strade trafficate e un grattacielo, ma chi l’ha fatto nascere ha scelto con cura le piante che ora svettano contro l’azzurro del cielo.
Imponenti cedri dalle lunghe braccia cinerine si affiancano a monumentali aceri, a pini che si contorcono in bizzarre forme animali, ad aromatiche tuie, ad una regale magnolia……
C’è persino una pseudo sequoia che, a dispetto dell’età e dell’altezza, si riveste di tenere foglioline verdi, e un meraviglioso faggio pendulo che protende fino a terra i suoi leggeri lunghissimi rami, cortine vegetali che, dondolando al respiro dell’aria, delimitano un ampio, misterioso, accogliente rifugio.
D’improvviso un semplice foglio di carta stabilisce di cancellare tutto: la pace, i profumi, le gamme dei verdi, il soffice prato,l’ombra e la luce riposanti.
Proprio qui, dove la natura così fecondamente lavora, si vogliono costruire dei parcheggi.
Diamine, in ossequio al progresso, bisogna ben espandersi, costruire uffici, negozi, botteghe, strade, comprare, vendere, avere di più, sempre di più.
Così arrivano i boscaioli; nell’aria che aspira gli ultimi profumi risuonano colpi d’ascia, stridii di seghe, urla, tonfi, crepitii, scoppi rombi di trattori, ruspe, camion.
La terra si lacera: da cumuli rossastri, coperti di foglie di un autunno precoce, escono grosse radici contorte. Tutto è cambiato; restano auto, asfalto, cemento.
Per fortuna la storia può vantare un finale diverso.
Occhi attenti snidano il documento che dà il via ai lavori da un plico di carte entro cui per caso o disegno era celato.
Mamme, papà, ragazzi, bimbi, nonni, troppo spesso condiscendenti, stavolta si oppongono con determinazione alla perdita dei loro compagni di viaggi: tra i loro rami sono ancora sospesi voci di bimbi, sogni, desideri, speranze, segreti, e nella linfa che li percorre si possono ancora trovare lacrime di gioia o dolore.
In breve cortei, slogan, cartelloni colorano tronchi e viali; proteste e progetti rinsaldano e formano nuove amicizie
A malincuore, molto a malincuore i progetti per il parcheggio vengono accantonati, almeno per ora , e gli alberi taciti e saggi potranno continuare a vegliare sulle nostre vite.
Chissà, forse sarà proprio la bellezza a salvare il mondo.
Franca
La mattina all’alba del 5 agosto del 1938, il fatidico sì.
L’aveva sognato ed atteso quel giorno. Con quel giovin signore sempre elegante e dongiovanni, bastone da passeggio, orologio nel taschino, gilet e giacca con camicie inamidate e gemelli d’oro, curato e coccolato da una madre che degli otto figli prediligeva lui, il figlio ingegnere, che a sua volta l’adorava e calmava i suoi nervi tesi e malati.
Scendeva dalla villa, e in fondo allo stradello esitava davanti alla sua bottega, qualche volta si fermava e sbirciava dentro; solo se vedeva lei e il suo sorriso si avventurava sulla soglia tra il chiaro scuro, ma se incrociava il viso ostile della sorella “capa”, che reggeva la numerosa famiglia dopo la morte improvvisa del padre, se ne fuggiva furtivo e indifferente.
In quell’incrocio di sguardi e di sorrisi nasceva il loro piacere reciproco. Ma lei non si sentiva all’altezza: in terza elementare, a nove anni, aveva dovuto smettere di andare a scuola, per dare una mano in bottega. Dopo la morte del padre, Concetta, la sorella diciannovenne, prese in mano le redini: tre sorelle e due fratelli subito a lavorare per tirare avanti la bottega; solo due mancavano all’appello: Lucia, la sorella troppo piccola e già debole di salute e Angelo ancora a balia.
Su alla villa negli agi viveva la famiglia di lui, gente bene, stimata in paese e nell’imprenditoria locale.
Difficile far digerire una scelta di così bassa condizione a una madre che sognava per il figlio prediletto un matrimonio d’alto rango.
Ma lei non si lasciava intimorire né da Concetta sempre ostile al “bel signorino”, con troppe morose e troppe promesse di matrimonio in giro, e un po’ alla volta neanche dalla considerazione del suo “basso ceto”.
Perché di bassa condizione? – si diceva- la mia famiglia con dignità si è sollevata dalla disgrazia, le mie sorelle sono orgogliose di aver mandato avanti la bottega di non aver chiesto aiuti di nessun tipo, siamo fiere della nostra condizione, addirittura abbiamo anche la possibilità di fare credito ai numerosi poveri di questo paese di pietre.
Con questa nuova consapevolezza il suo sguardo verso il “giovin signore” cominciò ad essere meno timoroso, più accondiscendente; da lì fu pronta ad accettare appuntamenti segreti con la complicità della sorella Gina, la sua preferita e confidente.
Lui temporeggiava: avanzava sempre nuove scuse: la delusione che avrebbe dato all’amata madre, l’ufficio che aveva appena aperto per lavorare in proprio e che l’aveva indebitato, il lavoro che scarseggiava e che non sembrava avere molte prospettive in un paese di povera gente senza mezzi e costretta ad emigrare. Ma lei non demordeva, era caparbia, la forza del suo carattere, si diceva spesso, stava nella sua chioma di capelli nerissimi e folti, che lei amava lisciare e pettinare, e tirare per costringerli tutti in una nera crocchia. Anche la sua bellezza, si diceva, oltre che nel personale slanciato ( lei era più alta di lui) stava in quei lucidi capelli.
Primo finale
E così giunse il giorno da lei tanto celebrato e raccontato nella sua mitologia famigliare.
All’alba dunque del 5 agosto ( era la madonna della neve) del 1938, perché lei doveva, quel giorno stesso, riprendere il duro lavoro della bottega, per non lasciare tutto il daffare alla “musona “ sorella Concetta, che non si era neanche degnata di partecipare alla cerimonia, e che doveva sbrigare da sola le incombenze del negozio, dato che le altre due sorelle si erano già sistemate con il suo beneplacito. I rimandi del “bel signorino” a Concetta, no, non erano piaciuti.
Ma il viaggio di nozze tra le bellissime vette dell’Alto Adige, ancora imbiancate in agosto, era un ricordo vivo e pulsante che lei rievocava con la passione e il desiderio dei suoi anni d’amore.
Secondo Finale
Arrivò il momento in cui cominciò a rendersi conto che le sue continue fughe e i suoi cedimenti, a cui lui la costringeva e che a lei non dispiacevano, avevano causato l’indesiderato ospite che già si muoveva in lei. Fu una tempesta di improperi e di insulti, sguardi di disprezzo, il disonore della famiglia, nemmeno la fuga in città presso la sorella Gina le valse a calmare le acque.
Finché… decisa, un giorno prese lo stradello in salita e arrivò alla villa.
Il 5 agosto del 1939 alle ore 5, perché la vergogna non poteva essere celebrata né vista, il fatidico sì, in una chiesa deserta con i soli testimoni.
Nacque il 5 ottobre del 1939 il figlio che rischiava di nascere “bastardo” e che lei amò più degli altri.
Nessuno dei suoi figli avrebbe dovuto sapere della sua “vergogna”.
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