Gottland - Mariusz Szczygiel

>> sabato 30 luglio 2011

Secondo libro letto perchè dovevo valutare anche questo finalista al Premio letterario Giuseppe Acerbi  dedicato quest'anno agli scrittori della Polonia. Sarebbe stato difficile fare peggio dell'altro libro finalista Morte a Breslavia che è proprio pessimo ed in effetti questo si lascia leggere con un certo interesse. L'autore, polacco, racconta la Cecoslovacchia del primo novecento attraverso le storie di alcuni protagonisti minori del mondo produttivo, artistico, letterario del paese. La storia più edificante è quella di Bata, il fondatore dell'omonima azienda di scarpe. Partito come povero ciabattino ha un'intuizione geniale che trasforma una difficoltà in un'oppportunità e da lì, per merito anche della capacità di non scoraggiarsi mai, costruisce un impero. Originali alcune sue prese di posizione come quella di costruire e regalare case agli operai per evitarne la sindacalizzazione. 
Non tutte le storie presenti nel libro sono intriganti come questa. La scrittura poi, forse anche per via della traduzione, non è fluida come si auspicherebbe.


L'acquisto di nuove pelli è fuori dalla loro portata, non sanno nemmeno come pagare quelle vecchie. Antonin viene chiamato alle armi. Anna parte per Vienna, va a servizio. Mentre fissa disperato gli avanzi delle pelli, Tomas ha un'illuminazione che diventerà il principio guida della sua vita: trasformare sempre un difetto in un pregio. Dato che non possono permettersi di comprare le pelli, devono cucire le scarpe impiegando ciò che hanno sottomano: la tela. La tela costa poco, e con la pelle avanzata si possono fare le suole. Cosi Bata inventa il piu grande successo del secolo a venire: scarpe in tela con suole di cuoio. Batovky, è cosi che la gente le chiama. A Vienna, in una sola giornata, raccoglie alcune migliaia di ordinazioni. Grazie alle batovky Tomas costruisce la sua prima piccola fabbrica: in duecento metri quadrati lavorano cinquanta uomini.
[...]
Tomas Bata è sotto shock: tutti i dipendenti della sua fabbrica stanno per essere arruolati nella guerra condotta dalla monarchia austroungarica. Il giorno dopo, mentre fa colazione con caffè e uova al bacon, gli viene un'idea: avrebbe ottenuto, foss'anche con la forza, la commessa per le scarpe militari. Lascia le uova a metà, salta in carrozza e si fa portare di corsa alla stazione ferroviaria di Otrokovice, un paese che confina con Zlin. Solo che il treno è già partito. Senza pensarci due volte compra i cavalli dal cocchiere e gli ordina di inseguire il treno. Gli animali attraversano tre villaggi, uno dopo l'altro, alla velocità di un rapido. Giunti al quarto cedono. Nel giro di sei minuti Tomas compra un'altra carrozza con cavalli. Riesce a raggiungere il treno e poche ore dopo scende a Vienna. È convinto che non bisogna mai arrendersi alla realtà, occorre invece saperla sfruttare abilmente per raggiungere i propri obiettivi. Non passano due giorni che l'affare è concluso: Tomas ottiene una commessa per la fornitura di mezzo milione di paia di scarpe per l'esercito e, in più, la garanzia ufficiale che i suoi operai non saranno chiamati sotto le armi. Gli restano sette minuti alla partenza del treno di ritorno. Intanto una squadra di polizia sta radunando sul piazzale della fabbrica i suoi operai, ritenuti disertori. La vettura sulla quale viaggia Tomas provoca un incidente. Il passeggero schizza fuori e si precipita alla stazione. Salta su un treno che corre verso Brno. Distribuisce il lavoro anche tra operai e calzolai che non sono suoi dipendenti. Persino tra i suoi nemici giurati. Pare che abbia salvato dalla guerra gli uomini di tutto il circondario. Verso la fine del conflitto, malgrado la crisi, Tomas Bata avrà circa cinquemila operai che producono diecimila paia di scarponi militari al giorno.
[...]
Quando avrà ottantotto anni chiederò alla sua segretaria americana se posso fargli qualche domanda. "Si," risponderà. "Preferibilmente una sola e che sia importante".
Scrivo un' email: "Egregio Signor Bata, come si deve vivere?"
"Bisogna impegnarsi nello studio," risponde il signor Tomik. "Guardarsi intorno con occhi ben aperti. Imparare dai propri sbagli e non ricadere negli stessi errori. Lavorare con onestà e non guardare soltanto al tornaconto personale. Non dovrebbe essere poi tanto
difficile".
[...]
Bata è affascinato dalla numerazione. Le vie portano per esempio i nomi: Zaldna I, Zaldna II, Zaldna III, e via di questo passo fino a Zaldna XII. Quelle più numerose portano il nome di Podvesna, ce ne sono ben diciassette. Jan bandisce un concorso internazionale per la progettazione di unità abitative per famiglie operaie. Vince il progetto di uno svedese, Erich Svedlund. Case bifamigliari. L'affitto settimanale equivarrà a due sole ore di lavoro.
"Quando diventa proprietario di una casa, l'operaio compie una metamorfosi totale," spiega Jan ai dirigenti. In Occidente la borghesia illuminata porta avanti queste idee ormai da quarant'anni. Il possesso di una casetta con giardino fa dell' operaio un autentico capofamiglia degno di questo nome. Lo trasforma in un uomo avveduto e giudizioso. Nasce in lui l'attaccamento al luogo in cui vive, e i suoi famigliari gli danno ascolto. È opinione comune inoltre che, allontanato dagli alloggi collettivi tipo caserma condivisi con altre famiglie, e chiuso nella propria casa di proprietà, l'operaio finisca giocoforza per voltare le spalle alle rivendicazioni collettive e al sindacalismo. Le casette sono moderniste ed egualitarie. Alte cinque metri (quindi basse), a forma di cubo, in mattoni rossi. Uno stile senza radici. La gente le chiama svedlundy. Al pianoterra ogni famiglia dispone di diciotto metri quadri: un soggiorno, un angolo cottura, un bagno; al piano di sopra altri diciotto metri: le stanze da letto. Grazie a Dio ci sono dei piccoli giardinetti annessi.
"Abitare qui è un supplizio," mi dirà, sessantasette anni dopo, Jifina Pokorna di via Bradi Sousedikti, la moglie di un elettricista cresciuto nella scuola di Bata. Ha settant'anni ormai. "Vede, tra non molto mi toccherà passare a miglior vita, sicuramente ce l'ho scritto in faccia, eppure non ho mai avuto una cucina normale, insomma, non sarà mica una cucina quell'angolo di un metro quadrato e mezzo nell'ingresso?" sbotta infine. "Ma perché è tanto piccola?" le chiedo. "Be', facevano di tutto perché la gente passasse meno tempo possibile dentro casa!"
[...]
Dovranno passare ancora undici anni prima che lo scrittore britannico Orwell dia alle stampe le regole di vita sotto l'occhio del Grande Fratello, ma Jan precorre i tempi della letteratura mondiale. Gli viene l'idea di realizzare una cosa inedita: una stanza mobile per tenere d'occhio gli impiegati. Detto, fatto. Installa il suo ufficio in un ascensore a vetri che scivola tra i piani del grattacielo. (Cabina 5x5 metri, lavandino con acqua calda, radio, climatizzazione). Non ha bisogno di uscire dall'ascensore, non deve andare su e giil per le scale. Il suo ufficio si ferma per esempio al tredicesimo piano, la parete scorrevole si apre e cosi, dalla sua sala del trono mobile, Jan Antonin Bata può vedere i suoi dipendenti al lavoro. Sostiene che è anche per il loro bene: possono infatti raggiungere il loro principale senza impiegare troppo tempo. In caso di bisogno, in pochi istanti il suo ufficio può materializzarsi a un piano diverso.
[...]
All'indomani dell' annessione dell' Austria al Terzo Reich, avendo un vago presentimento dell'amaro destino riservato dalla sorte alla Cecoslovacchia, Jan si sveglia con un'idea. Di 1ì a poco sarebbe iniziata l'epoca largamente preannunciata del "concerto delle potenze".
Persino a Varsavia si ritiene che la Cecoslovacchia sia un' entità artefatta, destinata a scomparire. Su Zlin, il quotidiano di sua proprietà, Jan Antonin Bata prospetta l'idea che gli è venuta al risveglio, vale a dire: trapiantare la Cecoslovacchia in Sud America.
"Il Brasile, che occupa una superficie grande quanto l'intera Europa, ha in tutto 44 milioni di cittadini. L'Europa ne conta 480 milioni. Per quale ragione impuntarsi a cercare un terreno di sviluppo in quest'Europa già fin troppo affollata? Perché non laggiù invece? Ci conviene sloggiare. L'ultima guerra è costata al mondo 8 bilioni di corone cecoslovacche. Il trasferimento di 10 milioni di persone in Sud America verrebbe a costare soltanto 14 miliardi di corone. Peraltro con soli 140 miliardi i nuovi arrivati potrebbero mettere su delle gran belle fattorie. C'è forse un buon motivo per fare una cosa tanto stupida, e rovinosa per l'umanità, qual'è la guerra? Anche la Patagonia, nel Sud dell'Argentina, farebbe perfettamente al caso nostro". Bata si aspetta che ai tedeschi la sua idea vada a genio. In fin dei conti dovrebbero pur provare un po' di sollievo nel vedere i cechi sgomberare. Dopo la guerra, nella Cecoslovacchia comunista questo sarà il cavallo di battaglia dell'accusa nel processo a Bata per tradimento della patria. "Però una nazione e la sua cultura sono strettamente legate al luogo d'origine," si sente dire da ogni parte. "Al diavolo la cultura, quando in guerra vengono ammazzati i bambini!" rimbecca Jan.

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Il mio terzo racconto breve

>> mercoledì 13 luglio 2011

Nell'ultimo incontro del Gruppo Lettori-Scrittori della Biblioteca di Castiglione ci siamo letti i nostri ultimi componimenti che avevano come tema "I misteri della Bassa in 200 parole". Questo particolare argomento e il vincolo della lunghezza del racconto derivano dalle regole di un concorso letterario a cui avevamo deciso di partecipare. Alla fine ho scoperto di essere stato solo io ad inviare la novella agli organizzatori.
Trascrivo di seguito i lavori dei miei colleghi. Riguardo al mio attendo con le dita incrociate l'esito del concorso :-)

Racconto di Franca Martinetti
Fantasmi
Quello sbatacchiare di porte lo svegliò. Stette sotto le coperte senza muoversi, fingendo di russare, in modo che lei non lo sentisse.
Aveva passato tutta la giornata ad urlare la sua rabbia contro di lui; come aveva potuto mandare in galera Pietro, un vicino di casa, così perbene, ed ora quel poveretto penzolava nella sua cella, con una linguaccia fuori a schernirli tutti.
La porta sbatacchiava ancora e lo chiamava, come quando da bambino sentiva le voci delle anime dei morti annegati nel gorgo nero nelle notti di nebbia o affogati nella melma per estrarre le canne. Quelle storie le aveva sentite raccontare durante i filos, nascosto nel pagliaio insieme alla sorella .
Doveva alzarsi per non sentire.
Con lentezza per non svegliare la perfidia di Paola scese i gradini e scorse nel buio la porta della cucina. Mise la mano sulla maniglia, ma dall’altra parte qualcuno gli impedì di entrare. –Chi è?- sussurrò. La porta si aprì e nello spiraglio lo vide: era lui, portava quel cappellaccio ad ampie tese e ghignava.
-Papà- gridò una voce nel buio –che succede papà?- Giuliana non riusciva a dormire, da quando Pietro era diventato l’uomo nero dei suoi incubi notturni; ma lui aveva deciso di denunciarlo, mentre Paola: “Rideranno tutti di noi, come se tu non sapessi dove si lavano i panni sporchi:”
Forse Paola aveva ragione, ma chi avrebbe protetto Giuliana dai fantasmi del male?

Racconto di Enrica Remelli
La Nebbia nel fosso grande
Un passo.. tric trac, accelero ..tric trac, rallento.. tric trac
Ho settant’anni e non ho mai avuto paura di niente, né dei morti, né dei vivi, figurarsi! Ne ho passate di nottate a metter retini nel fosso grande, con la nebbia che saliva e s’infittiva che la luce del fanale neanche si vedeva e lì sì che ci potevano essere fantasmi e delinquenti col coltello in tasca, a cercar chissà cosa… figurarsi se ho paura adesso che di questo stradello conosco anche i sassi… triic traac… alzo la lanterna, che sappia che l‘ho sentito: vieni avanti a dir cosa vuoi; mi giro tenendo dritto il bastone: se è qui vicino prende una legnata, brutto delinquente… ma non colpisco niente .. tric trac, sono al podere dei Barbi, manca poco, deve farsi sotto… accelero, la nebbia oramai è quella del fosso grande.. tric trac … sono sulla porta, pronta col mio bastone… metto la chiave nella toppa, con un piede sono dentro… è un attimo, scivolo, barcollo in avanti e…. trrraaaaaaac….. i fiammiferi cadono dalla tasca del grembiule, sono in terra e … rido: aveva ragione mia madre, il fumo presto mi ucciderà... di inutile paura!

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Siate affamati, siate folli (stay hungry, stay foolish) - Steve Jobs

>> domenica 10 luglio 2011


Riporto qui di seguito la traduzione in italiano del discorso pronunciato da Steve Jobs il 12 giugno 2005, in occasione della cerimonia annuale per il conferimento delle lauree alla Stanford University. Rimarrà alla storia per la sua efficacia nel trasmettere due concetti molto semplici ma di rilevanza assoluta: 
  1. individuare le proprie inclinazioni e seguire le proprie passioni è il segreto per una vita gratificante e piena di soddisfazioni; 
  2. le difficoltà che si incontrano lungo il percorso non sono nulla davanti alla morte.
E' un esempio di "speech" tecnicamente perfetto che parla alle menti ma soprattutto al cuore delle persone.


Sono onorato di essere qui con voi oggi, nel giorno della vostra laurea presso una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. A dir la verità, questa è l’occasione in cui mi sono avvicinato di più ad un conferimento di titolo accademico. Oggi voglio raccontarvi tre episodi della mia vita. Tutto qui, nulla di speciale. Solo tre storie.
La prima storia parla di “unire i puntini”.
Ho abbandonato gli studi al Reed College dopo sei mesi, ma vi sono rimasto, senza essere iscritto, per altri diciotto mesi, prima di lasciarlo definitivamente. Allora perchè ho smesso?
Tutto è cominciato prima che io nascessi. La mia madre biologica era laureanda ma era una ragazza-madre, perciò, decise di darmi in adozione. Desiderava ardentemente che io fossi adottato da persone laureate, così tutto fu pronto affinché ciò avvenisse alla mia nascita da parte di un avvocato e di sua moglie. All’ultimo minuto, appena nato, questi ultimi decisero che avrebbero preferito una femminuccia. Così quelli che poi sarebbero diventati i miei “veri” genitori, che allora si trovavano in una lista d’attesa per l’adozione, furono chiamati nel bel mezzo della notte e venne chiesto loro: “Abbiamo un bimbo, un maschietto, ‘non previsto’; volete adottarlo?”. Risposero: “Certamente”. La mia madre biologica venne a sapere successivamente che mia mamma non aveva mai ottenuto la laurea e che mio padre non si era mai diplomato, per questo si rifiutò di firmare i moduli definitivi per l’adozione. Tornò sulla sua decisione solo qualche mese dopo, quando i miei genitori adottivi le promisero che un giorno sarei andato all’università. Infine, diciassette anni dopo ci andai. Ingenuamente scelsi un’università che era costosa quanto Stanford, così tutti i risparmi dei miei genitori sarebbero stati spesi per la mia istruzione accademica. Dopo sei mesi, non riuscivo a comprenderne il valore: non avevo idea di cosa avrei fatto nella mia vita e non avevo idea di come l’università mi avrebbe aiutato a scoprirlo. Inoltre, come ho detto, stavo spendendo i soldi che i miei genitori avevano risparmiato per tutta la vita, così decisi di abbandonare, avendo fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. Ok, ero piuttosto terrorizzato all’epoca, ma guardandomi indietro credo sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’istante in cui abbandonai potei smettere di assistere alle lezioni obbligatorie e cominciai a seguire quelle che mi sembravano interessanti. Non era tutto così romantico al tempo. Non avevo una stanza nel dormitorio, perciò dormivo sul pavimento delle camere dei miei amici; portavo indietro i vuoti delle bottiglie di coca-cola per raccogliere quei cinque cent di deposito che mi avrebbero permesso di comprarmi da mangiare; ogni domenica camminavo per sette miglia attraverso la città per avere l’unico pasto decente nella settimana presso il tempio Hare Krishna. Ma mi piaceva. Gran parte delle cose che trovai in quel periodo sulla mia strada per caso o grazie all’intuizione si sono rivelate inestimabili più avanti. Lasciate che vi faccia un esempio: il Reed College a quel tempo offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del paese. Nel campus ogni poster ed ogni etichetta sui cassetti erano scritti in splendida calligrafia. Siccome avevo abbandonato i miei studi ‘ufficiali’ e pertanto non dovevo seguire le classi come previsto dal piano di studio, decisi di seguire un corso di calligrafia per imparare come riprodurre quanto di bello avevo visto là attorno. Ho imparato dai caratteri serif e sans serif, a come variare la spaziatura tra differenti combinazioni di lettere e cosa rende la migliore tipografia così grande. Era bellissimo, antico e così artisticamente delicato che la scienza non avrebbe potuto ‘catturarlo’ e trovavo ciò affascinante. Nulla di tutto questo sembrava avere speranza di applicazione pratica nella mia vita, ma dieci anni dopo, quando stavamo progettando il primo computer Machintosh, mi tornò utile. Progettammo così il Mac: era il primo computer della bella tipografia. Se non avessi abbandonato gli studi, il Mac non avrebbe avuto caratteri multipli e font spazialmente proporzionate. E se Windows non avesse copiato il Mac, nessun personal computer ora le avrebbe. Se non avessi abbandonato, se non fossi incappato in quel corso di calligrafia, i computer oggi non avrebbero quella splendida tipografia che ora possiedono. Certamente non era possibile all’epoca ‘unire i puntini’ e avere un quadro di cosa sarebbe successo, ma tutto diventò molto chiaro guardandosi alle spalle dieci anni dopo.
Vi ripeto, non potete sperare di unire i puntini guardando avanti, potete farlo solo guardandovi alle spalle: dovete quindi avere fiducia che, nel futuro, i puntini che ora vi appaiono senza senso possano in qualche modo unirsi nel futuro. Dovete credere in qualcosa: il vostro ombelico, il vostro karma, la vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete… questo approccio non mi ha mai lasciato a terra e ha fatto la differenza nella mia vita.
La mia seconda storia parla di amore e di perdita.
Fui molto fortunato – ho trovato cosa mi piacesse fare nella vita piuttosto in fretta. Io e Woz fondammo la Apple nel garage dei miei genitori quando avevo appena vent’anni. Abbiamo lavorato duro e in dieci anni Apple è cresciuta da noi due soli in un garage sino ad una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. Avevamo appena rilasciato la nostra migliore creazione – il Macintosh – un anno prima e avevo appena compiuto trent’anni… quando venni licenziato. Come può una persona essere licenziata da una Società che ha fondato? Beh, quando Apple si sviluppò assumemmo una persona – che pensavamo fosse di grande talento – per dirigere la compagnia con me e per il primo anno le cose andarono bene. In seguito però le nostre visioni sul futuro cominciarono a divergere finché non ci scontrammo. Quando successe, il nostro Consiglio di Amministrazione si schierò con lui. Così a trent’anni ero a spasso. E in maniera plateale. Ciò che aveva focalizzato la mia intera vita adulta non c’era più e tutto questo fu devastante. Non avevo la benché minima idea di cosa avrei fatto, per qualche mese. Sentivo di aver tradito la precedente generazione di imprenditori, che avevo lasciato cadere il testimone che mi era stato passato. Mi incontrai con David Packard e Bob Noyce e provai a scusarmi per aver mandato all’aria tutto così malamente: era stato un vero fallimento pubblico e arrivai addirittura a pensare di andarmene dalla Silicon Valley. Ma qualcosa cominciò a farsi strada dentro di me: amavo ancora quello che avevo fatto e ciò che era successo alla Apple non aveva cambiato questo di un nulla. Ero stato rifiutato, ma ero ancora innamorato. Così decisi di ricominciare. Non potevo accorgermene allora, ma venne fuori che essere licenziato dalla Apple era la cosa migliore che mi sarebbe potuta capitare. La pesantezza del successo fu sostituita dalla soavità di essere di nuovo un iniziatore, mi rese libero di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita. Nei cinque anni successivi fondai una Società chiamata NeXT, un’altra chiamata Pixar e mi innamorai di una splendida ragazza che sarebbe diventata mia moglie. La Pixar produsse il primo film di animazione interamente creato al computer, Toy Story, che ora è lo studio di animazione di maggior successo nel mondo. In una mirabile successione di accadimenti, Apple comprò NeXT, ritornai in Apple e la tecnologia che sviluppammo alla NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di Apple. E io e Laurene abbiamo una splendida famiglia insieme. Sono abbastanza sicuro che niente di tutto questo mi sarebbe accaduto se non fossi stato licenziato dalla Apple. Fu una medicina con un sapore amaro, ma presumo che ‘il paziente’ ne avesse bisogno. Ogni tanto la vita ci colpisce sulla testa come un mattone. Non perdete la fiducia, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti sia stato l’amore per ciò che facevo. Dovete trovare le vostre passioni, e questo è vero tanto per il/la vostro/a findanzato/a che per il vostro lavoro. Il vostro lavoro occuperà una parte rilevante delle vostre vite e l’unico modo per esserne davvero soddisfatti sarà fare un gran bel lavoro. E l’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di cuore, saprete di averlo trovato non appena ce l’avrete davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continuate a cercare finché non lo trovate. Non accontentatevi.
La mia terza storia parla della morte.
Quando avevo diciassette anni, ho letto una citazione che recitava: “Se vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, uno di questi ci avrai azzeccato”. Mi fece una gran impressione e, da quel momento, per i successivi trentatrè anni mi sono guardato allo specchio ogni giorno e mi sono chiesto: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni volta che la risposta era “No” per troppi giorni consecutivi sapevo di dover cambiare qualcosa. Ricordare che sarei morto presto è stato lo strumento più utile che abbia mai trovato per aiutarmi nel fare le scelte importanti nella vita. Perché quasi tutto – le aspettative esteriori, l’orgoglio, la paura e l’imbarazzo per il fallimento – sono cose che scivolano via di fronte alla morte, lasciando solamente ciò che è davvero importante. Ricordarvi che state per morire è il miglior modo per evitare la trappola rappresentata dalla convinzione che abbiate qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione perché non seguiate il vostro cuore. Un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Effettuai una scansione alle sette e trenta del mattino che mostrava chiaramente un tumore nel mio pancreas. Fino ad allora non sapevo nemmeno cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che con ogni probabilità era un tipo di cancro incurabile e che avevo un’aspettativa di vita non superiore ai tre-sei mesi. Il mio dottore mi consigliò di tornare a casa ‘a sistemare i miei affari’, che è un modo per i medici di dirti di prepararti a morire. Significa che devi cercare di dire ai tuoi figli tutto quello che avresti potuto dire nei successivi dieci anni, in pochi mesi. Significa che devi fare in modo che tutto sia a posto, così da rendere la cosa più semplice per la tua famiglia. Significa che devi pronunciare i tuoi ‘addio’. Ho vissuto con quella spada di Damocle per tutto il giorno. In seguito quella sera ho fatto una biopsia, dove mi infilarono una sonda nella gola, attraverso il mio stomaco fin dentro l’intestino, inserirono una sonda nel pancreas e prelevarono alcune cellule del tumore. Ero in anestesia totale, ma mia moglie, che era lì, mi disse che quando videro le cellule al microscopio, i dottori cominciarono a gridare perché venne fuori che si trattava una forma molto rara di cancro curabile attraverso la chirurgia. Così mi sono operato e ora sto bene. Questa è stata la volta in cui mi sono trovato più vicino alla morte, e spero lo sia per molti decenni ancora. Essendoci passato, posso dirvi ora qualcosa con maggiore certezza rispetto a quando la morte per me era solo un puro concetto intellettuale: nessuno vuole morire. Anche le persone che desiderano andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E nonostante tutto la morte rappresenta l’unica destinazione che noi tutti condividiamo, nessuno è mai sfuggito ad essa. Questo perché è come dovrebbe essere: la Morte è la migliore invenzione della Vita. E’ l’agente di cambio della Vita: fa piazza pulita del vecchio per aprire la strada al nuovo. Ora come ora ‘il nuovo’ siete voi, ma un giorno non troppo lontano da oggi, gradualmente diventerete ‘il vecchio’ e sarete messi da parte. Mi dispiace essere così drammatico, ma è pressappoco la verità. Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun’altro. Non rimanete intrappolati nei dogmi che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare. Tutto il resto è secondario.
Quando ero giovane c’era una pubblicazione splendida che si chiamava ‘The whole Earth catalogé’, che è stata una delle bibbie della mia generazione. Fu creata da Steward Brand, non molto distante da qui, a Menlo Park, e costui apportò ad essa il suo senso poetico della vita. Era la fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer, ed era fatto tutto con le macchine da scrivere, le forbici e le fotocamere polaroid: era una specie di Google formato volume, trentacinque anni prima che Google venisse fuori. Era idelista e pieno di concetti chiari e nozioni speciali. Steward e il suo team pubblicarono diversi numeri di ‘The whole Earth catalog’, e quando concluse il suo tempo, fecero uscire il numero finale. Era la metà degli anni Settanta e io avevo pressappoco la vostra età. Nella quarta copertina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna nel primo mattino, del tipo che potete trovare facendo autostop se siete dei tipi così avventurosi. Sotto, le seguenti parole: “Siate affamati. Siate folli”. Era il loro addio e ho sperato sempre questo per me. Ora, nel giorno della vostra laurea, pronti nel cominciare una nuova avventura, auguro questo a voi.
Siate affamati. Siate visionari.

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Lettura di Sciascia in biblioteca

5 Marzo ore 20,30, Biblioteca Castiglione delle Stiviere

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